Mussolini era razzista dal 1921
di Nicola Tranfaglia
L'Unità, 1 dicembre 2009
L’Italia, dopo la sua tardiva unificazione nazionale, ha avuto (possiamo dirlo con sicurezza, almeno fino a questo momento) un solo dittatore ed è stato il romagnolo Benito Mussolini. Certo uomini politici dell’età liberale, come Crispi e Giolitti, hanno dominato per alcuni anni l’orizzonte politico nazionale ma non si può parlare di dittatori, nell’uno come nell’altro caso. L’unico che ha fissato la sua egemonia personale in maniera stabile, per più di vent’anni, abrogando di fatto lo Statuto Albertino e chiudendo parlamento, sindacati e giornali di opposizione, è stato Mussolini. Di qui il grande mito nato nell’immaginario collettivo degli italiani, le numerose biografie che sono state scritte, nonché l’esaltazione smisurata che anche uomini che venivano dalla sinistra hanno coltivato del caposupremo del regime e del partito unico, fondato per sostenerlo.
Ora, a distanza di70 anni dalla catastrofe del regime fascista nell’aprile 1945, vengono pubblicati presso Rizzoli i Diari 1932-38 (a cura di Mauro Suttora, Mussolini segreto, pp. 522.euro 21) di Claretta Petacci che di Mussolini fu la giovanissima (20 anni nel 1932) e poco segreta amante per tutti gli anni trenta e quaranta fino alla morte per fucilazione con il suo uomo presso Dongo. Sono diari conservati prima nel giardino della villa della contessa Rina Cervis, poi nel 1950 confiscati dai carabinieri e conservati nell’Archivio Centrale dello Stato, con il vincolo del segreto di Stato. Soltanto quest’anno sono stati resi accessibili ai ricercatori fino al fatidico anno 1938.
Ma quale è l’aspetto più interessante dei Diari emersi dopo tanto tempo dai nostri archivi? Ce ne sono almeno due che guidano il lettore interessato al passato del nostro paese, ai suoi costumi, alla sua cultura, a personaggi (parlo di Mussolini anzitutto) che hanno contato per molto tempo nella mentalità media degli italiani. Il primo aspetto evidente è la disparità tra l’uomo e la donna che emerge con grande evidenza nelle pagine di Claretta Petacci. I due amanti sono molto gelosi l’uno dell’altra ma c’è una differenza fondamentale: Mussolini fa di continuo “scappatelle” con altre donne (la ex favorita del Duce Romilda Ruspi Mingardi che alloggia addirittura a villa Torlonia dove il suo amante vive con la moglie Rachele e i figli ma anche altre amanti del passato che ogni tanto tornano da lui e lo sollecitano a riprendere il rapporto); Claretta, invece, non ha altre avventure ma viene di continuo sospettata da Benito e minacciata di essere lasciata per sempre.
Emerge con chiarezza il diverso significato dei tradimenti di lui e di quelli, peraltro inesistenti, di lei: Claretta lo rimprovera e si arrabbia per le “scappatelle” ma non pensa mai di lasciarlo. E lo stesso Mussolini si scusa, chiede perdono ma in più occasioni dice che non ha potuto far diversamente. Come se alle donne fosse possibile e richiesto di non lasciarsi andare ad altri amori e lo stesso non dovesse valere per gli uomini. Miviene inmente di fronte a queste pagine dei Diari una delle prime sentenze della Corte Costituzionale, appena dopo il suo tardivo insediamento a metà degli anni cinquanta, quando i giudici, dovendo stabilire, su richiesta di un tribunale, se la norma del codice penale che fissava un diverso trattamento per l’adulterio se compiuto dall’uomo rispetto a quello compiuto dalla donna, si arrampicavano sugli specchi per differenziare i due adulteri invocando l’allarme sociale. L’intento era quello di salvare la norma del codice Rocco e non dichiararla incostituzionale, malgrado il contrasto evidente con l’articolo 3 della Carta sull’eguaglianza dei cittadini di fronte ad ogni differenza. Dovettero passare alcuni anni prima che la Corte riconoscesse quella incostituzionalità.
L’altro elemento che emerge con chiarezza dai Diari riguarda le posizioni politiche e culturali che assume Mussolini nel dialogo quasi quotidiano con la giovane amante.
L’aspetto più interessante riguarda l’atteggiamento del dittatore rispetto al razzismo che appare, moderato, nei primi anni nel regime e frutto piuttosto del fanatismo di alcuni personaggi come Preziosi e Interlandi ma diventa nella seconda metà degli anni trenta la dottrina ufficiale sancita da leggi apposite e persino più precoci di quelle naziste nell’autunno 1938. «Ero razzista dal 1921. Non so come possano pensare che imito Hitler, non era ancora nato. Mi fanno ridere. La razza deve essere difesa». (4 agosto 1938).
Simili affermazioni contrastano, evidentemente, con quella visione storica di cui Renzo De Felice è stato iniziatore e caposcuola, che dipinge il razzismo fascistacomesubalterno e di qualità diversa, culturale piuttosto che biologica, rispetto a quello nazionalsocialista costitutivo dell’ideologia tedesca.