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Wednesday, August 02, 2023

Basta fake news. Sarkozy non "attaccò" la Libia

Nell'ultimo decennio la propaganda non solo dei 5 stelle, ma anche dei sovranisti di Lega e FdI, degli estremisti di sinistra e perfino di qualche sprovveduto berlusconiano, ha incolpato la Francia di aver eliminato il dittatore libico per fare un dispetto all'Italia. Notizia falsa

di Mauro Suttora
Huffingtonpost.it , 2 agosto 2023

Mi arrendo, hanno vinto i grillini. Oggi perfino il Corriere della Sera, con un editoriale in prima pagina dell'ottimo Federico Rampini, sostiene che l'Italia fu "vittima di una scellerata decisione francese, quella di Nicholas Sarkozy che nel 2011 ebbe un ruolo determinante per l'attacco militare contro Gheddafi".
Nell'ultimo decennio la propaganda non solo dei 5 stelle, ma anche dei sovranisti di Lega e FdI, degli estremisti di sinistra e perfino di qualche sprovveduto berlusconiano, ha incolpato la Francia di aver eliminato il dittatore libico per fare un dispetto all'Italia. Fake non solo infondata, ma probabilmente inventata e sicuramente amplificata dai canali Telegram putiniani.
Sarkozy non "attaccò" la Libia. Semplicemente, il 17 marzo di dodici anni fa promosse la risoluzione numero 1973 dell'Onu, assieme a Usa, Regno Unito e Lega Araba, per proteggere i civili di Bengasi che si erano sollevati contro il dittatore nel quadro delle Primavere arabe. Risoluzione accettata anche da Russia e Cina, che si astennero e non misero il veto.
Dopo le cacciate del presidente tunisino Ben Ali e dell'egiziano Hosni Mubarak era arrivato il turno di Gheddafi. Il quale però, più coriaceo, non esitò a inviare i suoi tank contro la folla della capitale cirenaica. Era questione di ore.
Per evitare una strage tipo Srebrenica o Ruanda fu lo scrittore francese Bernard-Henry Lévy a pressare il riluttante Sarkozy affinché facesse dichiarare dall'Onu una No fly zone sulla Libia. E il presidente francese a sua volta dovette faticare per convincere quello Usa Barack Obama, il quale dopo i fiaschi di George Bush jr in Afghanistan e Iraq non voleva altri coinvolgimenti esteri.
Ma gli Stati Uniti erano gli unici con la capacità tecnica di far rispettare con i suoi aerei la No fly zone sulla Libia. Quindi Obama accettò malvolentieri, con l'assicurazione che non ci sarebbero stati "boots on the ground" per i soldati Usa, niente interventi terrestri.
Perciò è falsa la vulgata grilloputiniansovranista di un Sarkozy giustiziere di Gheddafi. All'implementazione della risoluzione Onu sulla Libia partecipò un'ampia coalizione di Paesi, comprese le pacifiste Svezia e Norvegia.
La prova che la Francia non ha approfittato della cacciata di Gheddafi a scapito dell'Italia, d'altronde, è arrivata negli anni successivi. La francese Total non ha mai spodestato la nostra Eni come maggior estrattore di petrolio e gas in Libia. E oggi a Tripoli e Bengasi spadroneggiano milizie libiche, turchi, i russi di Wagner: chiunque, tranne i francesi.
Detto questo, fu un errore far cadere Gheddafi? Col senno di poi, forse sì. Però in quei giorni concitati fu non solo legittimo, ma doveroso proteggere i civili libici insorti spontaneamente contro un satrapo sanguinario che li opprimeva da 42 anni.
Ero lì in quei giorni, come giornalista. Sembrava che la Libia potesse autogovernarsi. Professionisti, ingegneri, medici, avvocati, molti tornati dall'esilio, si impegnarono nell'amministrazione provvisoria. Che però dopo qualche mese fu spazzata via da islamisti, militari e cosche tribali.
Si dice: almeno Gheddafi manteneva l'ordine e impediva il traffico dei clandestini verso l'Italia. Ma condannare un intero popolo a subire la dittatura pluridecennale di uno squilibrato non era possibile. Il tirannicidio è giustificato perfino dalla Chiesa cattolica. E sarebbe stato razzista bollare un Paese come non abbastanza maturo per la democrazia.
Neanche in Tunisia ed Egitto d'altronde è finita benissimo, dopo le primavere speranzose del 2011. La democrazia tunisina oggi è minacciata da un presidente autoritario e dalla crisi economica. E il Cairo si è rassegnato ai muscoli di Abdel Al Sisi dopo qualche anno di leggiadra follia dei Fratelli musulmani, così simili ai grillini quanto a incompetenza nel governare.

Insomma, Sarkozy ha tante colpe e le sta pure pagando. Ma basta, per favore, con la frottola di un suo complotto anti-italiano in Libia. 

Friday, September 30, 2016

È a Cambridge la verità su Regeni

INCREDIBILE: LA PIÚ PRESTIGIOSA UNIVERSITÀ INGLESE OPPONE AGLI INVESTIGATORI ITALIANI UN’OMERTÀ SIMILE A QUELLA DELL’EGITTO

di Mauro Suttora

Oggi, 30 settembre 2016

Inutile girarci attorno. La verità su Giulio Regeni si trova in una palazzina di Cambridge, nella più prestigiosa – con Oxford – università inglese.
Nel Girton College insegna la professoressa egiziana Maha Abdelrahman, che era la tutor per il master dello studente friulano 28enne. 
È stata lei a mandarlo a fare la “ricerca partecipata” sui sindacati egiziani che gli è costata la vita, dopo tremende torture.
Ma dopo la morte di Giulio, invece di collaborare con gli investigatori italiani, la professoressa ha rifiutato di rispondere alle loro domande.

Un comportamento incredibile, omertoso quasi quanto quello del governo egiziano, che non vuole consegnare alla nostra giustizia i responsabili dell’assassinio. 
Ma mentre nel caso dell’Egitto abbiamo a che fare con un regime autoritario, chiaramente in difficoltà per le prove evidenti che portano alla polizia o ai servizi segreti del Cairo, Cambridge è una delle università più importanti del mondo, che dovrebbe avere a cuore la verità sul caso Regeni quanto i genitori dello sfortunato giovane.

La professoressa Abdelrahman era venuta in Italia per partecipare al funerale di Giulio lo scorso febbraio. Lì un sostituto procuratore le aveva rivolto alcune prime domande sommarie, cui lei aveva risposto. Ma pare che poi si sia lamentata per la “durezza” dei nostri magistrati, e da allora rifiuta di farsi interrogare.
Per questo Mario Giro, sottosegretario agli Esteri, ora accusa apertamente l’ateneo britannico di non cooperare, e di volere solo autoproteggersi.

Cambridge assicura di voler fare tutto il possibile per assistere le autorità italiane. Ma di fatto la prof non è disponibile. Siamo venuti a Cambridge a cercarla, dopo che lei si è fatta negare al telefono. Niente da fare. Scomparsa. Nel suo dipartimento di sociologia ci dicono che sarebbe in “leave of absence”: aspettativa.
Per carità, non pretendiamo certo che la prof dica a noi giornalisti quel che rifiuta di dire ai magistrati italiani. Ma intanto le domande e i dubbi restano.

Giro è stato pesantissimo contro Cambridge: “Vergognatevi. Per voi sono più importanti le vostre ‘ricerche segrete’ della vita di un vostro studente. Cosa state nascondendo? Vogliamo la verità”.
Regeni è scomparso al Cairo il 25 gennaio di quest’anno, e il suo cadavere è stato ritrovato in un fosso sulla strada per Alessandria una settimana dopo, torturato e mutilato.
Da allora il nostro governo chiede inutilmente la verità al presidente egiziano Abdel Al-Sisi, e i rapporti diplomatici fra Italia ed Egitto sono ai minimi termini.

Ma anche il comportamento di Cambridge suscita molti interrogativi. L’università ha fatto abbastanza per proteggere il suo ricercatore che stava conducendo un’indagine in un Paese che rispetta poco i diritti umani, e il cui regime è autoritario se non dittatoriale?

Cambridge svicola: David Runciman, direttore del dipartimento di Studi politici internazionali, e Susan Smith del Girton College dicono di aver scritto al console egiziano a Londra e all’ambasciatore britannico in Egitto esprimendo il proprio “stato di shock” e chiedendo di essere tenuti al corrente delle indagini.

Ma il problema è ben altro. La professoressa egiziana ha mandato Regeni allo sbaraglio? Si è comportata più da attivista politica antigovernativa che da docente universitaria imparziale?
Dopo le primavere arabe del 2011 e le proteste di piazza Tharir al Cairo, il presidente Hosni Mubarak era caduto e il partito dei Fratelli musulmani aveva vinto le elezioni.

Ma dopo sei mesi di governo anche i Fratelli musulmani sono stati travolti dalla propria incompetenza e intolleranza, e sono tornati al potere i militari guidati dal generale Al Sisi. In una situazione così esplosiva, con centinaia di morti e migliaia di oppositori in carcere, è stato prudente mandare Giulio Regeni a condurre uno studio “partecipato” sui sindacati che si oppongono al governo?

La tortura è pratica comune nelle carceri egiziane. Come illudersi che uno studente, solo per il fatto di essere straniero, potesse muoversi impunemente negli ambienti dell’opposizione? I servizi segreti e la polizia egiziana avevano già espulso nel 2015 una studentessa universitaria francese che conduceva un’indagine simile a quella del povero Giulio.
E poi, cosa vuol dire “inchiesta partecipata”? Significa che Regeni “partecipava” alle attività dell’opposizione, abbandonando la neutralità accademica?

Tutte domande che certo non diminuiscono le tremende responsabilità degli assassini e torturatori, né del governo egiziano che li copre. Ma che aspettano di ricevere risposta anche dagli esimi professori di Cambridge.
Mauro Suttora