Tuesday, September 23, 2025

Ciro Grillo condannato un’era geologica dopo

Allora suo padre furoreggiava, ora non più. Conte era al governo, ora non più. Lui era un ragazzino, ora è laureato in legge. Ha un senso una sentenza sei anni dopo? E qulla definitiva arriverà quando avrà 30 anni? Intanto per il ponte Morandi, sette anni dopo, non c'è ancora la sentenza di primo grado

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 23 settembre 2025 

Ere geologiche. È passata un’epoca dal 2019, quando Ciro Grillo fu denunciato per stupro collettivo. Sei anni fa era tutto diverso: politicamente, privatamente, giudiziariamente. Beppe Grillo furoreggiava come padre padrone del più grande partito italiano, 32,68%, undici milioni di voti, e governava indifferentemente con la Lega o con il Pd. 

Negli stessi giorni agostani della violenza nella sua villa al Pevero di Porto Cervo, Matteo Salvini faceva harakiri al Papeete di Milano Marittima. E il premier grillino Giuseppe Conte si produceva in uno dei più strabilianti salti della quaglia nella storia italiana, da destra a sinistra in poche ore ma rimanendo in sella.

Il “povero del Pevero”, velenoso soprannome del comico genovese, si lasciò andare a un imbarazzante videosfogo in favore del figlio quando fu incriminato, giustificabile solo dalla cecità dell’amore paterno. Ora Grillo senior non conta più nulla in politica. Cancellato da Conte.

Anche privatamente siamo in un altro mondo. Ciro, oggi 24enne, decise di iscriversi a legge dopo il primo interrogatorio, e l’anno scorso si è laureato a Genova con 110 e lode. Tesi in procedura penale, discussa sotto gli occhi dell’orgoglioso papà. Praticante nello studio del suo avvocato difensore, a palazzo di giustizia ha conosciuto una collega dalla quale aspetta un figlio a dicembre. Forse farà il concorso per magistrato.

La sua vittima, una coetanea italonorvegese, è riuscita a difendere il proprio anonimato. Si sa solo che vive e lavora a Milano. Dopo le 1.675 domande cui ha dovuto rispondere nell'aula di Tempio Pausania la aspetta il calvario del processo d’appello.

Giudiziariamente, possiamo congratularci con tutti. Tranne che con magistrati. Quasi nessun politico e giornalista, infatti, ha usato le disgrazie familiari di Grillo junior per attaccare il senior. Niente replay delle speculazioni che atterrarono Attilio Piccioni, erede di Alcide De Gasperi, o il presidente Giovanni Leone. E che hanno logorato, a parti invertite, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi per le accuse ai loro padri.

Complimenti a Giulia Bongiorno, difensore della vittima, la quale allarga il valore dei 30 anni complessivi (8 per Grillo) comminati ai quattro ragazzi a tutto il genere femminile: “Spero che questa sentenza stimoli le ragazze che non hanno il coraggio di denunciare le violenze subìte”. Neanche lei, senatrice leghista, l’ha buttata in politica per attaccare Grillo. Chissà se la famiglia della sua assistita dovrà accendere un mutuo per ricompensarla.

I magistrati, invece. Sia quelli dell’accusa che i giudicanti. Sei anni per una sentenza di primo grado sono troppi. Ma il punto non è neanche questo. Il vero problema è che ormai ci siamo tutti assuefatti ai tempi biblici dei nostri tribunali. Nessuno protesta. Ci sembra quasi normale, siamo abituati. Ciro Grillo avrà 30 anni quando arriverà la sentenza definitiva di Cassazione? Potrà fare il concorso di magistratura?

A Genova c’è un altro processo che grida vendetta: quello sul ponte Morandi. Sette anni dopo il crollo, non abbiamo neanche uno straccio di sentenza di primo grado. A Renzo Piano ne sono bastati due per ricostruire il ponte. 

Sunday, September 21, 2025

Le corna di Benito raccontate da lui stesso a Claretta

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 21 settembre 2025 

Benito Mussolini fu tradito dalla moglie Rachele. Lo racconta Alessandra Mussolini nel libro 'Benito, le rose e le spine' (ed. Piemme) in uscita il 23 settembre. L'episodio fu rivelato già da Edda
 Ciano, figlia del dittatore, nel suo libro-intervista a Domenico Olivieri 'La mia vita' del 2002. Ma il resoconto più colorito del tradimento, che si protrasse per ben quattro anni mentre Benito viveva da solo a Roma nel 1923-27, è di Mussolini stesso, che ne parlò con l'amante Claretta il 25 ottobre 1937. Ecco come la Petacci lo trascrisse nel suo diario ('Mussolini segreto', ed. Rizzoli 2009).

Pomeriggio al mare. Andiamo a passeggio. Arriviamo ad una duna, sediamo. Lui pensa al discorso [per il 28, anniversario della Marcia su Roma].

[...] “Se tu mi dessi noia o fastidio come tante altre, ti avrei già allontanato. Invece tu comprendi, non sei come mia moglie che non si è mai resa conto della mia grandezza. Con lei non c’è stato quasi mai amore, solo una cosa fisica. Perché era effettivamente una bella ragazza, prosperosa, ben fatta, quello che si dice un bel pezzo di figliuola. Solo sensi, soltanto. E infatti non c’è stata mai comprensione né comunicativa. 

L’ho perduta dopo notti e giorni tragici, in cui lei non faceva che piangere, negare. L'Edda sbottò in un gran pianto dicendo: ‘Non credo, non posso credere che mia madre abbia fatto questo...’ Ma con le lagrime rivelava ciò che aveva sofferto di ciò. L’Edda sa tutto, ha visto tutto, l’odiava a morte quell’uomo, Dio come l’odiava. Certo ha negato... è la madre. L’ho perdonata, per i figli, per non fare scandalo. Ho voluto credere, ma da allora l’ho odiata, così come la odio in questo momento. Gli anni dal '23 al ‘27 mia moglie non può davvero guardarli senza arrossire, e provare una profonda vergogna di sé. Devi impedirmi di parlare di ciò, ti prego fermami”. 

Si ferma e si tocca l’ulcera.

“Vedi, ahi! Mi fa male l’ulcera ora. Credi, ho delle fitte qui, mi fa male proprio dove sono stato male, e del resto mi sono ammalato proprio la sera che la Ceccato [Bianca Ceccato, amante di Mussolini quand’era segretaria del Popolo d’Italia, ndr] mi fece la rivelazione dicendomi: ‘Fai tante scenate di gelosia, ma potresti guardare tua moglie invece che me!’ Erano scene per modo di dire, non ero geloso, no là per quel Di Castro...”.

Claretta: “Non riparare, ormai l’hai detto”.


“Non sono mai stato geloso. Oltre che di te sono stato e sono geloso di mia moglie, ma è soltanto dignità e orgoglio. Te, sarebbe stata una delusione veramente grave, dolorosa. [Mia moglie] non mi ha mai considerato un grand’uomo, né ha mai preso parte alla mia vita. Si è disinteressata completamente di me in tutto. Ma sì, mi ha tradito, è inutile mentire. Tutti lo dicevano, era una voce generale. Non si fa dormire un uomo in casa se non c’è il motivo. Faceva l’amministratore, l’aiuto dei bimbi, questa era la scusa. Ed era sempre con mia moglie. Tanti elementi confermano il sospetto, lei ha sempre negato, naturalmente, ma perché era a [..?] con lei e dormiva lì? Perché la notte si tratteneva a Villa Carpena [residenza della famiglia Mussolini a Forlì, ndr] quando non c’erano che tre chilometri e la macchina per portarlo? Pioveva, disse lei, pioveva. Ma non erano trenta chilometri, erano tre. E la madre, perché la mise a dormire in una dipendenza? Non voleva che vedesse le cose poco pulite che faceva. Poveretta, è morta di crepacuore”.

È eccitato. Parla a scatti. Il ricordo lo avvelena.

“[Ti dico] uno degli episodi. Il 25 di Natale si era seduti a tavola,
eravamo una bella tavolata e c’era anche mia sorella Edvige. Non so come, ad un tratto uno dei ragazzi fa il nome di questo signore: Corrado Valori [in realtà Varoli]. Non è ministro, lo sanno tutti.

Anche a Parigi, dove stampavano in prima pagina, e i giornali ce li ho ancora, 'Chi è lo stallone di casa Mussolini? Corrado Valori'. Villa Carpena era la villa Valori, capisci. Così un bambino fece il nome di costui, e mia moglie diventò rossa, ma rossa in modo tale che imbarazzò tutti. Io già sapevo qualcosa, ma non credevo ancora. Poi, entrando per caso nel boudoir di mia moglie, trovai profumi, cosmetici, tinture: tutta una raffinatezza che mia moglie non si era mai sognata, perché era una contadina sempliciona e rozza”.

Wednesday, September 17, 2025

Anche la mamma di Furlani è d'oro

Perfino dopo la sicurezza del primo posto Kathy Seck, madre e allenatrice della prima medaglia d'oro italiana ai Mondiali di salto in lungo, non si è scomposta. Perché Furlani è uno dei pochi esempi di atleti che non hanno rotto il cordone ombelicale, ma ne traggono la propria forza

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 17 settembre 2025 
È stata l'unica nello stadio di Tokyo a esultare poco, dopo il balzo di 8 metri e 39 che ha regalato al figlio Mattia Furlani l'oro del salto in lungo ai Mondiali. Perché Kathy Seck, 54 anni, è anche la sua allenatrice. E subito dopo l'impresa si è alzata per indicare a Mattia, che si era avvicinato alla tribuna, come migliorare nel salto successivo.
 
Perfino dopo la sicurezza del primo posto non si è scomposta. Anzi, ha urlato severa al figlio esultante di non togliersi il numero dalla maglia, per non rischiare sanzioni. Mamma coach e chiocch. Caso unico al mondo. Non sono pochi gli atleti famosi ad essere allenati dai genitori. Basta ricordare le sorelle Williams, Larissa Iapichino, Gianmarco Tamberi, l'astista Greg Duplantis. Ma un campione maschio seguito dalla mamma ha un solo precedente. E non a caso anch'esso appartiene all'Italia, dove la mamma regna sovrana: Andrew Howe, predecessore di Furlani nelle glorie del salto in lungo, che solo a 29 anni si è emancipato dalla madre allenatrice.
 
Figlia di un diplomatico senegalese, la signora Seck è nata a Cartagine (Tunisia). Trasferitasi in Italia da adolescente, a 16 anni conosce il futuro marito, Marcello Furlani. Stanno assieme da 38 anni. A Colleferro (Roma) sono nati Mattia, suo fratello e sua sorella.
 
Una famiglia di campioni dell'atletica: lei nei 100 e 200, il marito nell'alto, i figli in vari sport. E ora la vetta mondiale per il giovanissimo Mattia, dopo il bronzo olimpico l'anno scorso a Parigi, 19enne. Una famiglia unitissima. Memorabile il video in cui Furlani la presenta al completo: in prima fila lui con mamma e papà, dietro il fratello, la sorella col fidanzato, e anche la fidanzata di Mattia.
 
Intervistato da Elisabetta Caporale in tv dopo l'oro, Mattia si è espresso al plurale: "Ringraziamo chi ci ha supportato, abbiamo fatto un buon lavoro", ecc. Non era un plurale maiestatis. È che lui si sente proprio così, un'unica cosa con la sua squadra famigliare. 
Insomma, un vero esempio anche per il generale Vannacci: su Dio non sappiamo, ma per la Patria il tricolore è stato sventolatissimo da Furlani, che poi lo ha indossato a mantello. E la Famiglia è super.

Wednesday, September 10, 2025

Sabaudi vs neoborbonici. La grottesca disfida monarchica sul Ponte sullo Stretto

A chi propone di intitolare a Giuseppe Garibaldi l'opera più annunciata della storia italica, replicano indignati i neoborbonici che propongono che sia piuttosto "delle due Sicilie"

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 10 settembre 2025

I monarchici sabaudi propongono con largo anticipo di dedicare il ponte sullo Stretto a Giuseppe Garibaldi. I neoborbonici, altrettanto monarchici, si dichiarano fieramente contrari: "Meglio chiamarlo ponte delle Due Sicilie, Garibaldi era un invasore colonialista". Ognuno ha le guerre civili che si merita. Almeno le nostre sono nonviolente, senza battaglioni Azov, flottiglie globali e Smotrich. Ma i paroloni volano lo stesso

Esaminiamo allora le cospicue forze in campo. La garibaldina Umi (Unione monarchica italiana) vanta 70mila iscritti. Però il suo presidente, l'avvocato (napoletano!) Alessandro Sacchi, ha racimolato solo 2.677 preferenze alle ultime Europee nella circoscrizione sud: maglia nera di Forza Italia, che invece ha regalato 144mila voti all'ex monarchico Antonio Tajani. 

I neoborbonici sono un variegato mondo di buontemponi, cresciuti online nell'ultimo ventennio assieme a complottisti e grillini. Che qualcosa non quadrasse nel racconto fiabesco del Risorgimento propinatoci dai sussidiari delle elementari ce ne accorgemmo appena sfogliammo le pagine di Gaetano Salvemini, Piero Gobetti o Antonio Gramsci. Poi sono arrivate le pregevoli opere di Gigi Di Fiore e Pino Aprile (padre di Marianna). Il problema, come sempre, sono i seguaci. 

I neoborbonici, a discuterci su Facebook, si rivelano spesso gran pezzi di reazionari. Letteralmente: nati in reazione alla Lega Nord degli anni '80 e '90, quella della secessione. Ma vandeani anche contro due secoli di storia. Basta ricordar loro le gloriose vicende della Repubblica napoletana di Eleonora de Fonseca Pimentel, impiccata nel 1799. E soprattutto il 1848: rivoluzione europea nata a Palermo, mesi prima che a Milano (le Cinque Giornate), Roma e Venezia. I meridionali dovrebbero semmai andare orgogliosi di questa loro primazia patriottica continentale.

Poi c'è l'argomento cardine: ferrovia Napoli-Portici, prima in Italia. Vero, battuta di misura la Milano-Monza. Peccato che i Borboni si siano fermati lì. Nel 1861, all'Unità d'Italia, i treni del Nord erano cinquanta volte più estesi di quelli del Sud. E chi vanta qualche altro merito per il Regno delle Due Sicilie può utilmente visitare le masserie pugliesi, dove i servi della gleba sopravvivevano sottoterra (però lì faceva più fresco, brontolano i neoborbon). 

E Garibaldi? Lui è uscito indenne dal revisionismo antirisorgimentale. Tutti ammettono che è l'eroe più grande della storia d'Italia. Se non altro perché combatteva in prima fila, contrariamente a quasi tutti i nostri generali. E allora, merita l'Eroe dei due mondi la titolazione del Ponte sullo Stretto? Forse no. Per un piccolo particolare: non lo ha mai attraversato. Geniale come sempre, per evitare le navi di Franceschiello nell'agosto 1860 sbarcò in Calabria più a sud, partendo da Giardini Naxos (Messina) per approdare a Melito di Porto Salvo. E issando una bandiera degli Stati Uniti per far fessi i borbonici (dove mai l'avesse trovata, è ulteriore materia per cospirazionisti: poteri forti di Wall Street?). 

Il quesito fondamentale, infine. Chi sta a destra e chi a sinistra, in questa buffa disputa sul Ponte che non c'è? Il Regno delle Due Sicilie (1815-1861) fu una monarchia assoluta, e soprattutto una fregatura per Palermo rispetto alla capitale Napoli. Quindi, da quella parte, nulla di progressista.  

E men che meno fra i monarchici dell'Umi, che si appropriano di Garibaldi con gli stessi diritti del Pci nel 1948: pochi. Perché si sono sempre opposti alla repubblica antifascista, fino ad apparentarsi con i neofascisti del Msi. E le roccaforti dei nostalgici sabaudi erano non Torino e il Piemonte, ma Napoli e Catania. Per il grande scorno dei loro cugini neoborbonici. 

Thursday, September 04, 2025

Recensione Green di Archiviostorico.info

Mauro Suttora

Green

Da Celentano a Greta, storia avventurosa degli ecologisti

Neri Pozza, pagg.256, € 20

 https://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/10802-green 

Con "Green" Mauro Suttora compie un tentativo riuscito di articolare una narrazione storica complessiva del movimento ambientalista con particolare riferimento all'evoluzione italiana, pur in costante dialogo con il contesto internazionale. Giornalista di lungo corso con esperienza diretta sui principali fronti geopolitici e ambientali dell'ultimo quarantennio, Suttora adotta una prospettiva dichiaratamente "popolare", che tuttavia non pregiudica la qualità documentaria dell'opera, né la sua coerenza analitica. Il volume si propone come una sintesi storica accessibile ma metodologicamente sorvegliata, capace di restituire la complessità di un movimento eterogeneo, mobile e attraversato da profonde trasformazioni culturali e politiche.

  Il racconto si apre nel 1966, con il riferimento simbolico al brano "Il ragazzo della via Gluck", interpretato da Adriano Celentano al Festival di Sanremo: una scelta che, al di là del valore aneddotico, segna l'ingresso della sensibilità ecologica nella cultura di massa italiana. Pochi mesi più tardi, la fondazione della sezione italiana del WWF a opera di Fulco Pratesi costituirà un punto di svolta più formalizzato nella nascita di un ambientalismo organizzato. Già nel 1955, tuttavia, l'associazione Italia Nostra si era posta l'obiettivo di difendere il patrimonio culturale e paesaggistico nazionale, anticipando alcuni degli assunti metodologici del successivo movimento ecologista, con un'attenzione particolare alla pianificazione urbanistica e alla conservazione del territorio.

  Il percorso tracciato da Suttora si sviluppa secondo una scansione cronologica che copre oltre sei decenni di storia ambientale, mantenendo una costante attenzione al nesso fra crisi ecologica, mutamenti economici globali e rappresentanza politica. Centrale, in questo senso, è la riflessione sul Rapporto "The Limits to Growth" (1972), commissionato dal Club di Roma e realizzato da un'équipe del MIT sotto la direzione di Donella e Dennis Meadows. L'autore ne coglie la portata paradigmatica: non solo in termini di diffusione dell'idea di "limiti biofisici" alla crescita economica, ma anche per il suo ruolo nel riformulare l'intero impianto epistemologico delle politiche di sviluppo.

  Il volume prosegue con l'analisi delle diverse fasi di istituzionalizzazione dell'ambientalismo, a partire dalla formazione dei primi partiti verdi europei. In Italia, la nascita delle Liste Verdi nel 1987 rappresenta un episodio cruciale, benché il consenso elettorale non abbia mai superato la soglia del 6% a livello nazionale (elezioni europee del 1989). Suttora non elude le criticità strutturali che hanno ostacolato il radicamento dell'ecologismo politico nel panorama italiano: l'eccessiva frammentazione organizzativa, l'incapacità di elaborare una proposta coerente oltre la dimensione protestataria, la tendenza alla subalternità nei confronti di coalizioni maggiori.

  Il disastro di Černobyl' del 1986 viene correttamente individuato come catalizzatore di un'opposizione al nucleare che in Italia trovò una traduzione politica diretta nel referendum abrogativo del 1987, il cui esito sancì il progressivo disimpegno del Paese dall'energia atomica. L'autore ricostruisce con precisione il contesto internazionale, inserendo il caso italiano all'interno di una più ampia ondata antinucleare che ha attraversato l'Europa negli anni Ottanta. Similmente, la Conferenza di Rio del 1992 viene analizzata come momento di passaggio verso una nuova fase dell'ambientalismo, sempre più orientata al problema delle emissioni climalteranti e del riscaldamento globale, con il conseguente spostamento dell'attenzione dal localismo originario alla dimensione planetaria della crisi ecologica.

  Degna di nota è la parte dedicata ai riconoscimenti istituzionali ottenuti da figure simboliche del nuovo ambientalismo globale. La keniota Wangari Maathai, fondatrice del Green Belt Movement, prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la Pace (2004), incarna un'ecologia profondamente intrecciata con le istanze di giustizia sociale e di emancipazione femminile. Similmente, il Nobel assegnato ad Al Gore nel 2007, in seguito alla diffusione del documentario "An Inconvenient Truth" (2006), segnala l'emersione di una sensibilità ecologista nel cuore stesso delle élite transnazionali.

  Suttora dedica particolare attenzione anche alla svolta contemporanea rappresentata dall'attivismo giovanile, con l'irruzione sulla scena pubblica di Greta Thunberg nel 2018 e la nascita del movimento Fridays for Future. La trattazione è equilibrata e scevra da entusiasmi retorici: l'autore ne riconosce la capacità di catalizzare l'attenzione mediatica e riattivare la mobilitazione collettiva, ma non tace i limiti dell'azione simbolica, né le difficoltà strutturali nel tradurre la protesta in cambiamento legislativo stabile. L'analisi tocca anche i casi controversi di disobbedienza civile e vandalismo a fini dimostrativi, collocandoli all'interno di una riflessione più ampia sulle tensioni fra urgenza climatica e legittimità democratica delle forme di lotta.

  L'ultima parte del volume affronta con competenza il quadro normativo internazionale, dal Protocollo di Kyoto (1997) all'Accordo di Parigi (2015), per giungere al Green Deal europeo, che sancisce l'impegno dell'Unione verso una transizione climatica strutturale. Suttora evidenzia con lucidità le contraddizioni di tale processo, in particolare gli effetti redistributivi della transizione energetica, che rischiano di accentuare diseguaglianze sociali e squilibri economici. Particolare rilievo è dato al fenomeno del "negazionismo di Stato", esemplificato dal ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sotto la presidenza di Donald Trump, poi revocato con l'insediamento di Joe Biden.

  L'autore attinge a una vasta gamma di materiali – documenti istituzionali, articoli giornalistici, interviste, dati statistici – selezionati con attenzione e contestualizzati criticamente. Lo stile, pur narrativo, mantiene un registro sobrio e scorrevole, adatto a una lettura colta ma non specialistica.

  Nel complesso, il volume si configura come un contributo significativo alla storiografia sull'ambientalismo, colmando una lacuna nella saggistica italiana recente.

La Redazione, 2 settembre 2025

Tuesday, September 02, 2025

Sì è genocidio. Lo hanno deciso genocidiologi autonominati

La bizzarra pronuncia della Iags, che ha votato la sentenza su Israele fra i suoi membri. Si diventa tali se ci si dichiara attivisti dei diritti umani e si paga una quota. La giuria di Ponzio Pilato dava più garanzie

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 2 settembre 2025 

Lo ha deciso la Iags, International association of genocide scholars: Israele è colpevole di genocidio a Gaza. Scansatevi, corti internazionali dell’Aia che un anno fa avete aperto inchieste e disposto l’arresto di Bibi Netanyahu, ma non avete ancora concluso niente. La sentenza è arrivata ieri, inappellabile, emessa dall’Associazione internazionale degli studiosi di genocidio. I quali ammontano a ben 500, e l’86 per cento di loro ha votato contro Israele. 

Incuriositi, siamo andati a vedere chi sono i membri di questo consesso. Definito da qualcuno “il più autorevole al mondo”. Può darsi, anche perché è l'unico a occuparsi della triste materia. 

Abbiamo così scoperto che chiunque può iscriversi all’Associazione: basta dichiararsi “attivista dei diritti umani” e pagare online una quota dai 35 dollari annui a 135, a seconda del reddito. Sconto a chi si iscrive per due anni: 50-210 dollari. L’elenco soci sul sito mostra una prevalenza di arabi e terzomondisti, studenti di materie come “studi anticoloniali”, “storia dei movimenti di liberazione in Africa e Sudamerica”, ecc.

Curioso ribaltamento, per un organismo fondato nel 1994 dallo psicologo Israel Charny, dalla sociologa ebrea americana Helen Fein e dal sopravvissuto all’Olocausto Robert Melson. Fino ad allora il dibattito era sull’equiparazione del genocidio armeno a quello ebraico, con molti studiosi trincerati sull’unicità di quest’ultimo. Difficile ottenere lo status di genocidio anche per l’Holomodor ucraino del 1933 e per quello cambogiano del 1975-78. 

Poi, con lo sterminio dei tutsi ruandesi e la strage di Srebrenica nel 1995, il concetto di genocidio si è ampliato. E si sono moltiplicate le cattedre sull’argomento nelle università di tutto il mondo. Cosicché oggi i soci dell’Associazione spaziano dai curdi che chiedono un riconoscimento per i loro supplizi agli appassionati di giustizia di transizione, riparativa, di popoli indigeni, autoritarismo, gender, terapia del trauma, diritti 2SLGBTQI+. Insomma, quel tipo di studi accademici finiti nel mirino della presidenza Trump.

Nell’elenco dei membri Iags abbiamo trovato due soli italiani: i docenti universitari Flavia Lucenti, non più attiva, e Stefano Saluzzo, che insegna diritto internazionale all’ateneo del Piemonte orientale.

Fra un mese l’Associazione terrà il suo congresso biennale in Sud Africa. Sede appropriata, visto che è stato il governo di Johannesburg a chiedere l’incriminazione di Israele per genocidio a Gaza.

Quale valore giuridico ha il pronunciamento dei “genocidiologi”? Zero. Quanto al peso politico di questa primizia di sentenza planetaria “democratica”, emessa tramite sondaggio online da studiosi autonominati, probabilmente la giuria della piazza cui Ponzio Pilato fece scegliere fra Gesù e Barabba era più equilibrata. 

Wednesday, August 20, 2025

Fatevi da parte, vi aspetta il livello 11.988 di Candy Crush!

Che cosa spinge i due cacicchi a perpetuare la loro vita politica? Non sanno che in pensione si possono leggere libri, vedere film, fare gite e appagare l’ozio come pare – e cioè tutte cose meravigliose?

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 20 agosto 2025

Alcuni dogi veneziani furono accecati alla fine del loro mandato, affinché non cercassero di riconquistare il potere con la forza.

Destino meno crudele ma egualmente ingiusto per Bill Clinton e Barack Obama: costretti alla pensione a 54 e 55 anni dal limite Usa di otto anni per i presidenti. E il francese Emmanuel Macron ne avrà appena 50 quando dovrà andarsene, fra due anni.

Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, invece, sono riottosi. Non vogliono pensionarsi, dopo trenta e vent’anni rispettivamente alla guida (pare eccellente) di Salerno, Bari, Campania e Puglia.

Estirpare i cacicchi dai loro feudi un tempo era facile: bastava regalar loro un ministero a Roma o un euroseggio a Bruxelles. Ma il Pd oggi è impossibilitato a offrire tali sontuosi scivoli: non è alle viste un cambio di governo in Italia, e il prossimo voto europeo sarà nel 2029.

Quindi il 76enne Vincenzo e il 66enne Michele si agitano, non ne vogliono sapere di abbandonare la scena. Chiedono successioni dinastiche (De Luca jr segretario campano del Pd) o una candidatura da consigliere regionale (ma così Emiliano farebbe ombra al candidato presidente Antonio Decaro).

La domanda come sempre è: cosa spinge i politici a reputarsi indispensabili? E quale horror vacui temono, una volta restituiti agli affetti familiari?

Lasciamo perdere le banalità antipolitiche e qualunquiste sull'invincibile piacere del potere, droga che trasforma in cozze. Non conosciamo il numero di nipotini del duo dinamico meridionale. Ma altri prepensionati più illustri di loro hanno dimostrato che “reinventarsi” non è solo un luogo comune per consolare gli ex, privati di risarcimento. Massimo D’Alema si è dedicato a barche, vino, consulenze belliche sudamericane e alti studi di politica estera. Walter Veltroni, fra libri, film, editoriali e interviste subìte o inflitte, risulta onnipresente.

E comunque, chi ha detto che gli anziani devono “darsi da fare”? Godersi la liquidazione significa anche andare al cinema, al teatro e al ristorante, viaggiare, guardare ottimi film in tv, leggere libri stupendi. In una parola: divertirsi.

Naturalmente consigliamo a Vincenzo e Michele di compulsare gli eterni saggi consigli sulla senectute di Cicerone e Seneca, o almeno quelli contemporanei di Beppe Severgnini. Oppure di ascoltare la canzone di Charles Aznavour Devi sapere (lasciar la tavola dopo il dessert). C’è chi si riempie la vita anche solo guardando un tramonto, per non parlare dello sport visto e praticato.

Ma la principale amica del post tfr è la pigrizia. Un ozio creativo probabilmente sconosciuto a Vincenzo&Michele, e che invece impreziosisce la vita. Questo articolo, per esempio, non lo avrei mai scritto se il direttore Mattia Feltri non me lo avesse chiesto, strappandomi alle interminabili partite di CandyCrush (in dieci anni sono arrivato allo stadio 11.988), alla lettura di HuffPost e dei giornali, e al cazzeggio colto di Facebook su Ucraina e Gaza. Ho appena postato su Instagram le foto della gita di lunedì a Sighignola, belvedere fra Como e Lugano.

Ma ora vi devo lasciare, perché mi aspetta l'ultimo film con John Malkovich e Fanny Ardant al cinema Colosseo di Milano. Alle ore 15, per usufruire dello sconto +65 al primo spettacolo dei giorni feriali.