Tuesday, August 22, 2023

Viva la diversità, abbasso la normalità



Se bacchettiamo il generale bacchettone, trasformandolo in vittima ululante alla censura, in provocatore contro il "Mondo al contrario", rischiamo di regalargli il fascino di Franti

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 22 agosto 2023

Ho letto per curiosità il libro del generale Roberto Vannacci. Tutti criticano la sua frase "I gay non sono normali". Lui ci mette cinque pagine per arrivare a questa conclusione, consultando le stime sulla percentuale di gay nei vari Paesi, pare sotto il 5%. Certo, tutto dipende dal valore che si dà alla parola "normale". Se la "norma" fosse quella stabilita o praticata dal 95%, i gay sarebbero "anormali". Ma questo il generale non lo scrive, suonerebbe offensivo.

Nel 1974, quando cominciai a frequentare la sede del partito radicale a Udine, i ragazzi del Fuori (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano) erano invece orgogliosi di essere 'diversi', rivendicavano la loro 'non normalità'. Se qualcuno li avesse definiti normali, lo avrebbero insultato. "Diversi ma non perversi", era lo slogan del leader radicale Marco Pannella e del fondatore del Fuori Angelo Pezzana. Era mezzo secolo fa. Il mio nonno liberale (anzi, da laico illuminato votava più a sinistra: per il repubblicano Ugo La Malfa) definiva i gay "pederasti, invertiti, degenerati". 

Nel mio liceo ero l'unico radicale. Questo bastava perché alcuni compagni buontemponi mi prendessero in giro mettendosi spalle al muro quando mi incrociavano, dicendo "Occhio al culo, arriva il 'fenulli' (finocchio in friulano, ndr)". I radicali non hanno mai fatto campagna per il matrimonio gay. Una volta chiesi a Pannella perché. "Il matrimonio etero non ci interessa, perché dovremmo batterci per estenderlo agli omosessuali?".

Insomma, forse perché i gay radicali (cioè quasi tutto il movimento gay prima dell'Arcigay) si consideravano anche rivoluzionari, le nozze erano fuori dal loro orizzonte. Non avevano ansia di accettazione, anzi detestavano ogni "omologazione", concetto pasoliniano che era la loro (e nostra) stella polare. 

È morto da poco Francesco Alberoni. Per comprendere la parabola dei gay ci soccorre la sua descrizione del passaggio inevitabile dei movimenti dalla fase di stato nascente a quella di istituzione. Tutti i movimenti di liberazione, dagli omosessuali alle femministe, dai neri d'America agli antimilitaristi, hanno seguito lo stesso percorso. Dopo il riconoscimento hanno voluto posti in parlamento, cattedre universitarie, finanziamenti pubblici, spazi politici. Il potere, insomma. Perché va bene la controcultura degli anni 60-70 e i figli dei fiori, ma "flowers have no power", come ammonì Herbert Marcuse. Così, per esempio, perfino Martin Luther King fu contestato da Malcolm X e accusato di 'ziotommismo' dalle Pantere Nere che ne contestavano il cauto riformismo con sponda nei presidenti John Kennedy e Lyndon Johnson. 

Oppure, si parva licet componere magnis, ricordo personalmente la degenerazione del movimento antimilitarista in Italia dopo la conquista del diritto all'obiezione di coscienza contro il servizio militare nel 1972. Nacque la Loc (Lega obiettori di coscienza), che fatalmente smise di contestare le spese militari, cioè di "fare politica", riducendosi a sindacato degli obiettori. Normalizzata. 

Questo a sinistra. Ma anche a destra si ripetono a cent'anni di distanza le stesse dinamiche, ogni volta che i rivoluzionari entrano nelle istituzioni, e ancor più quando conquistano il potere. Le ghette che Benito Mussolini per la prima volta indossò per ricevere dal re l'incarico di primo ministro equivalgono alla soggezione di Giorgia Meloni nei confronti di Joe Biden e Ursula von der Leyen. 

Nel 1923 i sansepolcristi protestarono inutilmente per l'imborghesimento del fascismo; oggi, sempre si parva..., non sarà un Gianni Alemanno a rinfocolare la fiamma nel cuore di Giorgia. E allora, figurarsi Guido Crosetto, che fascista non è mai stato: ci ha messo tre secondi a far liquidare il generale della Folgore e il suo linguaggio, appunto, da caserma.

Il povero Vannacci tutto sommato nelle sue 350 pagine autopubblicate (un po' da pezzente: neanche un editore ha trovato?) si è limitato a mettere insieme la paccottiglia che i giornali di centrodestra e i talk di Rete4 ci ammanniscono ogni giorno. Ma viene impiccato per due o tre scivolate semantiche. E quella sui gay, paradossalmente, è massimamente rivelatrice. Perché dice di più sulla normalizzazione degli omosessuali che non su quella dei fascisti.  

Mezzo secolo fa i perbenisti stavano a destra e gli scostumati (altra parola desueta) che li scandalizzavano si collocavano a sinistra. L'odioso 'Signor Censore' della canzone di Edoardo Bennato era un democristiano clericale. Oggi è il contrario: nell'era della suscettibilità (copyright Guia Soncini) a offendersi per la parola "anormale" reclamando sanzioni è la sinistra. 

Il problema è che se bacchettiamo il generale bacchettone, trasformandolo in vittima ululante alla censura, in provocatore contro il 'Mondo al contrario' (titolo del suo libro), rischiamo di regalargli il fascino di Franti. La stessa aura da ribelle che avvolgeva Pannella e che mi attrasse quindicenne, curioso allora come oggi, in quella sede radicale piena di 'diversi' a Udine. Anche se io, a dire il vero, cercavo più che altro belle ragazze femministe. Poco importa se normali o anormali.