Showing posts with label al capone. Show all posts
Showing posts with label al capone. Show all posts

Saturday, November 25, 2023

Care donne, non deleghiamo allo Stato la rivoluzione culturale. Quella tocca a noi, individui

Appello libertario

di Mauro Suttora

Le rieducazioni di massa restino in Cina e Corea del Nord, le repressioni del vizio e le promozioni della virtù lasciamole agli ayatollah e pasdaran dell'Iran assassini di ragazze: lì le Giulie Cecchettin sono centinaia

Huffingtonpost.it, 25 novembre 2023

Naturalmente le donne che amiamo meritano soltanto 'Love, devotion and surrender', come cantava Carlito Santana. Tuttavia, a chi parla di "società patriarcale" come causa dei femminicidi in Italia si può rispondere con queste famosa frase: "Incolpare la società? Non esiste una cosa come la società, alla quale chiedere di risolvere ogni nostro problema". Esistono invece e soprattutto gli individui, i cittadini con le loro innumerevoli, libere e spontanee relazioni. Con i loro personali diritti, doveri e reciproche responsabilità.

Perciò, piuttosto che invocare interventi statali, nuove leggi, aumenti di pena e ore di lezione sull'affettività, preferiremmo che lo stato si intromettesse il meno possibile nelle nostre vite. Giù le mani dai sentimenti e dall'amore, che non possono essere né insegnati a scuola, né controllati da burocrati.

È stato il sogno di ogni regime, nazifascista o comunista, governare le nostre faccende privatissime, sempre con la scusa di 'proteggere' qualche categoria o valore. Ci abbiamo messo decenni per liberarci da politici che ci punivano se divorziavamo, abortivano, o se non volevamo imparare a uccidere (obiezione di coscienza al servizio militare).


Stiamo ancora chiedendo di decidere da soli se fumarci o no una canna così come si fuma una sigaretta o si beve un bicchiere di vino, senza arricchire i mafiosi beneficiati dal proibizionismo (cent'anni fa Al Capone, oggi interi narcostati e narcomafie planetarie). Vorremmo sfuggire all'accanimento terapeutico obbligatorio, che ci fa restare artificialmente 'in vita' per lustri come Michael Schumacher: milioni di tronchi apparentemente umani, da nascondere nelle rsa. Desideriamo invece il diritto a una morte dolce.

Cosa chiedere allora allo Stato contro la violenza sulle donne? Fare meglio il suo lavoro: reprimere, punire, prevenire. Ma alla larga dal delegargli 'rivoluzioni culturali' maoiste. Inutile illudersi: lo stato non potrà mai eliminare completamente gli istinti  e pazzie individuali che provocano femminicidi e stupri. Che l'illusione autoritaria dello stato-Stasi non si faccia forte di verbi dolciastri come "aiutare" ed "educare", per aumentare il suo potere. Che l'erogazione di innumerevoli e strambi bonus non trasformi tutti noi in clienti di uno stato-mamma invadente e sprecone (psicobonus eternizzato, lo vuole Fedez).

 Le rieducazioni di massa restino in Cina e Corea del nord, le repressioni del vizio e le promozioni della virtù lasciamole agli ayatollah e pasdaran dell'Iran assassini di ragazze: lì le Giulie Cecchettin sono centinaia. E certo, la cultura può indirizzare la società italiana verso ulteriore emancipazione femminile, eguaglianza di stipendi, o anche semplice buona educazione per zittire i 'cat callers', dispensatori di appiccicosi complimenti alle passanti. 

Ma i patriarchi erano e restano tre: Abramo, Isacco e Giacobbe. Non resuscitiamoli per colpa di qualche cafone per strada. Non evochiamo inesistenti "società patriarcali": la nostra è una delle meno maschiliste al mondo. E soprattutto non chiediamoci ossessivamente "dove sono le istituzioni?", come quel comico della Gialappa's: siamo noi, le istituzioni.

Ps: la frase famosa e per qualcuno scandalosa citata all'inizio è della donna più potente al mondo negli anni '80: Margaret Thatcher. 

Monday, March 29, 2021

Lo spinello libero farebbe bene a "guardie e ladri"

Negli Usa la diga proibizionista è crollata, ora anche New York. Perché i benefici sono innumerevoli

di Mauro Suttora

HuffPost, 29 marzo 2021

Ha ragione la nonna dei fiori Erica Jong, 79 anni: senza il brivido del proibito, che fascino avrebbero gli spinelli? Anche per questo la sua New York, dove lei furoreggiò con 'sex & drugs', ha deciso di legalizzare marijuana e hashish. È il 14esimo stato Usa a farlo: la diga è crollata. Cinque mesi fa altri tre stati hanno liberalizzato le canne con un referendum, assieme al voto presidenziale. Ormai la maggioranza assoluta degli statunitensi è antiproibizionista, visti i risultati positivi ottenuti negli ultimi vent'anni in California, sempre pioniera.

I benefici sono innumerevoli: le droghe leggere portano soldi non più alle mafie, ma alle casse pubbliche (New York prevede 350 milioni di entrate tassandole al 9%); si risparmiano i costi della repressione poliziesca; i tribunali si disintasano; si spezza il legame con le droghe pesanti; si decriminalizzano le minoranze nere e ispaniche, i cui giovani vengono arrestati per spaccio.

Ma soprattutto, è caduta la grande paura dei proibizionisti: la libertà di fumare non ha provocato un aumento del consumo. Neanche una diminuzione, ma almeno ora gli spinelli sono diventati come alcol e tabacco: chi vuole smettere ha soltanto un problema psicologico e medico, da curare come gli alcolisti anonimi, senza carceri e poliziotti a rovinarti la vita.    

È stato un brutto incubo, durato mezzo secolo. Fu nel 1970, infatti, che il presidente Nixon dichiarò "guerra alla droga". Guerra fallita, come già il primo proibizionismo Usa anti-liquori degli anni '20, il cui unico risultato fu quello di arricchire gli Al Capone. Basta vedere il film 'C'era una volta in America': "E ora che facciamo?", si chiesero smarriti i mafiosi nel 1933, quando il saggio Roosevelt pose fine all'illusione punitiva.

Quanto all'Italia, tutti noi sappiamo che metà dei nostri compagni a scuola si facevano le canne. La notizia non è che i giovani continuano a fumare, ma che ora ne approfittano anche i 'buoni': il disastro dei carabinieri spacciatori di Piacenza dimostra che è urgente depenalizzare anche da noi almeno le droghe leggere, prima che il cancro della corruzione si diffonda a livelli messicani.

Ricordo l'arresto di Walter Chiari e Lelio Luttazzi 50 anni fa: al bambino che ero parve incredibile che il presentatore del suo programma radio preferito, Hit Parade, finisse dentro. Che fosse un 'cattivo', un drogato. All'adolescente che ero nel 1975 sembrò ragionevole che Marco Pannella si facesse arrestare per uno spinello, allo scopo di far cambiare la legge. Avevo studiato Antigone e Gandhi, mi entusiasmai. Grande delusione nel 1988, quando Craxi da progressista divenne reazionario e sposò la repressione. Nè ho mai capito i capi delle comunità antidroga che volevano il carcere per i loro malati: infermieri o aguzzini?

Preistoria. Oggi confesso che noi boomer antiproibizionisti siamo esausti. Ci accontentiamo di 'piccoli passi' come le depenalizzazioni per consumo personale, modica quantità, uso terapeutico. E l'Italia non è diversa dall'Europa: tranne Spagna e Olanda, le droghe leggere rimangono 'illegali' dappertutto, perfino nell'illuminata Scandinavia. Quindi diffusissime. "Il male non si combatte proibendolo", ripetono inascoltati i radicali.

Personalmente, dopo il primo spinello che mi fece solo tossire non ho riprovato. Men che meno quando vivevo a New York: vent'anni fa mi avrebbero arrestato, come se avessi osato fumare tabacco nel tavolino all'aperto di un bar o avessi bevuto vino sul marciapiede davanti allo stesso bar (i benpensanti fascistoidi così preoccupati per la nostra salute emettono leggi ridicole, cosicché gli adepti di bacco e tabacco per farla franca in simultanea si sedevano al confine fra i due opposti divieti: bicchiere in una mano e sigaretta nell'altra, dentro agli spazi leciti).

In realtà c'è poco da scherzare: ogni estate la polizia italiana sbatte in galera centinaia di giovani coltivatori diretti di marijuana, dalla Sardegna alla Calabria. Leggo le cronache di complesse operazioni alla James Bond: elicotteri per scovare i campi nascosti, appostamenti, pedinamenti, indagini. Intanto mezza Albania è coltivata a canapa indiana, i migranti vengono arruolati nel racket dello spaccio, miliardi regalati alla 'ndrangheta. E metà dei nostri detenuti scontano pene per reati legati alla droga. Sorge spontanea la domanda: di cosa potrebbero occuparsi più utilmente poliziotti e magistrati, depenalizzando come a New York? Quanti carcerati in meno?

Fuor di provocazione, propongo costruttivo: ok, come volete voi, ancora cinque anni di proibizionismo. Ma se non funziona, se il consumo di stupefacenti non si riduce, questa volta cambiamo. Proviamo qualcosa di diverso. Senza slogan diabolici come 'Sesso, droga e rock'n'roll'. Pragmaticamente.

Mauro Suttora