mauro suttora
Saturday, February 15, 2025
Dite a Vance che la libertà di parola nasce a sinistra
Quello che ho fatto mentre voi guardavate Sanremo, e di come ne ho giovato assai
Non abbiamo nulla contro chi guarda Sanremo. Anzi, siamo perfino amici e parenti di vari fra loro. Ma codesti dodici milioni di sventurati ignorano che i mille canali delle nostre tv hanno offerto appetibili alternative al mainstream. Il quale poi a ben vedere maggioritario non è: otto italiani su dieci risultano infatti felicemente festival-free, e sette su dieci non hanno neanche acceso la tv
di Mauro Suttora
Huffingtonpost.it, 15 febbraio 2025
Benedetta controprogrammazione. Grazie a lei, i 47 milioni di italiani su 60 che evitano Sanremo si sono fatti una scorpacciata di superbi film. Io ho cominciato martedì sera ammirando la bellezza di un 29enne John Cassavetes nel western 'Lo sperone insanguinato' del 1958 su Iris. Durante gli spot ho intravisto la Juve battere 2-1 gli olandesi della Philips in Champions, ma soprattutto il Real Madrid vincere sul City.
Mercoledì Rai Storia ci ha regalato uno stupendo documentario su Ennio Flaiano. Finito il quale sono andato su Sky, che ha recuperato 'Palombella rossa' di Nanni Moretti, rarità in tv. Incredibile sia uscito due mesi prima del crollo del comunismo nell'89. La crisi del funzionario Pci interpretato dal genio di Monteverde continua peraltro 36 anni dopo: ci sono politici pd che parlano ancora come lui, stessa inflessione, tic verbali, incredulità verso la realtà che li maltratta.
Noi che non ci facciamo maltrattare dal simpatico Carlo Conti ci eravamo dimenticati che nella colonna sonora di 'Palombella rossa' spiccano una delle canzoni più belle di Bruce Springsteen, 'I'm on fire', oltre che 'E ti vengo a cercare' di Battiato. Quindi la nostra razione giornaliera di musica di qualità, latitante sulla riviera dei fiori, ci è stata assicurata.
Giovedì sera era difficile scegliere fra due capolavori: 'Gli ultimi giorni di Hitler' con Bruno Ganz su Rai3 e 'JFK' di Oliver Stone su Raimovie. D'attualità quest'ultimo dopo che Donald Trump ha ordinato la pubblicazione degli ultimi documenti sull'assassinio di John Kennedy, ancora inopinatamente tenuti segreti.
Confesso però che alle 22 e trenta non ho resistito: ho guardato i Duran Duran al festival. Spiazzante la loro versione di 'Psychokiller' dei Talking Heads: ragazzi, già il vostro repertorio risale a 40 anni fa, e voi infierite con musica ancor più vecchia, di quasi mezzo secolo?
Che ci sia vita fuori Sanremo lo ha confermato la serata di venerdì. Forse la meno inguardabile del festival, data l'assenza delle canzoni in gara e la presenza di Geppi Cucciari. Ma la concorrenza della cineteca diffusa sugli altri canali si è dimostrata di nuovo irresistibile. In prime time la 'Congiura degli innocenti' di Alfred Hitchcock con una debuttante Shirley MacLaine su Raimovie.
E poi 'Le belve' (2012), ancora di Oliver Stone su Italia 1, dove Salma Hayek nei panni di una boss della droga risulta improbabile quanto l'attuale Emilia Perez, narcoboss che cambia sesso e minaccia di vincere l'Oscar fra due settimane. Il film di Stone è godibile perché meno campato in aria del nuovo, sgangherato musical lgbtq con l'attrice protagonista trans che forse si è mangiata l'Oscar per alcuni suoi tweet di cinque anni fa contro l'Islam, accusati chissà perché di razzismo.
Noi invece non siamo razzisti, non abbiamo nulla contro chi guarda Sanremo. Anzi, siamo perfino amici e parenti di vari fra loro. Ma codesti dodici milioni di sventurati ignorano che i mille canali delle nostre tv hanno offerto appetibili alternative al mainstream. Il quale poi a ben vedere maggioritario non è: otto italiani su dieci risultano infatti felicemente festival-free, e sette su dieci non hanno neanche acceso la tv.
Thursday, February 13, 2025
Noa e Mira spiegate a Ghali e a quelli come lui
Perché, della coppia che ha cantato a Sanremo, dire che non è costituita da un’israeliana e una palestinese ma da due israeliane non ha molto senso
di Mauro Suttora
13 febbraio 2025
Tutti contro Mira Awad. Sui social si è sviluppata una curiosa convergenza fra proPal di sinistra e israeliani di destra nel criticare l’esibizione a Sanremo della cantante palestinese. Che in coppia con la israeliana ebrea Noa ha cantato l'inno pacifista Imagine di John Lennon.
“Non è una vera palestinese!”, protestano gli opposti estremisti, fra cui il cantante Ghali, italiano di origini tunisine. “È cittadina israeliana”, dicono i proPal. “È un'araba israeliana”, dicono i sionisti. Tutto vero. Ma è vero anche che Mira Awad ci tiene a essere considerata palestinese. Il che non è in contraddizione con le altre definizioni. A meno che non si voglia toglierle il diritto all’identità individuale.
In Israele infatti vivono due milioni di palestinesi, cittadini di religione islamica o cristiana con eguali diritti rispetto agli otto milioni di religione ebraica. Possono votare per i loro partiti, che sono rappresentati alla Knesset e hanno anche governato fino a due anni fa, prima di Benjamin Netanyahu. Uno di loro, Issawi Frej, è stato ministro della Cooperazione regionale per il partito di sinistra Meretz fino al dicembre 2022, nel governo del premier Yair Lapid. Come tutte le democrazie, infatti, Israele è uno Stato multietnico.
Sarebbe peraltro difficile trovare una donna palestinese cantante proveniente da Gaza: Hamas, alla pari di tutti i fondamentalisti islamici, proibisce la musica. Quanto ai fondamentalisti ebrei, loro sono infastiditi dalla definizione “palestinesi” per gli arabi israeliani, perché allude a un futuro in cui essi potrebbero farsi valere con la forza dei numeri. Ma sono questioni nominalistiche.
Insomma, nel complicato intreccio del conflitto Israele/Palestina le distinzioni si possono stiracchiare a piacimento. Due cose però sono certe: che i palestinesi di cittadinanza israeliana come Mira sono fra gli arabi che godono di maggior libertà al mondo (anche quella di collaborare con una cantante ebrea senza essere minacciati né ostracizzati come collaborazionisti); e che la canzone di Mira e Noa a Sanremo è stata un bel messaggio di pace. Non inzaccheriamolo con accuse fantasiose di ziotommismo.
Monday, February 10, 2025
Giorno del Ricordo. L’autodafé di un esule
Un libro di Diego Zandel racconta le fucilazioni degli antifascisti. “Mi pento di aver fatta mia la narrazione di un parte politica che ha infangato la sofferenza di un popolo”. Se una delle etnie istriana fosse stata di colore, “saremmo tutti mulatti”. Enorme complessità delle foibe
di Mauro Suttora
Huffingtonpost.it, 10 Febbraio 2025
Alle otto di mattina del 3 maggio 1945 il capo della polizia segreta di Fiume (Rijeka), Oskar Piškulić, irrompe nella casa dell’antifascista Giuseppe Sincich assieme alla sua compagna Avjanka Margetić e a quattro partigiani armati di mitra che lo trascinano via. Il cane lupo dei Sincich riconosce Avjanka, le va incontro e lei, in divisa di partigiana, gli fa una carezza.
"Ho visto allontanarsi mio papà", racconta Antonia, figlia di Sincich, "ma dopo alcuni passi è tornato indietro. Per salutarmi mi ha dato un bacio, freddo, pallido, per poi tornare sotto la scorta di quegli sgherri che gli dicevano in croato 'aide, aide', muoviti. Dopo un quarto d’ora ho sentito una sventagliata di mitra. Il suo cadavere, crivellato di colpi, fu poi trovato da mio fratello davanti all’entrata del cantiere navale di Cantrida, poco lontano da casa nostra".
Lo scrittore Diego Zandel racconta questo episodio nel suo ultimo libro, Autodafé di un esule (ed.Rubbettino): “È una filiazione del più dirompente memoir antitotalitario della nostra letteratura, Uscita di sicurezza di Ignazio Silone”, scrive Andrea Di Consoli nella prefazione.
Zandel, 76 anni, è uno dei non tanti esuli istriani di sinistra. I più noti: lo scrittore Fulvio Tomizza, il cantautore Sergio Endrigo, Livio Labor presidente Acli e senatore del Psi, Rossana Rossanda fondatrice de Il manifesto.
“Non mi pento di aver aderito al socialismo”, dice. “Le tradizioni operaie nelle nostre terre, nelle città portuali e cantieristiche come Fiume e Pola, erano radicate. Ma non impedirono ai fiumani e agli istriani di andarsene dopo la loro annessione alla Jugoslavia comunista. È fondamentale precisare ‘comunista’, perché probabilmente una Jugoslavia democratica, liberale, rispettosa delle libertà individuali, non avrebbe provocato il terremoto che c’è stato nel 1945-47, sconvolgendo equilibri secolari. Mi pento, invece, di aver fatto anche mia una narrazione messa in piedi da una parte politica che, avendo grandi responsabilità, non ha esitato a infangare le sofferenze e la tragedia di un intero popolo, dipingendo l’esodo come la reazione di una massa di furfanti fascisti che scappavano dalle maglie della giustizia socialista, messi in fuga dalla lotta popolare antifascista. Mentre era una messa in salvo dal terrore – foibe, intimidazioni, minacce, espropri, licenziamenti, sfratti – imposto dal maresciallo Tito”.
L’altra narrazione della sinistra italiana era, spiega Zandel, la giustificazione di quelle azioni: ritorsioni degli slavi per l’aggressione fascista dei Balcani nel 1941, le stragi, i campi di concentramento, l’italianizzazione forzata del ventennio. Tutte cose che ci possono stare. Ma che non sono da mettere in corrispondenza diretta con il popolo istriano, fiumano e dalmata, che aveva una secolare tradizione di convivenza tra etnie diverse, con incroci ad ogni livello. Zandel stesso è di famiglia mista. Dice il fiumano Andor Brakus, nato in un campo profughi pugliese nel 1952: “Se una delle etnie presenti sul nostro territorio fosse stata di colore, la stragrande maggioranza di noi sarebbe mulatta”.
Piškulić è stato processato dal 1994 al 2002 a Roma per tre omicidi di antifascisti italiani. Oltre a Sincich, Nevio Skull (colpo alla nuca) e Mario Blasich (strangolato nel suo letto): dirigenti autonomisti che si erano rifiutati, fin dai primi incontri nel 1944 con gli emissari di Tito, di accettare l’annessione di Fiume alla Jugoslavia.
Gli autonomisti propugnavano lo Stato libero di Fiume già a fine Ottocento, nei confronti del regno d’Ungheria di cui questa città cosmopolita era il porto; nel 1919 si opposero all’annessione sia alla neonata Jugoslavia sia all’Italia, mettendosi poi anche contro Gabriele D’Annunzio e la sua Reggenza del Carnaro. E finita l’avventura dannunziana nel Natale 1920, fu istituito lo Stato libero di Fiume con Riccardo Zanella presidente. Fino a quando un golpe guidato dal fascista triestino Francesco Giunta non rovesciò Zanella il quale, come altri capi autonomisti, scelse l’esilio.
Nel 1924 Fiume fu spartita fra Italia e Jugoslavia. Tuttavia gli autonomisti continuarono ad essere popolari in città, per cui nel 1944 Tito cercò di coinvolgerli nel suo progetto annessionistico. Quelli rifiutarono, e furono eliminati senza pietà. Oltre alle tre vittime di Piškulić, agghiacciante anche la fine di Angelo Adam: ebreo, antifascista, riparato a Parigi per sfuggire ai fascisti ma lì raggiunto dall’occupazione nazista nel 1940, internato a Dachau, commise l’errore di tornare a casa. Sparì. E con lui la figlia, che era andata a chiederne notizie alle autorità comuniste.
Seguirono anni di violenze con centinaia di omicidi: una stagione di terrore che fece scappare anche i genitori di Zandel, nonostante il padre fosse stato partigiano e l’etnia croata della madre.
“Fra maggio 1945 e dicembre 1947, in tempo di pace, solo a Fiume furono 543 le persone delle quali non si seppe più nulla”, denuncia Zandel. Nel 1946 cominciò l’emorragia dei fiumani. Se ne andarono in 32 mila, il 90 per cento degli abitanti italiani. La pulizia etnica fu completa.
Piškulić, ormai 70enne, è stato giudicato in contumacia dall’Italia dopo il crollo della Jugoslavia. Ma viene assolto per “difetto di giurisdizione”. Sentenza incredibile perché, quando commise i suoi crimini, Fiume era ancora de jure sotto l’Italia. Lui ha ricevuto la pensione Inps fino alla morte. Il 10 febbraio serva almeno per ricordare i nomi delle sue vittime.
Friday, February 07, 2025
La guerra dei cessi. Ovvero perché vince Donald Trump
Conferenza sull'intelligenza artificiale a Londra, politicamente correttissima: cibo vegano, bagni gender neutral. Però nel centro congressi ci sono solo bagni tradizionali per uomini e per donne. Quindi come si fa?
di Mauro Suttora
Huffingtonpost.it, 7 febbraio 2025
Ecco perché vince Donald Trump. Il mio amico Vittorio Bertola è a Londra per una conferenza sull'intelligenza artificiale politicamente correttissima: cibo vegano, bagni gender neutral. Però nel centro congressi di quest'anno, racconta, ci sono solo bagni tradizionali per uomini e per donne. Quindi come si fa? La scelta è stata quella di lasciare il bagno delle donne come tale, e di etichettare come neutro quello degli uomini.
Però, c'è un problema: il bagno degli uomini, ovviamente, ha gli urinali. Allora, cosa succede se nel bagno neutro entra una persona non binaria che non vuole mostrare i genitali, che magari non sono maschili, oppure si sente turbata dalla presenza nel corridoio di persone di sesso biologico maschile con il pisello di fuori?
La soluzione è stata di dichiarare tutti gli urinali fuori uso, costringendo a usare soltanto le toilette chiuse. Certo, così durante le pause si forma una discreta coda, ma l'identità mingitoria di tutti è salvaguardata.
Il maggiore risultato concreto, tuttavia, è che come sempre i maschi hanno mirato male, pisciando qualche goccia fuori dal vaso. Non hanno pulito i bordi del vaso con carta igienica come raccomandava Berlusconi agli iscritti di Forza Italia ("Avete il cesso sporco? Invitate un forzista a casa vostra, lo pulisce lui!", scrisse Cuore nel 1994) e quindi dopo un po' c'era una puzza orribile.
Monday, February 03, 2025
Beatles e Stones premiati ai Grammy. Stavolta il rock è davvero morto
Se infatti occorre assegnare premi postumi resuscitando John Lennon, autore di Now and Then, o premiare ultraottuagenari sgambettanti come Mick Jagger, non è più vero che il "rock and roll will never die", come cantava Neil Young
di Mauro Suttora
Huffingtonpost.it, 3 febbraio 2025
Beatles e Rolling Stones incredibilmente assieme dopo 60 anni. Hanno vinto il Grammy (l'Oscar della musica), i primi per la 'migliore performance rock' con Now and Then, i secondi per il 'miglior album rock' con Hackney Diamonds. Ma questi due trionfi sanciscono la morte del rock. Se infatti occorre assegnare premi postumi resuscitando John Lennon, autore di Now and Then, o premiare ultraottuagenari sgambettanti come Mick Jagger, non è più vero che il "rock and roll will never die", come cantava Neil Young.
Il rock è morto perché ormai esprime poco o nulla. In mancanza degli unici gruppi che avrebbero potuto rivaleggiare con i vecchi mostri sacri, U2 e Coldplay, i nominati infatti erano altri signori di mezza età su piazza da decenni: Green Day, Jack White, Pearl Jam, Black Crowes. Anche gli Idles sono +40. Gli unici giovani sono i Fontaines, ma anche loro con sei album alle spalle.
Così, per sopravvivere, il rock deve affidarsi a mummie come gli Stones che hanno appena cancellato il loro tour europeo, o a rifacimenti con l'intelligenza artificale di canzoncine tirate fuori dal cassetto di Yoko Ono, vedova Lennon.
Nessuno nega la loro grandezza, probabilmente Paul McCartney è stato il maggiore musicista del '900. Ma ormai è da un quarto di secolo che siamo entrati nel nuovo millennio, e continuare a premiare i Beatles è desolante. Se poi a tanto vecchiume aggiungiamo il (bellissimo) film sull'83enne Bob Dylan, 'A Complete Unknown', che fra tre settimane spazzolerà premi Oscar, lo stato comatoso del rock attuale è certificato definitivamente.
Già nel 1959 il giorno in cui morirono in un incidente aereo i protorocker Buddy Holly e Ritchie Valens fu definito "the day the music died". Oggi siamo in grado di confermarlo.
Friday, January 24, 2025
Cari complottisti, la verità su JFK sarà molto più noiosa delle vostre fantasie. E voi non crederete nemmeno a quella
Trump toglie il segreto alle carte sugli assassini dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King. I cospirazionisti di tutto il mondo dovrebbero essere soddisfatti, qualunque cosa emerga. Ma non sarà così
di Mauro Suttora
Huffingtonpost.it ,24 gennaio 2025
Sono insaziabili. Neanche leggere le ultime migliaia di documenti segreti sull'assassinio di John Kennedy li soddisferà. I complottisti continueranno a sospettare che ci sia qualcos'altro dietro. Un fotogramma dimostrerà la presenza di una canna di fucile in lontananza, e chi l'ha detto che Jack Ruby che sparò a Lee Oswald che sparò a Kennedy sia morto veramente di tumore solo tre anni dopo? Dove sono i referti? Ooops, che coincidenza, direbbe Red Ronnie-Crozza.
Donald Trump ha ordinato la desecretazione di ogni file sull'omicidio più famoso del XX secolo, e anche sulle morti nel 1968 di Robert Kennedy e di Martin Luther King. Benissimo. Peccato che sia la seconda volta che lo fa. La prima, durante l'altro suo mandato, ci riuscì solo parzialmente. Cia e Fbi si opposero alla declassificazione totale in nome della sicurezza nazionale. E Trump dovette chinare la testa: "In alcuni casi l'interesse alla riservatezza supera quello alla pubblicità", ammise, in un raro momento di arrendevolezza.
Ce la farà, questa volta? Lo ha promesso in campagna elettorale a Robert Kennedy junior, per fargli ritirare la candidatura a presidente. Poi lo ha nominato ministro della sanità. Su quella mentale di Rfk il giovane non giureremmo. Lui ovviamente è convinto che ad ammazzare lo zio sia stata la Cia.
È in buona compagnia. Decine di milioni di statunitensi sono sicuri che la verità sui tre omicidi eccellenti degli anni '60 non sia stata ancora trovata. E fra questi, milioni sono straconvinti che oltre alla colpa (indagini slabbrate, piste non seguite) ci sia stato anche il dolo: una verità così tremenda - Cia e Fbi colpevoli - da dover rimanere nascosta.
In inglese la parola 'complottismo' si traduce 'cospirazionismo'. La definizione è nata nel 1941, quando non pochi sospettarono che Franklyn Roosevelt sapesse in anticipo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, utile per sconfiggere pacifisti e isolazionisti e far entrare gli Usa in guerra.
Ma il trionfo degli scettici è arrivato solo nel 1963, dopo l'uccisione di Jfk. Da allora il concetto di 'deep state' ha fatto fortuna. Più fra i fascistoidi che fra i comunisti: lo 'stato profondo' che con i suoi tentacoli nascosti governa il Paese eliminando i politici devianti dai loro turpi voleri è infatti una definizione più inquietante di quella marxista. I complottisti di estrema sinistra almeno hanno sempre dato un nome ai poteri forti che dominano gli Usa: Wall Street, corporations, finanza, banche, capitalismo, multinazionali, big pharma, complesso militare-industriale, neoliberismo.
Nello stralunato mondo dell'estrema destra invece si fluttua fra massoni, pedofili, rettiliani, ebrei, Soros, Bill Gates. La fantasia degli adepti del gruppo trumpiano Qanon è debordante, ottima per la sceneggiatura di film, disperante per chi cercasse un contatto con la realtà. L'unica convergenza fra mattacchioni di estrema destra ed estrema sinistra è il binomio diabolico Cia-Fbi. Come per le teorie sull'11 settembre.
È ormai passato un terzo di secolo dal film Jfk di Oliver Stone (1991), affascinante sequela di dubbi che trascinano inevitabilmente al "noncelacontanogiusta". Nuove generazioni di imbecilli si sono aggiunte agli analfabeti di ritorno che "ci ragionano sopra", "uniscono i puntini", "a me non la fai".
Ai nostri autoctoni grillini si sono via via aggiunti novax, putinisti, propal, trumpiani, lepeniani, voxiani, faragiani, neonazi tedeschi di AfD. Un vorticoso carosello di sprovveduti che a volte vincono le elezioni, e quando poi il loro capo mette la testa a posto causa contatto con la realtà si deprimono, si intristiscono ma infine indomiti reagiscono: "Ovvio, i poteri forti sono così forti che lui/lei ha dovuto adeguarsi. Se no l'avrebbero ucciso/a. Proprio com'è capitato a Jfk".
Perché gli assiomi dei complottisti sono a prova di bomba. E anche di documento. Quindi, dopo la definitiva operazione trasparenza ordinata da Trump, se anche dovesse emergere un'inconfutabile estraneità del duo Cia-Fbi nella morte dei due Kennedy e di Mlk, i cospirazionisti rimarranno tali. Come sempre incolperanno "loro". Loro chi? "Ma è ovvio: le élites cosmopolite, la mafia, i mondialisti, i servizi segreti deviati, i media asserviti", ci risponderanno, sorridenti per la nostra dabbenaggine credulona. La nostra.
Thursday, January 23, 2025
Lobby o advocacy? Per fare digerire il Green Deal l'Europa spende un miliardo
Per la consapevolezza ecologica, diranno soddisfatti a sinistra. Per farci inghiottire il rospo, ringhiano furibondi a destra
di Mauro Suttora
www.huffingtonpost.it, 23 gennaio 2025
Il quotidiano olandese De Telegraaf rivela che la Commissione Ue ha dato 700mila euro all'Eeb (European environmental bureau) per fare lobbying verde presso gli eurodeputati. Esisterebbero contratti 'segreti' firmati dall'ex commissario Ue all'ambiente, Frans Timmermans.
In realtà i finanziamenti sono molti di più, ma tutti alla luce del sole. Da una ventina d'anni infatti si sono moltiplicate le spese Ue per l'ambiente. Nessun problema finché si tratta di interventi concreti: costruire depuratori o argini di fiumi, bonificare terreni inquinati, gestire oasi naturalistiche. Un po' più complicato lo status di altri finanziamenti che possono essere definiti 'autolobbying', o più crudamente propaganda.
L'Eeb è un coordinamento di 180 associazioni ambientaliste di 40 Paesi. Otto sono italiane. Le più grandi sono Legambiente e Pro Natura. Gli altri sono piccoli gruppi: Cielo buio (contro l'eccessiva illuminazione notturna), Cittadini per l'aria, Free rivers, Genitori antismog, Società speleologica italiana e, dall'anno scorso, Green impact. Mancano Wwf, Greenpeace, Italia nostra.
Ebbene, il bilancio di questo Ufficio europeo per l'ambiente è di 7,6 milioni annui (dati 2023), dei quali due milioni versati dalla Ue. Si tratta quindi di un ente anfibio, un po' ufficiale (e infatti è inserito nel sito web della Commissione), un po' espressione delle ong. Ha un'ottantina di dipendenti, i cui salari costano cinque milioni annui. Le associazioni versano solo 336mila euro. Il resto del bilancio è coperto oltre che dalla Ue, da ministeri per l'ambiente di Paesi europei nordici e da fondazioni private. Fra queste, per la gioia dei complottisti, la Open society di George Soros (al quarto posto nella classifica dei donatori) e Bloomberg.
Ma cosa fa esattamente l'Eeb? "Ci battiamo per far avanzare le politiche di protezione dell'ambiente", spiegano loro stessi. Lobby? Certo, infatti la sede è a Bruxelles, vicino all'Europarlamento. Legittima? Come no, anzi benemerita, per chi ha a cuore la miriade delle campagne ecologiste e animaliste. Un po' meno per le destre europee, che infatti hanno amplificato lo scoop del Telegraaf mettendo nel mirino i "finanziamenti pubblici occulti all'ideologia green".
La parola chiave è 'advocacy'. Se si traduce in italiano con l'inoffensivo 'patrocinio', è comprensibile che la Ue, come tutti gli enti pubblici (stati, regioni, comuni), lo conceda destinando anche qualche soldo a manifestazioni, convegni e studi per le cause più disparate. Ma se significa lotta, promozione o propaganda (in una parola: lobby), è fatale che chi ha idee diverse si irriti per l'uso di danaro pubblico. E ancora peggio se i fondi sono concessi dalla Commissione Ue per influenzare il Parlamento Ue: due bracci della stessa istituzione che cercano di influenzarsi a spese degli ignari cittadini.
Un esempio concreto. Fra i programmi Eeb finanziati dalla Ue c'è il Dear (Development education e awareness raising: aumento di sensibilizzazione ed educazione allo sviluppo). Uno dei suoi trenta progetti, Change of climate, è costato dieci milioni in tre anni e mezzo ed è stato coordinato dall'ente italiano WeWorld e dall'università di Bologna. È servito a "far comprendere a studenti e opinione pubblica il collegamento fra crisi climatica e immigrazione": ovvero, gli abitanti di zone del Terzo mondo colpite da eventi estremi che diventano 'rifugiati ambientali'.
Tema controverso, soprattutto per gli elettori del centrodestra che gridano all'indottrinamento. Immaginiamo il putiferio se programmi simili fossero organizzati non indirettamente dalla Ue sotto sigle astruse, ma da un qualsiasi ministero o assessorato italiano.
Bene, moltiplicate per cento i progetti simili finanziati parzialmente o totalmente ogni anno dalla Commissione europea con le sue varie sigle Horizon, Life, NextGen, e si raggiunge facilmente la cifra di un miliardo. Per la consapevolezza ecologica, diranno soddisfatti a sinistra. Per farci inghiottire il Green deal, ringhiano furibondi a destra