Oggi, 24 maggio 2006
«Avrai ancora bisogno di me, mi darai da mangiare, quando avrò 64 anni?»: così cantava Paul McCartney in una delle canzoni più famose dei suoi Beatles (When I’m Sixty-Four) durante la favolosa estate del 1967. Allora la vecchiaia sembrava lontanissima, trionfava il flower power degli hippies. Sir Paul compirà 64 anni il 18 giugno, ma non sarà la seconda moglie Heather Mills, di un quarto di secolo più giovane, ad accudirlo. I due si sono separati, dopo solo quattro anni di matrimonio.
Lei, ex modella, soprannominata crudelmente «gambadilegno» da quando perse la gamba in un incidente, è impegnata in cause animaliste e contro le micidiali mine antiuomo. Lui, l’uomo più ricco d’Inghilterra dopo la regina, guadagna milioni di euro al giorno anche senza far nulla, solo con i diritti d’autore delle canzoni trasmesse ogni secondo da radio e Tv di tutto il pianeta, e i dischi dei Beatles ancora popolarissimi fra i giovani, tanto che non vengono mai scontati e non si possono scaricare con i-Tunes.
Stella McCartney, figlia di Paul e stilista, si era opposta alle nozze e detestava la troppo giovane matrigna. Ma l’ex scarafaggio alle mattane politiche delle mogli era abituato, e anzi le assecondava. Era stato convertito al vegetarianesimo dall’adorata prima moglie Linda morta di cancro nel ’98.
Poco a poco la troppo intraprendente Heather gli ha rubato la scena. Un anno fa si è fatta arrestare mentre, con dei compagni di lotta, urlava contro un negozio di pellicce a Manhattan. Gli attivisti del Peta (People for Ethical Treatment of Animals) approfittavano dello status della signora McCartney, la quale grazie al cognome riceve inviti a tutte le sfilate di moda, intrufolandosi con lei per gettare vernice sugli ospiti impellicciati. Durante uno di questi scontri Heather ha subìto un infortunio tragicomico, perdendo la gamba finta nel tafferuglio. Senza perdersi d’animo se l’è subito riavvitata rialzandosi in piedi.
Niente di più lontano dalle placide abitudini di Paul, nominato Sir dalla regina nove anni fa (baronetto lo era già dal ’65), e amante delle provocazioni, sì, ma solo se effettuate con stile e humour britannico. Il massimo della trasgressione per McCartney è stato ammettere di aver fatto sporadicamente uso di Lsd ai tempi di Sgt.Pepper’s, e venire arrestato in Giappone nel 1980 per qualche spinello.
Neanche la nascita di Beatrice, due anni e mezzo fa, è riuscita ad affievolire le imbarazzanti smanie protagoniste della neosignora McCartney. E così, sempre più spesso, i due venivano fotografati da soli: lui mentre portava a spasso in bici la figlia sulla spiaggia degli Hamptons (New York), lei a battersi per qualche causa a Londra o a Los Angeles. L’ultimo colpo alla travagliata relazione l’ha dato il tour mondiale di Paul: un successo eccezionale dal punto di vista artistico, battuto ogni record d’incasso e perfino la sfida con Rolling Stones e Coldplay, contemporaneamente on the road. Più spettatori di McCartney li raccolgono solo gli U2. Ma la lontananza ha fatto «dimenticare chi non s’ama», e Paul e Heather si sono estraniati.
Ora lei dichiara disperata: «Essere chiamata cacciatrice di soldi è peggio che aver perso la gamba». Dice che per lo stress è costretta sulla sedia a rotelle, che non dorme da due settimane e che piange sempre. Vuole che si continui a chiamarla Lady McCartney, visto il titolo del marito, e per i problemi coniugali dà la colpa ai media.
«Nei suoi occhi non vedi nulla / nessun segno di affetto dietro alle lacrime / Un amore che avrebbe dovuto durare anni»: così il malinconico e già smaliziato Paul cantava quarant’anni fa nella canzone For No One. Era fidanzato con l’attricetta inglese Jane Asher, ma anni di tournée e di separazioni forzate anche allora fecero svanire l’amore.
Poi arrivò il ciclone Linda Eastman, figlia non bella di un miliardario newyorkese della quale McCartney si innamorò perdutamente. Tre figli (Mary, Stella, James), ispirazione per due delle canzoni d’amore più belle della storia (Maybe I’m Amazed e My Love), per trent’anni la coppia più solida nel mondo del rock. Non si lasciavano mai, neppure sul palco, dove Linda canticchiava e faceva finta di suonare le tastiere. Una storia simile e parallela a quella di John Lennon con Yoko Ono, uniti al limite del plagio (da parte di lei) fino all’assassinio del Beatles nel 1980. Ma almeno Linda non voleva assistere come Yoko a tutte le registrazioni in studio del complesso, pretesa che portò presto allo scioglimento del gruppo.
Anche gli altri «Fab Four» hanno avuto vite sentimentali avventurose. La prima bella moglie di George Harrison, Patty Boyd, lo piantò per mettersi con il suo migliore amico, il chitarrista Eric Clapton, dopo che questi le dedicò la canzone Layla. Ma George, imbevuto di filosofia indiana, li perdonò subito: «Meglio che stia con un ubriacone come Eric che con qualche altro mascalzone drogato». La seconda moglie Olivia invece gli è stata vicina, fino alla morte di Harrison per tumore nel 2001, a soli 58 anni. Quanto a Ringo Starr, resiste il suo matrimonio con l’attrice Barbara Bach, indimenticata Nausicaa nell’Odissea televisiva del ’68. Il simpatico batterista, amante della bottiglia quanto la moglie, è scomparso dalla scena artistica.
McCartney, invece, è il musicista più ricco e attivo del mondo. Ha un patrimonio personale di un miliardo e mezzo di euro, che non rimarrà indenne dopo la separazione dalla vorace Heather. È di McCartney la canzone regina dell’era pop-rock, Yesterday. Speriamo che ora, senza l’assillo della mogliettina arrivista e attivista, la smetta almeno di tingersi i capelli. E cominci ad assomigliare a uno splendido sessantaquattrenne.
Mauro Suttora
Wednesday, May 31, 2006
I "prodi" di Prodi
Oggi, 24 maggio 2006
Prodi 2, si ricomincia. Dieci anni dopo tocca ancora a lui, al Professore, sedere a Palazzo Chigi. Ma stavolta al suo fianco c’è una maggioranza più complicata da gestire. Basta guardare la lista dei 25 ministri, messi rigorosamente insieme col manuale Cencelli: 9 diessini, 6 della Margherita, 4 prodiani, e poi 1 ministro per Italia dei Valori, Pdci, Verdi, Udeur, Prc e Rosa nel Pugno.
Un cocktail da maneggiare con cura. «D’altra parte Prodi ha fatto quel che poteva», dice Emma Bonino, che puntava alla Difesa e s’è dovuta accontentare delle Politiche comunitarie e del Commercio internazionale. «La legge elettorale, con questo sciagurato ritorno al proporzionale, ha ridato peso ai partiti. Ma se faremo una buona politica riusciremo a governare». Da ministro, lei ha già le idee chiare: «L’Italia è al venticinquesimo posto nel recepimento delle direttive europee. Bisognerà fare ordine. Quanto al commercio internazionale, farò di tutto per sostenere le piccole e medie imprese. Curando con particolare attenzione i rapporti con i Paesi del Golfo».
Il governo Prodi ha come punto di forza la presenza in squadra di tre pezzi da novanta: Giuliano Amato all’Interno, Massimo D’Alema agli Esteri, Tommaso Padoa Schioppa all’Economia. Ma ha due debolezze. I numeri risicati al Senato. E la frammentazione di alcuni ministeri, vedi lo spacchettamento dell’ex Welfare in Lavoro e previdenza (Cesare Damiano, diessino) e Solidarietà sociale (Paolo Ferrero, bertinottiano).
Riuscirà Padoa Schioppa a tenere dritta la barra del programma di risanamento? Gli ulivisti ci contano, la sinistra radicale diffida e fa i capricci, non sarà troppo moderato? Il supertecnico di via XX Settembre deve vedersela con numeri da far tremare i polsi: debito al 108 per cento del Pil, crescita zero nel 2005. Lui ha già dettato la linea. Primo, verificare lo stato di salute dei conti. Poi, mettere insieme un patto di stabilità interno. «Una nuova Maastricht nazionale», l’ha definita Prodi. Intanto, a dare la caccia agli evasori ci penserà Vincenzo Visco, un altro che è tornato. La sua mission impossible: recuperare oltre 200 miliardi di euro che dovrebbero entrare nelle nostre casse (e invece restano nelle tasche altrui). «Per ora posso solo dire che bisogna ridurre le tasse e farle pagare a chi non le paga», ci dice Visco, che come primo atto dopo il suo insediamento ha chiesto un rendiconto analitico delle entrate. E ha promesso grande determinazione.
Tutti la promettono. Ma intanto affiorano le prime beghe. Vedi il ponte sullo Stretto. «Non è una priorità del governo, lo abbiamo scritto nel programma», ci dice il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. «Finalmente si faranno opere utili per il Paese, come il miglioramento delle autostrade Adriatica e Salerno-Reggio Calabria, invece di perdere energie sul Ponte. E nessuna penale dovrà essere pagata dallo Stato, perché è previsto solo un risarcimento per le spese effettuate sinora dall’Impregilo, la società che si era aggiudicata l’appalto».
Niente penale. E la Tav, il Treno ad alta velocità Torino-Lione che ha causato la rivolta della val di Susa? Anche qui, secondo Pecoraro Scanio, indietro tutta: «Non procederemo con la legge dell’ex ministro Lunardi, che ha creato solo le proteste della comunità locale e dei sindaci. Noi verdi pensiamo che sarebbe meglio potenziare le linee esistenti, ma il governo cercherà di discutere con la popolazione locale». E anche di discuterne al suo interno. Perché su Ponte e Tav già si nota qualche scaramuccia.
Entrambe le questioni sono infatti di competenza del neoministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. E lui tiene a precisarlo, anche di fronte ad alcune «invasioni di campo». Vedi le dichiarazioni del neoministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, che ha definito il Ponte «inutile e velleitario». «Tutto ciò che riguarda la costruzione di infrastrutture fa capo a me», ricorda Di Pietro, «mentre il ministro dei Trasporti si occupa del traffico automobilistico, ferroviario, aereo e navale. Di tutto ciò che si muove, insomma». Di Pietro invita a ragionare bene sulle cose da fare e da non fare: «L’Italia ha bisogno di infrastrutture, ma da costruire nel rispetto dell’ambiente e del territorio. Bisogna assumersi delle responsabilità, individuare le priorità e impegnare le risorse disponibili. Io in questi primi giorni sto facendo come mia nonna prima di andare a fare la spesa: controllare quanti soldi ci sono nel borsellino».
Non ce ne sono molti. Ma è solo uno dei tanti problemi in pole position. C’è la questione della legge Biagi. Riscriverla? Rivederla in alcuni punti? Rivoltarla come un calzino? Per il nuovo ministro del Lavoro, l’ex sindacalista Fiom Cesare Damiano, «la Biagi non va abrogata, ma modificata sostanzialmente, per combattere la precarietà». Però una parte dei moderati dell’Ulivo la pensa diversamente: più che cambiata, la legge andrebbe arricchita, per esempio con una «seria normativa sugli ammortizzatori sociali».
Altro problema spinoso: l’Iraq. Lo slogan è quello di sempre: via da Baghdad. Sul come e sul quando si discute. Il neotitolare della Farnesina, Massimo D’Alema, reduce da una telefonata («molto cortese e calorosa») con Condoleezza Rice, mostra una certa fretta di mettere in agenda Nassiriya. Prodi un po’ meno. E Bonino ricorda che «non siamo lì a colonizzare. Giusto andarsene, ma con un accordo con il governo locale. Quanto all’Afghanistan, sta riprendendo l’offensiva talebana, guai ad abbandonarli».
Meno problematico, sul piano dei rapporti umani, il compito di Clemente Mastella: dopo i cinque anni di rissa furibonda con Roberto Castelli, i magistrati hanno accolto il suo nome col sorriso. E lui ricambia con una gentilezza: «Non inviterò l’Anm a venire da me, andrò io da loro». E promette «un decreto che sospenda i passaggi più contestati dell’ordinamento giudiziario». I magistrati ringraziano.
E ringrazia anche il cardinal Ruini, visibilmente soddisfatto del nuovo ministero della Famiglia. «Era ora di istituirlo», ci dice Rosy Bindi, che ne è titolare. «In Gran Bretagna, Francia e Germania esiste già da tempo. Due le mie priorità: assistenza agli anziani e sostegno ai genitori. Questo Paese deve invertire la curva demografica. Devono nascere tutti i bambini che si desiderano. Quindi più asili nido, più servizi, una politica fiscale amica. E poi il baby bond: un assegno annuale a ogni bimbo che nasce, fino ai 18 anni». Ma anche Bindi si è subito trovata nelle polemiche. C’è chi ha scritto che fa il tifo per i Pacs. «Io sono qui per difendere la famiglia», precisa. «Ma è anche giusto regolare diritti e doveri di chi ha scelto altre forme di convivenza. Che però non si chiamano famiglia».
Altro problema di cui si è discusso in questi primi giorni di marcia prodiana, le donne del governo. Poche, solo 6, e solo due in ministeri con portafoglio (Livia Turco alla Salute ed Emma Bonino al Commercio Internazionale). Dovevano essere il 30 per cento. Non lo sono. «Avevamo le migliori intenzioni», s’è giustificato Prodi nel discorso di insediamento. «Ma senza regole che ci costringano a dare spazio alle donne, da soli non ce la faremo mai». Frase folgorante, nella sua sincerità. Ogni donna in più è un uomo in meno. O si fa una legge, o le signore restano a casa. «Le quote rosa saranno uno dei primi impegni del mio ministero», promette Barbara Pollastrini, neotitolare delle Pari Opportunità. Ma anche qui, non è che tutti siano d’accordo, e le lacrime di Prestigiacomo insegnano...
In effetti c’è un sola cosa su cui sono tutti, ma proprio tutti, d’accordo: fare vincere i «no» al referendum sulla riforma federale della Costituzione. Perché la Devolution bossiana, a conti fatti, ci costerebbe un sacco di soldi. Ma soprattutto perché, se il centrodestra perde il referendum, la Lega si sgancia e i numeri della maggioranza diventano più brillanti.
Perché è così: al di là dei bisticci, Ponte o non Ponte, Pacs o non Pacs, via dall’Iraq subito o fra un po’, il vero problema di questo governo è uno solo: i numeri. Al Senato o si vota compatti o si va a casa. E dunque, al momento, si naviga con circospezione. Ce la farà Prodi a durare cinque anni? O, come dice (e spera) l’opposizione, non arriverà al panettone? Chi conosce bene il Professore invita a non sottovalutarne le qualità. Soprattutto due. La formidabile tenacia. E una sana dose di fortuna.
Anna Checchi
Mauro Suttora
Prodi 2, si ricomincia. Dieci anni dopo tocca ancora a lui, al Professore, sedere a Palazzo Chigi. Ma stavolta al suo fianco c’è una maggioranza più complicata da gestire. Basta guardare la lista dei 25 ministri, messi rigorosamente insieme col manuale Cencelli: 9 diessini, 6 della Margherita, 4 prodiani, e poi 1 ministro per Italia dei Valori, Pdci, Verdi, Udeur, Prc e Rosa nel Pugno.
Un cocktail da maneggiare con cura. «D’altra parte Prodi ha fatto quel che poteva», dice Emma Bonino, che puntava alla Difesa e s’è dovuta accontentare delle Politiche comunitarie e del Commercio internazionale. «La legge elettorale, con questo sciagurato ritorno al proporzionale, ha ridato peso ai partiti. Ma se faremo una buona politica riusciremo a governare». Da ministro, lei ha già le idee chiare: «L’Italia è al venticinquesimo posto nel recepimento delle direttive europee. Bisognerà fare ordine. Quanto al commercio internazionale, farò di tutto per sostenere le piccole e medie imprese. Curando con particolare attenzione i rapporti con i Paesi del Golfo».
Il governo Prodi ha come punto di forza la presenza in squadra di tre pezzi da novanta: Giuliano Amato all’Interno, Massimo D’Alema agli Esteri, Tommaso Padoa Schioppa all’Economia. Ma ha due debolezze. I numeri risicati al Senato. E la frammentazione di alcuni ministeri, vedi lo spacchettamento dell’ex Welfare in Lavoro e previdenza (Cesare Damiano, diessino) e Solidarietà sociale (Paolo Ferrero, bertinottiano).
Riuscirà Padoa Schioppa a tenere dritta la barra del programma di risanamento? Gli ulivisti ci contano, la sinistra radicale diffida e fa i capricci, non sarà troppo moderato? Il supertecnico di via XX Settembre deve vedersela con numeri da far tremare i polsi: debito al 108 per cento del Pil, crescita zero nel 2005. Lui ha già dettato la linea. Primo, verificare lo stato di salute dei conti. Poi, mettere insieme un patto di stabilità interno. «Una nuova Maastricht nazionale», l’ha definita Prodi. Intanto, a dare la caccia agli evasori ci penserà Vincenzo Visco, un altro che è tornato. La sua mission impossible: recuperare oltre 200 miliardi di euro che dovrebbero entrare nelle nostre casse (e invece restano nelle tasche altrui). «Per ora posso solo dire che bisogna ridurre le tasse e farle pagare a chi non le paga», ci dice Visco, che come primo atto dopo il suo insediamento ha chiesto un rendiconto analitico delle entrate. E ha promesso grande determinazione.
Tutti la promettono. Ma intanto affiorano le prime beghe. Vedi il ponte sullo Stretto. «Non è una priorità del governo, lo abbiamo scritto nel programma», ci dice il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. «Finalmente si faranno opere utili per il Paese, come il miglioramento delle autostrade Adriatica e Salerno-Reggio Calabria, invece di perdere energie sul Ponte. E nessuna penale dovrà essere pagata dallo Stato, perché è previsto solo un risarcimento per le spese effettuate sinora dall’Impregilo, la società che si era aggiudicata l’appalto».
Niente penale. E la Tav, il Treno ad alta velocità Torino-Lione che ha causato la rivolta della val di Susa? Anche qui, secondo Pecoraro Scanio, indietro tutta: «Non procederemo con la legge dell’ex ministro Lunardi, che ha creato solo le proteste della comunità locale e dei sindaci. Noi verdi pensiamo che sarebbe meglio potenziare le linee esistenti, ma il governo cercherà di discutere con la popolazione locale». E anche di discuterne al suo interno. Perché su Ponte e Tav già si nota qualche scaramuccia.
Entrambe le questioni sono infatti di competenza del neoministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. E lui tiene a precisarlo, anche di fronte ad alcune «invasioni di campo». Vedi le dichiarazioni del neoministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, che ha definito il Ponte «inutile e velleitario». «Tutto ciò che riguarda la costruzione di infrastrutture fa capo a me», ricorda Di Pietro, «mentre il ministro dei Trasporti si occupa del traffico automobilistico, ferroviario, aereo e navale. Di tutto ciò che si muove, insomma». Di Pietro invita a ragionare bene sulle cose da fare e da non fare: «L’Italia ha bisogno di infrastrutture, ma da costruire nel rispetto dell’ambiente e del territorio. Bisogna assumersi delle responsabilità, individuare le priorità e impegnare le risorse disponibili. Io in questi primi giorni sto facendo come mia nonna prima di andare a fare la spesa: controllare quanti soldi ci sono nel borsellino».
Non ce ne sono molti. Ma è solo uno dei tanti problemi in pole position. C’è la questione della legge Biagi. Riscriverla? Rivederla in alcuni punti? Rivoltarla come un calzino? Per il nuovo ministro del Lavoro, l’ex sindacalista Fiom Cesare Damiano, «la Biagi non va abrogata, ma modificata sostanzialmente, per combattere la precarietà». Però una parte dei moderati dell’Ulivo la pensa diversamente: più che cambiata, la legge andrebbe arricchita, per esempio con una «seria normativa sugli ammortizzatori sociali».
Altro problema spinoso: l’Iraq. Lo slogan è quello di sempre: via da Baghdad. Sul come e sul quando si discute. Il neotitolare della Farnesina, Massimo D’Alema, reduce da una telefonata («molto cortese e calorosa») con Condoleezza Rice, mostra una certa fretta di mettere in agenda Nassiriya. Prodi un po’ meno. E Bonino ricorda che «non siamo lì a colonizzare. Giusto andarsene, ma con un accordo con il governo locale. Quanto all’Afghanistan, sta riprendendo l’offensiva talebana, guai ad abbandonarli».
Meno problematico, sul piano dei rapporti umani, il compito di Clemente Mastella: dopo i cinque anni di rissa furibonda con Roberto Castelli, i magistrati hanno accolto il suo nome col sorriso. E lui ricambia con una gentilezza: «Non inviterò l’Anm a venire da me, andrò io da loro». E promette «un decreto che sospenda i passaggi più contestati dell’ordinamento giudiziario». I magistrati ringraziano.
E ringrazia anche il cardinal Ruini, visibilmente soddisfatto del nuovo ministero della Famiglia. «Era ora di istituirlo», ci dice Rosy Bindi, che ne è titolare. «In Gran Bretagna, Francia e Germania esiste già da tempo. Due le mie priorità: assistenza agli anziani e sostegno ai genitori. Questo Paese deve invertire la curva demografica. Devono nascere tutti i bambini che si desiderano. Quindi più asili nido, più servizi, una politica fiscale amica. E poi il baby bond: un assegno annuale a ogni bimbo che nasce, fino ai 18 anni». Ma anche Bindi si è subito trovata nelle polemiche. C’è chi ha scritto che fa il tifo per i Pacs. «Io sono qui per difendere la famiglia», precisa. «Ma è anche giusto regolare diritti e doveri di chi ha scelto altre forme di convivenza. Che però non si chiamano famiglia».
Altro problema di cui si è discusso in questi primi giorni di marcia prodiana, le donne del governo. Poche, solo 6, e solo due in ministeri con portafoglio (Livia Turco alla Salute ed Emma Bonino al Commercio Internazionale). Dovevano essere il 30 per cento. Non lo sono. «Avevamo le migliori intenzioni», s’è giustificato Prodi nel discorso di insediamento. «Ma senza regole che ci costringano a dare spazio alle donne, da soli non ce la faremo mai». Frase folgorante, nella sua sincerità. Ogni donna in più è un uomo in meno. O si fa una legge, o le signore restano a casa. «Le quote rosa saranno uno dei primi impegni del mio ministero», promette Barbara Pollastrini, neotitolare delle Pari Opportunità. Ma anche qui, non è che tutti siano d’accordo, e le lacrime di Prestigiacomo insegnano...
In effetti c’è un sola cosa su cui sono tutti, ma proprio tutti, d’accordo: fare vincere i «no» al referendum sulla riforma federale della Costituzione. Perché la Devolution bossiana, a conti fatti, ci costerebbe un sacco di soldi. Ma soprattutto perché, se il centrodestra perde il referendum, la Lega si sgancia e i numeri della maggioranza diventano più brillanti.
Perché è così: al di là dei bisticci, Ponte o non Ponte, Pacs o non Pacs, via dall’Iraq subito o fra un po’, il vero problema di questo governo è uno solo: i numeri. Al Senato o si vota compatti o si va a casa. E dunque, al momento, si naviga con circospezione. Ce la farà Prodi a durare cinque anni? O, come dice (e spera) l’opposizione, non arriverà al panettone? Chi conosce bene il Professore invita a non sottovalutarne le qualità. Soprattutto due. La formidabile tenacia. E una sana dose di fortuna.
Anna Checchi
Mauro Suttora
Monday, May 29, 2006
I'm gonna cook you dinner
MAURO OF MANHATTAN (No Sex in the City)
New York Observer, May 29, 2006, page 2
“Tonight I’m gonna cook you dinner”.
Wow. Upper East Side women are able to turn into a memorable event what for Italian women is just boring routine. Marsha is going to feed me. It’s a rare treat she offers me about twice a month. Usually, our home dinners are independent. We open the fridge whenever we come back from work, at different hours. The maximum I do is cooking pasta (just for myself, she’s no-carb). The maximum she does is buying something at the deli (just for herself, I’m no-organic).
She has prepared me a huge hot dog. “I know it’s your favourite, I saw you going downstairs from Rizzoli for lunch, getting one at 56 and Sixth. You like both ketchup and mustard, right?”
She sounds so proud and sweet. I love her. She brings me the plate with the hot dog on the couch in front of the tv, smiling. I give one bite. Revolting. Nevertheless I swallow silently and eat it all: I don’t want to disappoint her. She spent a considerable time in the kitchen, I’m sure she tried hard and did her best. Besides, she would get offended, and her sulks are neverending. I don’t want to ruin the night. She once cooked me spinach with philadelphia cheese. But she mixed them, creating a disgusting cream. I told her I didn’t like it: “Next time, let’s have them together, but separately”. She kept silent until the next day.
“How did you like it?”, she asks hopefully.
“Terrific. Yummy yummy. Come here, let’s watch the movie. I’ll massage your feet”.
At the end of the tv movie I get up, go to the kitchen and, careful not to be seen, open the fridge. There are two remaining hot dogs, with a big ‘Meatless’ written on them. Ah. I check the ingredients: tofu, soy, the things she likes. Anything but the real thing: milkless milk, flourless bread, sugarless sugar...
Marsha doesn’t cook: she heats up in the microwave. She buys everything prepared, paying 3-400% more. Little transparent plastic boxes with salad, mostly. I read that Manhattan supermarkets make most of their profits from this: they would have to close down if they were to sell only basic food such as vegetables, milk, bread.
Actually, Marsha loves to eat directly at the supermarket. She must have been tens of times at Whole Foods in the Time Warner towers since they opened, and her other favourite is the second floor at Fairway.
“Doesn’t it bother you to eat all alone?”, I asked her.
“Not at all”.
“But it’s so sad. If you eat alone you die alone, we say in Italy”.
“It’s so relaxing, Mauro”.
I hate it when she relaxes in ways different the making love to me. Relax should occur in bed. I’m jealous of all her other ways to get it: jogging, nails, shopping, yoga, talking to her mom and friends on the phone. I can accept only massage, provided it’s me doing it to her.
The maximum of alienation, to my stupid Italian eyes, is reached by Marsha when she buys coffee on the go, sipping it through a straw in the subway or walking on the street.
“Let’s sit down at home before leaving in the morning, that’s a good way to relax. I’ll make us one,” I proposed.
“Sorry hon, I’m in a hurry.”
“What’s so urgent? Take it easy.”
“I got stuff to be done.”
“Let’s go and sit at a table at Starbucks, then.”
“I got things to be taken care of. Sorry for being so antsy, dear. It’s not you fault. I adore you.”
Marsha appears to be constantly overwhelmed, even when she doesn’t have appointments to go to nor deadlines to meet. But that’s also her charm to my eyes: the busy, powerful and businesslike New York woman.
So, after discovering her humongous ‘meatless hot dogs’ in the fridge, I go back to the sitting room and kiss her on her forehead. I am sincerely grateful for her good will and the lovely bimonthly dinner. Luckily she doesn’t notice it’s such a patronising gesture. If she knew the truth, she would spit in one eye of mine. Exactly as, if I were sincere and didn’t love her, I would have spit out her fake hot dog.
Mauro Suttora
New York Observer, May 29, 2006, page 2
“Tonight I’m gonna cook you dinner”.
Wow. Upper East Side women are able to turn into a memorable event what for Italian women is just boring routine. Marsha is going to feed me. It’s a rare treat she offers me about twice a month. Usually, our home dinners are independent. We open the fridge whenever we come back from work, at different hours. The maximum I do is cooking pasta (just for myself, she’s no-carb). The maximum she does is buying something at the deli (just for herself, I’m no-organic).
She has prepared me a huge hot dog. “I know it’s your favourite, I saw you going downstairs from Rizzoli for lunch, getting one at 56 and Sixth. You like both ketchup and mustard, right?”
She sounds so proud and sweet. I love her. She brings me the plate with the hot dog on the couch in front of the tv, smiling. I give one bite. Revolting. Nevertheless I swallow silently and eat it all: I don’t want to disappoint her. She spent a considerable time in the kitchen, I’m sure she tried hard and did her best. Besides, she would get offended, and her sulks are neverending. I don’t want to ruin the night. She once cooked me spinach with philadelphia cheese. But she mixed them, creating a disgusting cream. I told her I didn’t like it: “Next time, let’s have them together, but separately”. She kept silent until the next day.
“How did you like it?”, she asks hopefully.
“Terrific. Yummy yummy. Come here, let’s watch the movie. I’ll massage your feet”.
At the end of the tv movie I get up, go to the kitchen and, careful not to be seen, open the fridge. There are two remaining hot dogs, with a big ‘Meatless’ written on them. Ah. I check the ingredients: tofu, soy, the things she likes. Anything but the real thing: milkless milk, flourless bread, sugarless sugar...
Marsha doesn’t cook: she heats up in the microwave. She buys everything prepared, paying 3-400% more. Little transparent plastic boxes with salad, mostly. I read that Manhattan supermarkets make most of their profits from this: they would have to close down if they were to sell only basic food such as vegetables, milk, bread.
Actually, Marsha loves to eat directly at the supermarket. She must have been tens of times at Whole Foods in the Time Warner towers since they opened, and her other favourite is the second floor at Fairway.
“Doesn’t it bother you to eat all alone?”, I asked her.
“Not at all”.
“But it’s so sad. If you eat alone you die alone, we say in Italy”.
“It’s so relaxing, Mauro”.
I hate it when she relaxes in ways different the making love to me. Relax should occur in bed. I’m jealous of all her other ways to get it: jogging, nails, shopping, yoga, talking to her mom and friends on the phone. I can accept only massage, provided it’s me doing it to her.
The maximum of alienation, to my stupid Italian eyes, is reached by Marsha when she buys coffee on the go, sipping it through a straw in the subway or walking on the street.
“Let’s sit down at home before leaving in the morning, that’s a good way to relax. I’ll make us one,” I proposed.
“Sorry hon, I’m in a hurry.”
“What’s so urgent? Take it easy.”
“I got stuff to be done.”
“Let’s go and sit at a table at Starbucks, then.”
“I got things to be taken care of. Sorry for being so antsy, dear. It’s not you fault. I adore you.”
Marsha appears to be constantly overwhelmed, even when she doesn’t have appointments to go to nor deadlines to meet. But that’s also her charm to my eyes: the busy, powerful and businesslike New York woman.
So, after discovering her humongous ‘meatless hot dogs’ in the fridge, I go back to the sitting room and kiss her on her forehead. I am sincerely grateful for her good will and the lovely bimonthly dinner. Luckily she doesn’t notice it’s such a patronising gesture. If she knew the truth, she would spit in one eye of mine. Exactly as, if I were sincere and didn’t love her, I would have spit out her fake hot dog.
Mauro Suttora
Monday, May 22, 2006
Dep deb
Le nuove deputate
Oggi, 10 maggio 2006
Le hanno soprannominate «dep deb»: sono le deputate debuttanti, la maggioranza delle 108 nuove elette alla Camera. Un bel gruppo, in crescita rispetto alla scorsa legislatura: ora la presenza femminile in Parlamento ha raggiunto il 17 per cento. Sempre lontano dal 40 per cento dei Paesi scandinavi, ma abbiamo superato il 15 per cento degli Stati Uniti. Certo, non abbiamo ancora una Condoleezza Rice, terza carica pubblica in America (la segretaria di stato, ovvero ministra degli Esteri, viene subito dopo il presidente George Bush e il suo vice), nè una Hillary Clinton probabilissima candidata democratica alle presidenziali fra due anni. Ma Emma Bonino e Anna Finocchiaro erano considerate valide pretendenti al Quirinale, e a quest’ultima è andata la presidenza di tutti i senatori dell’Ulivo.
Peccato che nel Transatlantico (la sala adiacente all’aula di Montecitorio) non possano entrare i fotografi. Era uno spettacolo, nel giorno dell’elezione del presidente Fausto Bertinotti, il gruppetto delle debuttanti di Forza Italia formatosi di fronte alla buvette: l’ex valletta Mara Carfagna, l’attrice Fiorella Ceccacci (in arte Rubino), la portavoce Elisabetta Gardini, la bionda Michaela Biancofiore (famosa per essere stata immortalata con Silvio Berlusconi a Bolzano durante il suo «gesto del dito») e la ex cognata del Cavaliere Mariella Bocciardo, raccolte attorno alle «veterane» Valentina Aprea e Gabriella Carlucci che le iniziavano ai misteri del Palazzo. «Berlusconi avrà anche perso le elezioni, ma ha le deputate più belle», ha commentato invidioso un parlamentare di sinistra, senza osare avvicinarsi per socializzare con le avvenenti avversarie.
Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), Daniela Santanchè (An) e Giovanna Melandri (Ds) splendono sempre, ma ormai i colleghi si sono abituati alle loro grazie. Più curiosità, invece, suscitano le «nuove»: «Un deputato sconosciuto si è presentato sorridente e mi ha chiesto a quale gruppo appartengo», racconta Silvana Mura, «ma quando gli ho detto Italia dei Valori mi pare sia rimasto deluso, e dopo un po’ se n’è andato». Fra le «new entries» spicca Giorgia Meloni di Alleanza Nazionale, e non solo perchè con i suoi 29 anni è la più giovane dell’intero Parlamento: già finita sulla copertina di qualche settimanale, è assurta alla gloria istituzionale da quando Gianfranco Fini, segretario del suo partito, l’ha voluta issare addirittura alla vicepresidenza della Camera. Sarà curioso vederla concedere o togliere la parola a onorevoli settuagenari, carichi di esperienza e prestigio: «Non nascondo la mia sensazione di ansia e anche di inadeguatezza di fronte a colleghi con una, due o dieci legislature alle spalle», ci confida, «ma questo è un segnale importante lanciato ai giovani, che si sentono estremamente distanti dal Parlamento». Non ha paura di fare la fine di Irene Pivetti, mummificata in tailleur? «No, perchè penso di riuscire a rimanere quella che sono: una militante politica, capace dell’aplomb istituzionale che mi è richiesto, ma con i jeans nella borsa, da indossare quando esco da Montecitorio».
Trent’anni fa la Bonino sfoderò jeans e zoccoli dentro la Camera, sfidando i regolamenti, ma quella ventata di novità e di rivolta sembra lontana. Tutte le debuttanti, infatti, confessano di essersi emozionate entrando la prima volta in aula: «L’impatto è stato molto forte», ci dice Fiorella Ceccacci, «e mi ha fatto effetto vedere il mio nome in grande sul tabellone elettronico. Ora voglio presenziare il più possibile alle sedute, e assorbire come una spugna tutto ciò che mi circonda. Data la mia professione mi occuperò di spettacolo: la cultura è libertaria e democratica, e occorre ridurre gli sprechi».
«L’aula mi ha trasmesso una sensazione di sacralità laica», conferma Elisabetta Rampi, diessina, «e io come sindaco di un piccolo paese di duemila abitanti, Borgolavezzaro in provincia di Novara, avverto la responsabilità di questa mia nuova carica. Sono dipendente e sindacalista delle ferrovie, dirigevo il dopolavoro del Cral aziendale, e mi occuperò di trasporti». Anche Giuseppina Castiello (An) non è una novizia, in politica: «Nel ‘95 mi sono candidata nel mio comune, Afragola vicino a Napoli, e dopo il consiglio comunale sono entrata in quello regionale della Campania, dove ero l’unica donna. Non sono favorevole alle quote rosa, ma ammetto che se non fosse stato per una norma che imponeva di candidare dieci donne al Comune non sarei mai entrata in politica. Anche perchè mio padre non era d’accordo. E ho dovuto sgomitare parecchio per farmi valere, anche all’interno del mio partito. Ora però questo mestiere non solo mi appassiona, ma lo considero una missione: mi sento delegata dai miei elettori per dar loro voce».
Ci ha messo invece parecchio tempo Paola Pelino, 51 anni, imprenditrice di Sulmona (L’Aquila), prima di decidersi a scendere in campo per Forza Italia: «Nel ‘93 Berlusconi mi convocò ad Arcore quando non aveva ancora fondato il partito, ma fino all’anno scorso ho preferito sostenerlo economicamente continuando a occuparmi dell’azienda di familiare, che produce confetti dal 1783. Poi mi sono candidata alla regione Abruzzo, e ora eccomi qui. Questo ambiente mi affascina, e addirittura mi manca durante i weekend: quando sono a casa vorrei tornare subito a Roma. La politica per me è diventata quasi una droga... Anche perchè noi donne di Forza Italia siamo raddoppiate, ora siamo 23 su 134 deputati, e formiamo un bel gruppo».
«Io per fare politica mi sono dovuta letteralmente ammazzare», ci confessa Sandra Cioffi, 61 anni, nata a Zogno (Bergamo) ma cresciuta a Napoli. Unica donna fra i 17 parlamentari dell’Udeur di Clemente Mastella, sposata a vent’anni, mamma a 21, era diventata presidente di circoscrizione ma poi ha dovuto smettere: «E’ inutile, senza quote rosa noi donne non ce la facciamo a fare politica. Io ci sono riuscita soltanto perchè ero spinta da una passione smodata, provenendo dal volontariato cattolico. Ma bisogna stabilire per legge che gli eletti dello stesso sesso non possano superare i due terzi in ogni assemblea».
«Sarà anche una stupidata, ma qui alla Camera c’è un barbiere per i maschi, e invece manca un parrucchiere», nota Silvana Mura. La cosa che ha colpito di più Giorgia Meloni, invece, è la professionalità del personale di Montecitorio: «Dopo un giorno funzionari e commessi ci conoscevano già una per una con nome e cognome. Incredibile. Sono rimasta anche stupita dai prezzi al ristorante interno: incredibilmente bassi. Con lo stipendio che prendiamo, forse potremmo permetterci di pagare qualcosa di più. Ma questo non lo scriva, altrimenti i colleghi mi uccidono...»
Mauro Suttora
Oggi, 10 maggio 2006
Le hanno soprannominate «dep deb»: sono le deputate debuttanti, la maggioranza delle 108 nuove elette alla Camera. Un bel gruppo, in crescita rispetto alla scorsa legislatura: ora la presenza femminile in Parlamento ha raggiunto il 17 per cento. Sempre lontano dal 40 per cento dei Paesi scandinavi, ma abbiamo superato il 15 per cento degli Stati Uniti. Certo, non abbiamo ancora una Condoleezza Rice, terza carica pubblica in America (la segretaria di stato, ovvero ministra degli Esteri, viene subito dopo il presidente George Bush e il suo vice), nè una Hillary Clinton probabilissima candidata democratica alle presidenziali fra due anni. Ma Emma Bonino e Anna Finocchiaro erano considerate valide pretendenti al Quirinale, e a quest’ultima è andata la presidenza di tutti i senatori dell’Ulivo.
Peccato che nel Transatlantico (la sala adiacente all’aula di Montecitorio) non possano entrare i fotografi. Era uno spettacolo, nel giorno dell’elezione del presidente Fausto Bertinotti, il gruppetto delle debuttanti di Forza Italia formatosi di fronte alla buvette: l’ex valletta Mara Carfagna, l’attrice Fiorella Ceccacci (in arte Rubino), la portavoce Elisabetta Gardini, la bionda Michaela Biancofiore (famosa per essere stata immortalata con Silvio Berlusconi a Bolzano durante il suo «gesto del dito») e la ex cognata del Cavaliere Mariella Bocciardo, raccolte attorno alle «veterane» Valentina Aprea e Gabriella Carlucci che le iniziavano ai misteri del Palazzo. «Berlusconi avrà anche perso le elezioni, ma ha le deputate più belle», ha commentato invidioso un parlamentare di sinistra, senza osare avvicinarsi per socializzare con le avvenenti avversarie.
Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), Daniela Santanchè (An) e Giovanna Melandri (Ds) splendono sempre, ma ormai i colleghi si sono abituati alle loro grazie. Più curiosità, invece, suscitano le «nuove»: «Un deputato sconosciuto si è presentato sorridente e mi ha chiesto a quale gruppo appartengo», racconta Silvana Mura, «ma quando gli ho detto Italia dei Valori mi pare sia rimasto deluso, e dopo un po’ se n’è andato». Fra le «new entries» spicca Giorgia Meloni di Alleanza Nazionale, e non solo perchè con i suoi 29 anni è la più giovane dell’intero Parlamento: già finita sulla copertina di qualche settimanale, è assurta alla gloria istituzionale da quando Gianfranco Fini, segretario del suo partito, l’ha voluta issare addirittura alla vicepresidenza della Camera. Sarà curioso vederla concedere o togliere la parola a onorevoli settuagenari, carichi di esperienza e prestigio: «Non nascondo la mia sensazione di ansia e anche di inadeguatezza di fronte a colleghi con una, due o dieci legislature alle spalle», ci confida, «ma questo è un segnale importante lanciato ai giovani, che si sentono estremamente distanti dal Parlamento». Non ha paura di fare la fine di Irene Pivetti, mummificata in tailleur? «No, perchè penso di riuscire a rimanere quella che sono: una militante politica, capace dell’aplomb istituzionale che mi è richiesto, ma con i jeans nella borsa, da indossare quando esco da Montecitorio».
Trent’anni fa la Bonino sfoderò jeans e zoccoli dentro la Camera, sfidando i regolamenti, ma quella ventata di novità e di rivolta sembra lontana. Tutte le debuttanti, infatti, confessano di essersi emozionate entrando la prima volta in aula: «L’impatto è stato molto forte», ci dice Fiorella Ceccacci, «e mi ha fatto effetto vedere il mio nome in grande sul tabellone elettronico. Ora voglio presenziare il più possibile alle sedute, e assorbire come una spugna tutto ciò che mi circonda. Data la mia professione mi occuperò di spettacolo: la cultura è libertaria e democratica, e occorre ridurre gli sprechi».
«L’aula mi ha trasmesso una sensazione di sacralità laica», conferma Elisabetta Rampi, diessina, «e io come sindaco di un piccolo paese di duemila abitanti, Borgolavezzaro in provincia di Novara, avverto la responsabilità di questa mia nuova carica. Sono dipendente e sindacalista delle ferrovie, dirigevo il dopolavoro del Cral aziendale, e mi occuperò di trasporti». Anche Giuseppina Castiello (An) non è una novizia, in politica: «Nel ‘95 mi sono candidata nel mio comune, Afragola vicino a Napoli, e dopo il consiglio comunale sono entrata in quello regionale della Campania, dove ero l’unica donna. Non sono favorevole alle quote rosa, ma ammetto che se non fosse stato per una norma che imponeva di candidare dieci donne al Comune non sarei mai entrata in politica. Anche perchè mio padre non era d’accordo. E ho dovuto sgomitare parecchio per farmi valere, anche all’interno del mio partito. Ora però questo mestiere non solo mi appassiona, ma lo considero una missione: mi sento delegata dai miei elettori per dar loro voce».
Ci ha messo invece parecchio tempo Paola Pelino, 51 anni, imprenditrice di Sulmona (L’Aquila), prima di decidersi a scendere in campo per Forza Italia: «Nel ‘93 Berlusconi mi convocò ad Arcore quando non aveva ancora fondato il partito, ma fino all’anno scorso ho preferito sostenerlo economicamente continuando a occuparmi dell’azienda di familiare, che produce confetti dal 1783. Poi mi sono candidata alla regione Abruzzo, e ora eccomi qui. Questo ambiente mi affascina, e addirittura mi manca durante i weekend: quando sono a casa vorrei tornare subito a Roma. La politica per me è diventata quasi una droga... Anche perchè noi donne di Forza Italia siamo raddoppiate, ora siamo 23 su 134 deputati, e formiamo un bel gruppo».
«Io per fare politica mi sono dovuta letteralmente ammazzare», ci confessa Sandra Cioffi, 61 anni, nata a Zogno (Bergamo) ma cresciuta a Napoli. Unica donna fra i 17 parlamentari dell’Udeur di Clemente Mastella, sposata a vent’anni, mamma a 21, era diventata presidente di circoscrizione ma poi ha dovuto smettere: «E’ inutile, senza quote rosa noi donne non ce la facciamo a fare politica. Io ci sono riuscita soltanto perchè ero spinta da una passione smodata, provenendo dal volontariato cattolico. Ma bisogna stabilire per legge che gli eletti dello stesso sesso non possano superare i due terzi in ogni assemblea».
«Sarà anche una stupidata, ma qui alla Camera c’è un barbiere per i maschi, e invece manca un parrucchiere», nota Silvana Mura. La cosa che ha colpito di più Giorgia Meloni, invece, è la professionalità del personale di Montecitorio: «Dopo un giorno funzionari e commessi ci conoscevano già una per una con nome e cognome. Incredibile. Sono rimasta anche stupita dai prezzi al ristorante interno: incredibilmente bassi. Con lo stipendio che prendiamo, forse potremmo permetterci di pagare qualcosa di più. Ma questo non lo scriva, altrimenti i colleghi mi uccidono...»
Mauro Suttora
Donne e politica
settimanale Grazia, 10 maggio 2006
Sette anni fa avrebbe potuto farcela: Emma Bonino vinceva tutti i sondaggi popolari per il Quirinale. Per disinnescarla, i professionisti (maschi) della politica dovettero ricorrere a Carlo Azeglio Ciampi. Questa volta, invece, l’ex commissaria europea non solo è sparita dalla lista dei presidenziabili, ma è stata esclusa anche da qualsiasi ministero di serie A, come la Difesa. Gli uomini politici (uomini, appunto: in inglese invece si dice “politician”, sostantivo neutro) si sono reimpadroniti di ogni poltrona che conta. Nessuna donna è mai stata in lizza per le tre poltrone più importanti dello stato: presidenza della Repubblica, Senato, Camera. E neanche per la quarta, la quinta o la sesta: premier, ministro degli Esteri, degli Interni...
“Però noi deputate di Forza Italia siamo raddoppiate rispetto alla scorsa legislatura”, si consola Paola Pelino di Sulmona (L’Aquila), imprenditrice dell’omonima azienda di confetti e neoeletta nel partito di Silvio Berlusconi: “Eravamo tredici su 170, ora siamo 23 su 134”. Il 17 per cento, quindi. In linea con la quota rosa dell’intera Camera: 108 deputate su 630. Contro il 42% in Svezia, il 37 in Finlandia, il 35 in Norvegia... Fra i ministri, poi, le donne in Svezia detengono la maggioranza assoluta. Ma non è detto che ci sia una corrispondenza le percentuali di elette e il potere effettivo detenuto al femminile. Negli Stati Uniti, infatti, nonostante le donne al Congresso siano in numero perfino minore che in Italia (15%), per il voto presidenziale fra due anni si profila uno scontro tutto rosa: la democratica Hillary Clinton contro Condoleezza Rice per i repubblicani. E se questi ultimi le preferissero Rudy Giuliani o John McCain come candidato, le verrebbe probabilmente offerta la poltrona di vicepresidente.
Già oggi la Rice ricopre la terza carica più importante del Paese più potente della Terra, dopo George Bush e il suo vice Dick Cheney: segretaria di stato, ovvero ministra degli Esteri. È lei, nel bene e nel male, il volto pubblico dell’America nel mondo, quella che va a farsi fischiare ad Atene o applaudire a Varsavia. E l’italoamericana Nancy Pelosi guida il partito democratico alla camera dei Rappresentanti. Qui da noi Anna Finocchiaro è riuscita a farsi eleggere capogruppo dell’Ulivo al Senato. Ma a molti questo è sembrato solo un premio di consolazione per la brava e autorevole diessina siciliana, mancata ministra della Giustizia (il suo nome era stato fatto anche come possibile capo dello stato, assieme alla Bonino e all’astronoma Margherita Hack).
Come mai le donne fanno così fatica a emergere nella politica italiana? La risposta è semplice: tutti i partiti oggi sono guidati da maschi, dopo rare eccezioni in passato come la compianta Adelaide Aglietta per i radicali e la verde Grazia Francescato. Con la nuova legge elettorale, il ritorno al proporzionale e l’abolizione delle preferenze, gli unici a decidere chi verrà eletto sono i segretari di partito. Coloro che conquistano un buon posto in lista, infatti, vanno automaticamente in Parlamento, senza dovere neppure farsi campagna elettorale. Si può quindi dire che il vero momento della verità non è quello del voto, ma quello della composizione delle liste. E qui le donne sono state tagliate fuori: sembra che non “portano voti”, come si dice, intendendo le clientele. E i volti famosi o piacevoli giocati per attrarre consenso (Manuela Di Centa, Mara Carfagna) sono un abbellimento che non scalfisce il duro nocciolo del potere.
“Io per fare politica ho dovuto letteralmente ammazzarmi”, confessa Sandra Cioffi, unica donna fra i 17 parlamentari dell’Udeur di Clemente Mastella, “e ce l’ho fatta solo perchè mi ha sempre sorretto una passione smodata prima per il volontariato cattolico e poi per la politica”. Sposata a vent’anni, mamma a 21, un cursus honorum cominciato come consigliere di quartiere a Napoli, l’onorevole Cioffi è il classico esempio della donna che a un certo punto (nel 1993) è stata costretta a rinunciare all’impegno pubblico per non sacrificare troppo il suo ruolo di moglie e madre. Per questo oggi invoca con decisione le “quote rosa”, cioè la percentuale obbligatoria di elette che ha fatto scattare la rivoluzione al femminile nei Paesi scandinavi: “Però, per non rischiare di nuovo la bocciatura da parte della corte Costituzionale, sarebbe bene che il famoso articolo 51 della costituzione si limitasse a prevedere che ogni assemblea elettiva non può essere composta per più dei due terzi da rappresentanti dello stesso sesso”.
Una quota minima garantita del 33%, quindi, che rappresenterebbe comunque un raddoppio rispetto alle percentuali italiane attuali. Ma osservando la composizione dell’attuale Parlamento, si nota subito che soprattutto a sinistra anche fra le debuttanti prevalgono le funzionarie di partito, oppure le detentrici di cariche elettive: ex sindache, ex consiglieri regionali. Insomma, fra i maschi come fra le femmine ormai in Italia si è creata una ‘nomenklatura’ di politici di mestiere. Un ceto separato di circa centomila persone, ha calcolato il senatore diessino Cesare Salvi in un suo recente libro, che cominciano lavorando come portaborse o in circoscrizione, e che poi sono costrette ad andare avanti semplicemente per salvaguardare lo stipendio. Esigenza legittima e comprensibile, ma addio passione (e indipendenza di giudizio).
In Italia, quindi, sarebbe impossibile un ‘fenomeno Condi Rice’, ovvero di una donna che avendo raggiunto importanti vette nella propria vita professionale (direttrice amministrativa dell’università di Stanford, consigliere d’amministrazione di multinazionali del petrolio), decide a un certo punto della carriera di “mettersi al servizio della comunità”. Capita anche in Italia, ma sempre più raramente. Nel suo piccolo, è rimasta stregata dalla politica l’onorevole Pelino, debuttante a 51 anni: “Le prime sedute alla Camera mi hanno talmente affascinato che durante i week-end a Sulmona non vedo l’ora di tornare a Roma. Sì, ormai sono ‘drogata’ di politica...”
Sette anni fa avrebbe potuto farcela: Emma Bonino vinceva tutti i sondaggi popolari per il Quirinale. Per disinnescarla, i professionisti (maschi) della politica dovettero ricorrere a Carlo Azeglio Ciampi. Questa volta, invece, l’ex commissaria europea non solo è sparita dalla lista dei presidenziabili, ma è stata esclusa anche da qualsiasi ministero di serie A, come la Difesa. Gli uomini politici (uomini, appunto: in inglese invece si dice “politician”, sostantivo neutro) si sono reimpadroniti di ogni poltrona che conta. Nessuna donna è mai stata in lizza per le tre poltrone più importanti dello stato: presidenza della Repubblica, Senato, Camera. E neanche per la quarta, la quinta o la sesta: premier, ministro degli Esteri, degli Interni...
“Però noi deputate di Forza Italia siamo raddoppiate rispetto alla scorsa legislatura”, si consola Paola Pelino di Sulmona (L’Aquila), imprenditrice dell’omonima azienda di confetti e neoeletta nel partito di Silvio Berlusconi: “Eravamo tredici su 170, ora siamo 23 su 134”. Il 17 per cento, quindi. In linea con la quota rosa dell’intera Camera: 108 deputate su 630. Contro il 42% in Svezia, il 37 in Finlandia, il 35 in Norvegia... Fra i ministri, poi, le donne in Svezia detengono la maggioranza assoluta. Ma non è detto che ci sia una corrispondenza le percentuali di elette e il potere effettivo detenuto al femminile. Negli Stati Uniti, infatti, nonostante le donne al Congresso siano in numero perfino minore che in Italia (15%), per il voto presidenziale fra due anni si profila uno scontro tutto rosa: la democratica Hillary Clinton contro Condoleezza Rice per i repubblicani. E se questi ultimi le preferissero Rudy Giuliani o John McCain come candidato, le verrebbe probabilmente offerta la poltrona di vicepresidente.
Già oggi la Rice ricopre la terza carica più importante del Paese più potente della Terra, dopo George Bush e il suo vice Dick Cheney: segretaria di stato, ovvero ministra degli Esteri. È lei, nel bene e nel male, il volto pubblico dell’America nel mondo, quella che va a farsi fischiare ad Atene o applaudire a Varsavia. E l’italoamericana Nancy Pelosi guida il partito democratico alla camera dei Rappresentanti. Qui da noi Anna Finocchiaro è riuscita a farsi eleggere capogruppo dell’Ulivo al Senato. Ma a molti questo è sembrato solo un premio di consolazione per la brava e autorevole diessina siciliana, mancata ministra della Giustizia (il suo nome era stato fatto anche come possibile capo dello stato, assieme alla Bonino e all’astronoma Margherita Hack).
Come mai le donne fanno così fatica a emergere nella politica italiana? La risposta è semplice: tutti i partiti oggi sono guidati da maschi, dopo rare eccezioni in passato come la compianta Adelaide Aglietta per i radicali e la verde Grazia Francescato. Con la nuova legge elettorale, il ritorno al proporzionale e l’abolizione delle preferenze, gli unici a decidere chi verrà eletto sono i segretari di partito. Coloro che conquistano un buon posto in lista, infatti, vanno automaticamente in Parlamento, senza dovere neppure farsi campagna elettorale. Si può quindi dire che il vero momento della verità non è quello del voto, ma quello della composizione delle liste. E qui le donne sono state tagliate fuori: sembra che non “portano voti”, come si dice, intendendo le clientele. E i volti famosi o piacevoli giocati per attrarre consenso (Manuela Di Centa, Mara Carfagna) sono un abbellimento che non scalfisce il duro nocciolo del potere.
“Io per fare politica ho dovuto letteralmente ammazzarmi”, confessa Sandra Cioffi, unica donna fra i 17 parlamentari dell’Udeur di Clemente Mastella, “e ce l’ho fatta solo perchè mi ha sempre sorretto una passione smodata prima per il volontariato cattolico e poi per la politica”. Sposata a vent’anni, mamma a 21, un cursus honorum cominciato come consigliere di quartiere a Napoli, l’onorevole Cioffi è il classico esempio della donna che a un certo punto (nel 1993) è stata costretta a rinunciare all’impegno pubblico per non sacrificare troppo il suo ruolo di moglie e madre. Per questo oggi invoca con decisione le “quote rosa”, cioè la percentuale obbligatoria di elette che ha fatto scattare la rivoluzione al femminile nei Paesi scandinavi: “Però, per non rischiare di nuovo la bocciatura da parte della corte Costituzionale, sarebbe bene che il famoso articolo 51 della costituzione si limitasse a prevedere che ogni assemblea elettiva non può essere composta per più dei due terzi da rappresentanti dello stesso sesso”.
Una quota minima garantita del 33%, quindi, che rappresenterebbe comunque un raddoppio rispetto alle percentuali italiane attuali. Ma osservando la composizione dell’attuale Parlamento, si nota subito che soprattutto a sinistra anche fra le debuttanti prevalgono le funzionarie di partito, oppure le detentrici di cariche elettive: ex sindache, ex consiglieri regionali. Insomma, fra i maschi come fra le femmine ormai in Italia si è creata una ‘nomenklatura’ di politici di mestiere. Un ceto separato di circa centomila persone, ha calcolato il senatore diessino Cesare Salvi in un suo recente libro, che cominciano lavorando come portaborse o in circoscrizione, e che poi sono costrette ad andare avanti semplicemente per salvaguardare lo stipendio. Esigenza legittima e comprensibile, ma addio passione (e indipendenza di giudizio).
In Italia, quindi, sarebbe impossibile un ‘fenomeno Condi Rice’, ovvero di una donna che avendo raggiunto importanti vette nella propria vita professionale (direttrice amministrativa dell’università di Stanford, consigliere d’amministrazione di multinazionali del petrolio), decide a un certo punto della carriera di “mettersi al servizio della comunità”. Capita anche in Italia, ma sempre più raramente. Nel suo piccolo, è rimasta stregata dalla politica l’onorevole Pelino, debuttante a 51 anni: “Le prime sedute alla Camera mi hanno talmente affascinato che durante i week-end a Sulmona non vedo l’ora di tornare a Roma. Sì, ormai sono ‘drogata’ di politica...”
Wednesday, May 10, 2006
Inchiesta: risparmio di energia
La terra si spegne RIACCENDIAMOLA
DOSSIER Tra mega bollette e caro benzina: cosa ci riserva il futuro
Le risorse sono agli sgoccioli: sole e vento ci aiuteranno a superare la crisi energetica ? La natura non basta, assicurano gli esperti. Bisogna abolire gli sprechi e costruire case "intelligenti". Il problema è mondiale, ma l' Italia rischia molto di più. Perché dipendiamo quasi completamente dall' estero per riscaldarci, muoverci e produrre. E per cambiare c' è un solo modo: risparmiare
di Mauro Suttora
Oggi, 10 maggio 2006
Ce ne accorgiamo ogni mese, quando arrivano le bollette: gas, benzina ed elettricità aumentano ormai del dieci per cento all' anno. Questa primavera fredda è stata una batosta non solo per fiori e alberi, ma anche per le nostre tasche. E poi la benzina che rimane a prezzi stratosferici, i russi che tagliano il gas, i blackout estivi... Cosa sta succedendo ? Rischiamo di rimanere senza riscaldamento ed elettricità, o di pagarli una fortuna ? Perché l' energia di cui abbiamo bisogno è diventata così cara ? E che possiamo fare per spendere meno ?
Per capirlo, abbiamo interpellato esperti dei tre grandi rami in cui vanno a finire tutto il petrolio e il gas che utilizziamo: riscaldamento, trasporti, elettricità. Ognuno di questi settori utilizza un terzo dell' energia complessiva, che per l' 85 per cento dobbiamo importare dall' estero, pagando più di trenta miliardi di euro l' anno. L' Italia, infatti, produce soltanto un quinto dell' elettricità che consuma, un sesto del gas e un ventesimo del petrolio: "Siamo totalmente dipendenti, e per di più da Paesi instabili e a rischio politico come Algeria e Russia per il gas, e Libia e Iran per il petrolio", spiega Riki Sospisio della società Etf Ga.
Consumare meno.
Siamo vulnerabili, quindi. Come ridurre i rischi ? "Innanzitutto consumando di meno", risponde Maria Grazia Midulla del Wwf. Il che non vuol dire diminuire il nostro tenore di vita, ma ridurre gli sprechi e usare le varie fonti in modo più intelligente. Per quanto riguarda il riscaldamento tutte le abitazioni dovrebbero essere isolate e coibentate. Sia quelle di nuova costruzione, sia quelle vecchie, ogni volta che vengono ristrutturate. Questo significa installare doppi vetri per non disperdere il calore, utilizzare materiali di qualità, coprire i tetti con pannelli solari per garantirci l' acqua calda. È da trent' anni che se ne parla, ma in concreto è stato fatto pochissimo. Tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per esempio, dalla Spagna a Cipro, dalla Grecia a Israele, oggi al posto delle tegole hanno i pannelli per il "solare termico", con grandi risparmi nelle bollette.
"In Italia invece mancano gli incentivi fiscali per le famiglie", spiega Midulla, "che sono l' unico modo per ottenere risultati. Le nostre città hanno cambiato volto negli ultimi anni grazie alle detrazioni per le ristrutturazioni delle facciate delle case. Lo stesso potrebbe avvenire per i consumi energetici".
Riscaldarsi.
Nel 1971 il 70 per cento del riscaldamento era a gasolio, oggi appena il 20 per cento. La sostituzione col gas è stata un' ottima cosa per la qualità dell' aria, ma dal punto di vista del costo e della dipendenza dall' estero non è cambiato nulla. Il costo del metano infatti è agganciato automaticamente a quello del dollaro, e dobbiamo importarne l' 83 per cento (vedi la tabella qui sotto). "Occorre una certificazione edilizia energetica per tutte le nuove costruzioni e le ristrutturazioni", avverte Matteo Leonardi del Wwf. Altrimenti succede come per le soffitte e mansarde trasformate (spesso abusivamente) in abitazioni negli ultimi anni: tirate su alla svelta con materiale edilizio di seconda qualità, annullano ogni risparmio di costruzione con i costi di riscaldamento invernale e aria condizionata estiva.
Il boom dei condizionatori dopo il gran caldo del 2003 è un altro spreco: usare elettricità, cioè energia pregiata, per riscaldarsi e rinfrescarsi, è costoso e inefficiente. Meglio le classiche stufe, o le pale al soffitto per la ventilazione. Ma alcune regioni, come Lombardia e Trentino, ora proibiscono l' uso di legna per le stufe. Con scopi apparentemente ecologici (diminuire le emissioni di anidride carbonica che causano l' effetto serra), i quali cozzano però contro i costi, visto che la legna da ardere spesso viene raccolta gratis, e anche contro l' interesse nazionale di non dipendere dall' estero: "Mi vietano di usare la mia stufa ad alta efficienza con legna raccolta qua intorno, e mi costringono invece a pagare un occhio della testa il gas russo o algerino", protesta Alessandro Ghezzer da Trento.
Muoversi.
I trasporti ingoiano un terzo dell' energia che consumiamo, e un terzo di secolo dopo il primo choc petrolifero della guerra del Kippur (ricordate l' austerity del ' 73 ?) nonostante tutti i bei discorsi ecologici il 98 per cento dei nostri veicoli va ancora a benzina o a gasolio. Dai pozzi italiani (soprattutto in Basilicata) riusciamo a estrarre solo il 5 per cento dell' oro nero che consumiamo. Continuiamo quindi a regalare decine di miliardi a personaggi come gli sceicchi, Gheddafi, gli ayatollah e i russi (vedere la tabella).
Purtroppo le alternative sono in teoria molte (auto a gas, ibride, a etanolo), ma in pratica si tratta di vetture ancora poco convenienti per prezzo, peso o difficoltà di approvvigionamento. La rete dei rifornitori di gas infatti non è estesa come quella dei benzinai. Il sogno delle auto ad acqua (idrogeno) resta per ora confinato nei laboratori. L' etanolo è sviluppato solo in Brasile. Le auto elettriche sono appesantite da batterie enormi e di scarsa autonomia. E comunque anche l' elettricità proviene in gran parte da gas e petrolio.
"Per risparmiare non resta che usare di più i trasporti pubblici", predicano gli ecologisti, e in effetti il cosiddetto "costo energetico" di treni, tram e bus, cioè l' energia necessaria per trasportare una persona, è nettamente inferiore a quello delle auto. All' interno del trasporto pubblico, poi, sono preferibili i mezzi su rotaia. Per questo molte città adottano la "cura del ferro", ripristinando tram e scavando metropolitane. E per fluidificare il traffico, evitando i motori accesi di macchine quasi ferme, sono importanti piccoli accorgimenti come i "semafori intelligenti", con la luce verde sincronizzata sulle grandi arterie.
Elettricità.
L' 80 per cento delle nuove centrali in Italia funzionerà a gas. "Bene", applaudono gli ecologisti, nemici di petrolio, carbone e nucleare. "Assurdo", ribatte Suspisio, "sciupare energia pregiata come il gas per produrre elettricità equivale a riscaldarsi bruciando banconote. Meglio il carbone, che oggi si può liquefare e gassificare, con nuove tecniche per evitare l' inquinamento. E che, soprattutto, proviene da Paesi senza rischi come Canada, Australia, Germania".
Quanto al nucleare, stiamo importando parecchia elettricità dalla Francia, che la ricava dalle sue numerose centrali atomiche. Noi abbiamo rinunciato a questa energia vent' anni fa, con il referendum dopo il disastro di Chernobyl. Da allora però non ci sono stati più incidenti. Oggi perfino il Vaticano si dichiara favorevole al nucleare e alla proposta dell' ingegnere Giuseppe Rotunno di utilizzare l' uranio delle testate atomiche per scopi civili, destinando il ricavato al Terzo Mondo. Tuttavia per costruire nuove centrali atomiche ci vogliono una dozzina d' anni, e neanche gli Stati Uniti hanno finora risolto il problema delle scorie, che rimangono radioattive per migliaia di anni.
Acqua, vento, sole.
Sono le uniche energie "rinnovabili", perché non si esauriscono mai, e "dolci", perché non inquinanti e gratuite. Ma l' idroelettrico può aumentare di poco la sua capacità in Italia: è difficile progettare altre dighe sui fiumi, e i valligiani protestano se si alterano troppo gli equilibri ecologici. Perfino il vento ha i suoi oppositori fra gli ambientalisti (come l' ex ministro Carlo Ripa di Meana, oggi presidente di Italia Nostra), perché deturpano il paesaggio e costerebbero troppo. Ma i Paesi più avanzati, come Germania e Danimarca, stanno costruendo molti mulini a vento con turbine che già coprono il 20 per cento del consumo energetico. In Navarra (Spagna) addirittura la metà dell' elettricità viene prodotta così. L' Italia li ha installati sull' Appennino: il paese di Varese Ligure (La Spezia) soddisfa tutti i propri consumi col vento, e fra Puglia, Campania e Basilicata ne sono sorti a decine sui crinali della Daunia. Per evitare "inquinamenti visivi" i generatori eolici si possono comunque installare in mare, vicini alle coste più ventose. Il sole, infine: risulta ancora relativamente poco efficiente produrre elettricità con celle fotovoltaiche, mentre il "solare termico" è già conveniente dal punto di vista economico.
Consigli pratici per pagare meno.
In casa, stare sotto i 20 gradi e spegnere la luce. Fuori, non accelerare. Come spendere meno ? Come ridurre le bollette e i conti dal benzinaio ? Ecco alcuni consigli pratici.
l Riscaldamento. Se siete "termoautonomi", non superate mai i 20 gradi (lo impone anche la legge). Un maglione e una coperta in più fanno pure bene alla salute. Se invece avete il riscaldamento centralizzato di un condominio, date battaglia nelle riunioni: ci sarà sempre un inquilino che si lamenterà per il freddo. Siate crudeli: minacciatelo di spedire i vigili a ispezionargli l' appartamento.
l Aria condizionata. Sì, le ultime estati sono state calde, e abbiamo acquistato tanti condizionatori. Ma non diventiamo fanatici: si sopravvive anche a 30 gradi, senza pretenderne 25. Non tutte le stanze hanno bisogno di essere raffreddate: in alcune può bastare una bella corrente d' aria o le pale sul soffitto. Chiudete le porte fra i locali "condizionati" e gli altri. E le finestre.
l Elettricità. Spegnete le luci quando uscite da ogni stanza. Sembra stupido, ma si risparmia parecchio. Controllate la potenza delle lampadine, che è indicata in watt. Comprate quelle ad alto rendimento: costano di più, ma alla lunga convengono. Date un' occhiata agli elettrodomestici. Alcuni consumano molto, altri sorprendentemente poco, ed è quindi inutile preoccuparsi di spegnerli (Tv, computer). Togliete lo scaldabagno elettrico e sostituitelo con un bruciatore a gas. O, meglio, con pannelli solari.
l Auto. Esistono addirittura gare di guida "risparmiosa": evitando accelerazioni e frenate brusche si riduce il consumo di carburante fino al 30 per cento. Informatevi sempre dei chilometri che un' auto percorre con un litro prima di acquistarla. Preferite i modelli a bassa cilindrata. l Siate drastici. Non serve l' auto per accompagnare sempre i figli se la scuola è vicina. Usate di più i mezzi pubblici. E andate a piedi: oltre a risparmiare sulla benzina, non pagherete le palestre.
Tutti i trucchi del fai da te.
Il sogno: non dipendere più da sceicchi, ayatollah e Gheddafi... Non volete più regalare soldi a Putin per il suo gas o agli arabi per il petrolio ? Oltre a consumare meno, ecco qualche consiglio su come rendersi più autonomi.
l Condominio. Se abitiamo in condominio è difficile adottare decisioni individuali. Ma quando il palazzo deve rinnovare la facciata, il tetto o le finestre, pretendete dall' amministratore che vengano utilizzati materiali e infissi coibentanti: che garantiscano, cioè, più isolamento contro il freddo d' inverno, e contro il caldo d' estate.
l Casa di proprietà. Informatevi sulle possibili migliorie termiche: ormai esistono esperti che garantiscono risparmi anche del 20/30 per cento sui costi del riscaldamento. Di rigore i pannelli solari per l' acqua calda sul tetto, soprattutto sul lato sud. Non preoccupatevi se vivete in Italia settentrionale e se le giornate grigie sono molte: docce e termosifoni caldi sono sempre garantiti, grazie a un' integrazione col bruciatore del gas che scatta quando non si ottiene col sole la temperatura minima. Ma il risparmio c' è sempre.
l Riscaldamento a legna. Se non si ha la fortuna di avere un bosco privato o di vivere vicino a una foresta pubblica, bisogna pagar cara anche la legna da ardere. Ma una buona provvista può durare tutto l' inverno, sempre che la cappa tiri bene (consultate lo spazzacamino) o che la stufa abbia un buon rendimento. Occhio alle esalazioni di ossido di carbonio, però.
l Alberi. Piantatene il più possibile attorno a casa. La loro ombra è il miglior rinfrescante contro le arsure estive. E se avete una fontana in disuso, riattatela: un velo d' acqua scrosciante garantisce vari gradi in meno.
Le citta' piu' efficienti.
Bolzano e Roma offrono incentivi, Milano ha ottimi trasporti pubblici. Quali sono le città più efficienti in termini di energia ? E quali invece le più sprecone ? Ogni anno Legambiente e Sole 24Ore stilano una classifica dei capoluoghi più ecologici. Ecco i migliori e peggiori.
Risparmio. Bolzano offre incentivi per la coibentazione delle case, il risparmio e l' installazione di pannelli solari. Anche Roma fa qualcosa. Alessandria può vantare il primo villaggio "solare". Fra le grandi città sono invece a zero Milano, Genova, Bari e Trieste.
Trasporti. Quelli pubblici migliori sono a Milano, i peggiori a Napoli. Fra le grandi città, bene Trieste e Catania, male Bari e Verona. Fra le medie primeggiano Trento e La Spezia, ultima Pesaro. Fra le piccole, bene Aosta e Chieti, male Verona e Massa. Udine detiene il record per i mezzi a metano (55) ed elettrici (5) su un totale di 77 bus. Quanto all' utilizzo effettivo dei mezzi pubblici, bene Roma, Bologna, Ancona, Siena e Cosenza. Male Torino, Napoli, Messina, Siracusa, Latina, Vercelli e Sondrio.
Elettricità. Al Sud i consumi sono la metà del Nord: 837 kwh annui per abitante ad Avellino, contro i 1.523 di Aosta. Sassari, curiosamente, è a 1.470. Ma la richiesta di elettricità aumenta del 2 3 per cento annuo (del 7 per cento nel 2004 a Catanzaro, Trapani e Crotone).
Carburanti. Enna è la provincia col minor consumo a testa, 236 litri annui, mentre la vicina Ragusa è la più prodiga con 681, superando Grosseto. Ogni 100 italiani, 63 hanno l' auto: record europeo. In testa Biella e Viterbo con 72, in coda Genova e La Spezia (50) e Foggia (52).
Da dove viene e dove finisce la nostra energia
Il pianeta spaccato in due dalla fame di energia in questa immagine emblematica c' è la sintesi dei problemi che attanagliano il pianeta. alla lista dei paesi industrializzati si aggiungono india e cina che consumano quantità esorbitanti di energia facendo lievitare i prezzi. energia più pulita e atomi sicuri per andare avanti eliche giganti a costo zero l' energia prodotta dal vento è conveniente. sulle nostre montagne questo spettacolo sarà sempre più frequente. una cascata di luce l' idroelettrico soddisfa una parte importante del bisogno energetico, ma bisogna anche salvare l' equilibrio delle valli. ritorno al nucleare passati 20 anni (e senza incidenti) da chernobyl, molti suggeriscono di tornare all' energia atomica. petrolio: un mare di guai il greggio è la principale fonte di energia. il guaio è che molti dei paesi produttori sono instabili politicamente.
quando i rifiuti domestici possono valere oro
brescia è la numero uno
Brescia. nel "termoutilizzatore" (foto sotto), la città lombarda brucia la spazzatura rispettando le norme antinquinamento. e riutilizza l' energia prodotta per il riscaldamento e l' elettricità. così un acino d' uva accende una lampadina a faenza si produce energia dalle bucce della frutta faenza (ravenna). sopra, scarti delle lavorazioni (vinacce, bucce d' uva e noccioli di frutta) e residui delle potature consentono a questa azienda agricola, la maggiore produttrice di vino in italia, un' autonomia energetica del 90 per cento. l' elettricità che avanza viene pure rivenduta.
ecco da dove viene la nostra energia...
petrolio e gas la fanno ancora da padroni fra le nostre fonti di approvvigionamento: un terzo di secolo dopo l' austerity per la guerra del kippur, siamo tuttora dipendenti dall' oro nero. le fonti pulite (sole e vento) rappresentano una quota minima.
...e dove finisce:
regnano petrolio e gas riscaldamento, trasporti ed elettricità si dividono equamente l' uso finale dell' energia in italia. negli ultimi anni c' è stato un grosso aumento nell' uso del gas per il riscaldamento e nelle centrali elettriche. importiamo energia nucleare dalla francia.
trivelle per il petrolio nelle vigne piemontesi
dilemma a vercelli gattinara (vercelli). c' è un giacimento petrolifero sotto le preziose vigne dell' omonimo vino. così sono iniziate le trivellazioni, rese convenienti dal petrolio a 72 dollari al barile. sopra: la raffineria di trecate (novara).
Ad Alessandria è nato il primo quartiere dove funziona tutto grazie al sole
Il villaggio fotovoltaico del quartiere Cristo di Alessandria produce da sei mesi con pannelli solari 170 kw di energia elettrica, utilizzata nei 192 appartamenti di otto palazzine. ogni famiglia risparmia così dai 500 agli 800 euro all' anno. Queste case popolari, autonome al 60 per cento, hanno un doppio contatore che registra la produzione di energia propria e quella erogata dall' Enel. il complesso occupa 75 mila metri quadri. gli affitti variano da 30 a 150 euro al mese a seconda del reddito.
Mauro Suttora
DOSSIER Tra mega bollette e caro benzina: cosa ci riserva il futuro
Le risorse sono agli sgoccioli: sole e vento ci aiuteranno a superare la crisi energetica ? La natura non basta, assicurano gli esperti. Bisogna abolire gli sprechi e costruire case "intelligenti". Il problema è mondiale, ma l' Italia rischia molto di più. Perché dipendiamo quasi completamente dall' estero per riscaldarci, muoverci e produrre. E per cambiare c' è un solo modo: risparmiare
di Mauro Suttora
Oggi, 10 maggio 2006
Ce ne accorgiamo ogni mese, quando arrivano le bollette: gas, benzina ed elettricità aumentano ormai del dieci per cento all' anno. Questa primavera fredda è stata una batosta non solo per fiori e alberi, ma anche per le nostre tasche. E poi la benzina che rimane a prezzi stratosferici, i russi che tagliano il gas, i blackout estivi... Cosa sta succedendo ? Rischiamo di rimanere senza riscaldamento ed elettricità, o di pagarli una fortuna ? Perché l' energia di cui abbiamo bisogno è diventata così cara ? E che possiamo fare per spendere meno ?
Per capirlo, abbiamo interpellato esperti dei tre grandi rami in cui vanno a finire tutto il petrolio e il gas che utilizziamo: riscaldamento, trasporti, elettricità. Ognuno di questi settori utilizza un terzo dell' energia complessiva, che per l' 85 per cento dobbiamo importare dall' estero, pagando più di trenta miliardi di euro l' anno. L' Italia, infatti, produce soltanto un quinto dell' elettricità che consuma, un sesto del gas e un ventesimo del petrolio: "Siamo totalmente dipendenti, e per di più da Paesi instabili e a rischio politico come Algeria e Russia per il gas, e Libia e Iran per il petrolio", spiega Riki Sospisio della società Etf Ga.
Consumare meno.
Siamo vulnerabili, quindi. Come ridurre i rischi ? "Innanzitutto consumando di meno", risponde Maria Grazia Midulla del Wwf. Il che non vuol dire diminuire il nostro tenore di vita, ma ridurre gli sprechi e usare le varie fonti in modo più intelligente. Per quanto riguarda il riscaldamento tutte le abitazioni dovrebbero essere isolate e coibentate. Sia quelle di nuova costruzione, sia quelle vecchie, ogni volta che vengono ristrutturate. Questo significa installare doppi vetri per non disperdere il calore, utilizzare materiali di qualità, coprire i tetti con pannelli solari per garantirci l' acqua calda. È da trent' anni che se ne parla, ma in concreto è stato fatto pochissimo. Tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per esempio, dalla Spagna a Cipro, dalla Grecia a Israele, oggi al posto delle tegole hanno i pannelli per il "solare termico", con grandi risparmi nelle bollette.
"In Italia invece mancano gli incentivi fiscali per le famiglie", spiega Midulla, "che sono l' unico modo per ottenere risultati. Le nostre città hanno cambiato volto negli ultimi anni grazie alle detrazioni per le ristrutturazioni delle facciate delle case. Lo stesso potrebbe avvenire per i consumi energetici".
Riscaldarsi.
Nel 1971 il 70 per cento del riscaldamento era a gasolio, oggi appena il 20 per cento. La sostituzione col gas è stata un' ottima cosa per la qualità dell' aria, ma dal punto di vista del costo e della dipendenza dall' estero non è cambiato nulla. Il costo del metano infatti è agganciato automaticamente a quello del dollaro, e dobbiamo importarne l' 83 per cento (vedi la tabella qui sotto). "Occorre una certificazione edilizia energetica per tutte le nuove costruzioni e le ristrutturazioni", avverte Matteo Leonardi del Wwf. Altrimenti succede come per le soffitte e mansarde trasformate (spesso abusivamente) in abitazioni negli ultimi anni: tirate su alla svelta con materiale edilizio di seconda qualità, annullano ogni risparmio di costruzione con i costi di riscaldamento invernale e aria condizionata estiva.
Il boom dei condizionatori dopo il gran caldo del 2003 è un altro spreco: usare elettricità, cioè energia pregiata, per riscaldarsi e rinfrescarsi, è costoso e inefficiente. Meglio le classiche stufe, o le pale al soffitto per la ventilazione. Ma alcune regioni, come Lombardia e Trentino, ora proibiscono l' uso di legna per le stufe. Con scopi apparentemente ecologici (diminuire le emissioni di anidride carbonica che causano l' effetto serra), i quali cozzano però contro i costi, visto che la legna da ardere spesso viene raccolta gratis, e anche contro l' interesse nazionale di non dipendere dall' estero: "Mi vietano di usare la mia stufa ad alta efficienza con legna raccolta qua intorno, e mi costringono invece a pagare un occhio della testa il gas russo o algerino", protesta Alessandro Ghezzer da Trento.
Muoversi.
I trasporti ingoiano un terzo dell' energia che consumiamo, e un terzo di secolo dopo il primo choc petrolifero della guerra del Kippur (ricordate l' austerity del ' 73 ?) nonostante tutti i bei discorsi ecologici il 98 per cento dei nostri veicoli va ancora a benzina o a gasolio. Dai pozzi italiani (soprattutto in Basilicata) riusciamo a estrarre solo il 5 per cento dell' oro nero che consumiamo. Continuiamo quindi a regalare decine di miliardi a personaggi come gli sceicchi, Gheddafi, gli ayatollah e i russi (vedere la tabella).
Purtroppo le alternative sono in teoria molte (auto a gas, ibride, a etanolo), ma in pratica si tratta di vetture ancora poco convenienti per prezzo, peso o difficoltà di approvvigionamento. La rete dei rifornitori di gas infatti non è estesa come quella dei benzinai. Il sogno delle auto ad acqua (idrogeno) resta per ora confinato nei laboratori. L' etanolo è sviluppato solo in Brasile. Le auto elettriche sono appesantite da batterie enormi e di scarsa autonomia. E comunque anche l' elettricità proviene in gran parte da gas e petrolio.
"Per risparmiare non resta che usare di più i trasporti pubblici", predicano gli ecologisti, e in effetti il cosiddetto "costo energetico" di treni, tram e bus, cioè l' energia necessaria per trasportare una persona, è nettamente inferiore a quello delle auto. All' interno del trasporto pubblico, poi, sono preferibili i mezzi su rotaia. Per questo molte città adottano la "cura del ferro", ripristinando tram e scavando metropolitane. E per fluidificare il traffico, evitando i motori accesi di macchine quasi ferme, sono importanti piccoli accorgimenti come i "semafori intelligenti", con la luce verde sincronizzata sulle grandi arterie.
Elettricità.
L' 80 per cento delle nuove centrali in Italia funzionerà a gas. "Bene", applaudono gli ecologisti, nemici di petrolio, carbone e nucleare. "Assurdo", ribatte Suspisio, "sciupare energia pregiata come il gas per produrre elettricità equivale a riscaldarsi bruciando banconote. Meglio il carbone, che oggi si può liquefare e gassificare, con nuove tecniche per evitare l' inquinamento. E che, soprattutto, proviene da Paesi senza rischi come Canada, Australia, Germania".
Quanto al nucleare, stiamo importando parecchia elettricità dalla Francia, che la ricava dalle sue numerose centrali atomiche. Noi abbiamo rinunciato a questa energia vent' anni fa, con il referendum dopo il disastro di Chernobyl. Da allora però non ci sono stati più incidenti. Oggi perfino il Vaticano si dichiara favorevole al nucleare e alla proposta dell' ingegnere Giuseppe Rotunno di utilizzare l' uranio delle testate atomiche per scopi civili, destinando il ricavato al Terzo Mondo. Tuttavia per costruire nuove centrali atomiche ci vogliono una dozzina d' anni, e neanche gli Stati Uniti hanno finora risolto il problema delle scorie, che rimangono radioattive per migliaia di anni.
Acqua, vento, sole.
Sono le uniche energie "rinnovabili", perché non si esauriscono mai, e "dolci", perché non inquinanti e gratuite. Ma l' idroelettrico può aumentare di poco la sua capacità in Italia: è difficile progettare altre dighe sui fiumi, e i valligiani protestano se si alterano troppo gli equilibri ecologici. Perfino il vento ha i suoi oppositori fra gli ambientalisti (come l' ex ministro Carlo Ripa di Meana, oggi presidente di Italia Nostra), perché deturpano il paesaggio e costerebbero troppo. Ma i Paesi più avanzati, come Germania e Danimarca, stanno costruendo molti mulini a vento con turbine che già coprono il 20 per cento del consumo energetico. In Navarra (Spagna) addirittura la metà dell' elettricità viene prodotta così. L' Italia li ha installati sull' Appennino: il paese di Varese Ligure (La Spezia) soddisfa tutti i propri consumi col vento, e fra Puglia, Campania e Basilicata ne sono sorti a decine sui crinali della Daunia. Per evitare "inquinamenti visivi" i generatori eolici si possono comunque installare in mare, vicini alle coste più ventose. Il sole, infine: risulta ancora relativamente poco efficiente produrre elettricità con celle fotovoltaiche, mentre il "solare termico" è già conveniente dal punto di vista economico.
Consigli pratici per pagare meno.
In casa, stare sotto i 20 gradi e spegnere la luce. Fuori, non accelerare. Come spendere meno ? Come ridurre le bollette e i conti dal benzinaio ? Ecco alcuni consigli pratici.
l Riscaldamento. Se siete "termoautonomi", non superate mai i 20 gradi (lo impone anche la legge). Un maglione e una coperta in più fanno pure bene alla salute. Se invece avete il riscaldamento centralizzato di un condominio, date battaglia nelle riunioni: ci sarà sempre un inquilino che si lamenterà per il freddo. Siate crudeli: minacciatelo di spedire i vigili a ispezionargli l' appartamento.
l Aria condizionata. Sì, le ultime estati sono state calde, e abbiamo acquistato tanti condizionatori. Ma non diventiamo fanatici: si sopravvive anche a 30 gradi, senza pretenderne 25. Non tutte le stanze hanno bisogno di essere raffreddate: in alcune può bastare una bella corrente d' aria o le pale sul soffitto. Chiudete le porte fra i locali "condizionati" e gli altri. E le finestre.
l Elettricità. Spegnete le luci quando uscite da ogni stanza. Sembra stupido, ma si risparmia parecchio. Controllate la potenza delle lampadine, che è indicata in watt. Comprate quelle ad alto rendimento: costano di più, ma alla lunga convengono. Date un' occhiata agli elettrodomestici. Alcuni consumano molto, altri sorprendentemente poco, ed è quindi inutile preoccuparsi di spegnerli (Tv, computer). Togliete lo scaldabagno elettrico e sostituitelo con un bruciatore a gas. O, meglio, con pannelli solari.
l Auto. Esistono addirittura gare di guida "risparmiosa": evitando accelerazioni e frenate brusche si riduce il consumo di carburante fino al 30 per cento. Informatevi sempre dei chilometri che un' auto percorre con un litro prima di acquistarla. Preferite i modelli a bassa cilindrata. l Siate drastici. Non serve l' auto per accompagnare sempre i figli se la scuola è vicina. Usate di più i mezzi pubblici. E andate a piedi: oltre a risparmiare sulla benzina, non pagherete le palestre.
Tutti i trucchi del fai da te.
Il sogno: non dipendere più da sceicchi, ayatollah e Gheddafi... Non volete più regalare soldi a Putin per il suo gas o agli arabi per il petrolio ? Oltre a consumare meno, ecco qualche consiglio su come rendersi più autonomi.
l Condominio. Se abitiamo in condominio è difficile adottare decisioni individuali. Ma quando il palazzo deve rinnovare la facciata, il tetto o le finestre, pretendete dall' amministratore che vengano utilizzati materiali e infissi coibentanti: che garantiscano, cioè, più isolamento contro il freddo d' inverno, e contro il caldo d' estate.
l Casa di proprietà. Informatevi sulle possibili migliorie termiche: ormai esistono esperti che garantiscono risparmi anche del 20/30 per cento sui costi del riscaldamento. Di rigore i pannelli solari per l' acqua calda sul tetto, soprattutto sul lato sud. Non preoccupatevi se vivete in Italia settentrionale e se le giornate grigie sono molte: docce e termosifoni caldi sono sempre garantiti, grazie a un' integrazione col bruciatore del gas che scatta quando non si ottiene col sole la temperatura minima. Ma il risparmio c' è sempre.
l Riscaldamento a legna. Se non si ha la fortuna di avere un bosco privato o di vivere vicino a una foresta pubblica, bisogna pagar cara anche la legna da ardere. Ma una buona provvista può durare tutto l' inverno, sempre che la cappa tiri bene (consultate lo spazzacamino) o che la stufa abbia un buon rendimento. Occhio alle esalazioni di ossido di carbonio, però.
l Alberi. Piantatene il più possibile attorno a casa. La loro ombra è il miglior rinfrescante contro le arsure estive. E se avete una fontana in disuso, riattatela: un velo d' acqua scrosciante garantisce vari gradi in meno.
Le citta' piu' efficienti.
Bolzano e Roma offrono incentivi, Milano ha ottimi trasporti pubblici. Quali sono le città più efficienti in termini di energia ? E quali invece le più sprecone ? Ogni anno Legambiente e Sole 24Ore stilano una classifica dei capoluoghi più ecologici. Ecco i migliori e peggiori.
Risparmio. Bolzano offre incentivi per la coibentazione delle case, il risparmio e l' installazione di pannelli solari. Anche Roma fa qualcosa. Alessandria può vantare il primo villaggio "solare". Fra le grandi città sono invece a zero Milano, Genova, Bari e Trieste.
Trasporti. Quelli pubblici migliori sono a Milano, i peggiori a Napoli. Fra le grandi città, bene Trieste e Catania, male Bari e Verona. Fra le medie primeggiano Trento e La Spezia, ultima Pesaro. Fra le piccole, bene Aosta e Chieti, male Verona e Massa. Udine detiene il record per i mezzi a metano (55) ed elettrici (5) su un totale di 77 bus. Quanto all' utilizzo effettivo dei mezzi pubblici, bene Roma, Bologna, Ancona, Siena e Cosenza. Male Torino, Napoli, Messina, Siracusa, Latina, Vercelli e Sondrio.
Elettricità. Al Sud i consumi sono la metà del Nord: 837 kwh annui per abitante ad Avellino, contro i 1.523 di Aosta. Sassari, curiosamente, è a 1.470. Ma la richiesta di elettricità aumenta del 2 3 per cento annuo (del 7 per cento nel 2004 a Catanzaro, Trapani e Crotone).
Carburanti. Enna è la provincia col minor consumo a testa, 236 litri annui, mentre la vicina Ragusa è la più prodiga con 681, superando Grosseto. Ogni 100 italiani, 63 hanno l' auto: record europeo. In testa Biella e Viterbo con 72, in coda Genova e La Spezia (50) e Foggia (52).
Da dove viene e dove finisce la nostra energia
Il pianeta spaccato in due dalla fame di energia in questa immagine emblematica c' è la sintesi dei problemi che attanagliano il pianeta. alla lista dei paesi industrializzati si aggiungono india e cina che consumano quantità esorbitanti di energia facendo lievitare i prezzi. energia più pulita e atomi sicuri per andare avanti eliche giganti a costo zero l' energia prodotta dal vento è conveniente. sulle nostre montagne questo spettacolo sarà sempre più frequente. una cascata di luce l' idroelettrico soddisfa una parte importante del bisogno energetico, ma bisogna anche salvare l' equilibrio delle valli. ritorno al nucleare passati 20 anni (e senza incidenti) da chernobyl, molti suggeriscono di tornare all' energia atomica. petrolio: un mare di guai il greggio è la principale fonte di energia. il guaio è che molti dei paesi produttori sono instabili politicamente.
quando i rifiuti domestici possono valere oro
brescia è la numero uno
Brescia. nel "termoutilizzatore" (foto sotto), la città lombarda brucia la spazzatura rispettando le norme antinquinamento. e riutilizza l' energia prodotta per il riscaldamento e l' elettricità. così un acino d' uva accende una lampadina a faenza si produce energia dalle bucce della frutta faenza (ravenna). sopra, scarti delle lavorazioni (vinacce, bucce d' uva e noccioli di frutta) e residui delle potature consentono a questa azienda agricola, la maggiore produttrice di vino in italia, un' autonomia energetica del 90 per cento. l' elettricità che avanza viene pure rivenduta.
ecco da dove viene la nostra energia...
petrolio e gas la fanno ancora da padroni fra le nostre fonti di approvvigionamento: un terzo di secolo dopo l' austerity per la guerra del kippur, siamo tuttora dipendenti dall' oro nero. le fonti pulite (sole e vento) rappresentano una quota minima.
...e dove finisce:
regnano petrolio e gas riscaldamento, trasporti ed elettricità si dividono equamente l' uso finale dell' energia in italia. negli ultimi anni c' è stato un grosso aumento nell' uso del gas per il riscaldamento e nelle centrali elettriche. importiamo energia nucleare dalla francia.
trivelle per il petrolio nelle vigne piemontesi
dilemma a vercelli gattinara (vercelli). c' è un giacimento petrolifero sotto le preziose vigne dell' omonimo vino. così sono iniziate le trivellazioni, rese convenienti dal petrolio a 72 dollari al barile. sopra: la raffineria di trecate (novara).
Ad Alessandria è nato il primo quartiere dove funziona tutto grazie al sole
Il villaggio fotovoltaico del quartiere Cristo di Alessandria produce da sei mesi con pannelli solari 170 kw di energia elettrica, utilizzata nei 192 appartamenti di otto palazzine. ogni famiglia risparmia così dai 500 agli 800 euro all' anno. Queste case popolari, autonome al 60 per cento, hanno un doppio contatore che registra la produzione di energia propria e quella erogata dall' Enel. il complesso occupa 75 mila metri quadri. gli affitti variano da 30 a 150 euro al mese a seconda del reddito.
Mauro Suttora
Giorgio Napolitano
Oggi, 10 maggio 2006
La disciplina e l’imperturbabilità, innanzitutto. «Nel 1962 il segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti comunicò al Comitato centrale i nomi dei prescelti per entrare in direzione», ricorda Abdon Alinovi, 83 anni, già deputato e segretario della federazione comunista di Napoli. «Io ero seduto vicino a Giorgio Napolitano, e quando Togliatti fece il mio nome e non il suo mi dispiacque. Emozionato e contrariato, glielo dissi. Ma lui, tranquillo come sempre, mi rispose: “No, è giusto così”».
Aveva 37 anni allora, il nuovo capo dello Stato. Era già deputato da una decina d’anni, ma per un dirigente comunista il massimo del prestigio era far parte della direzione del partito. Poco dopo Togliatti morì e del nuovo segretario Luigi Longo, Napolitano divenne in pratica il vice. Fu proprio lui nell’agosto ’68, in una Roma deserta per le vacanze, a preparare il comunicato con cui il Pci per la prima volta osò muovere qualche timida critica all’Unione Sovietica, dopo l’invasione della Cecoslovacchia.
«Siamo rimasti in pochi di quella giovane schiera che fu ai vertici del Pci», aggiunge Alfredo Reichlin, coetaneo di Napolitano ed eletto come lui alla Camera nel ’53. Oggi presiede il Cespe (il Centro studi di politica economica dei Ds) ed è vice di Massimo D’Alema alla guida della Fondazione Italianieuropei. Ma alla fine della Seconda guerra mondiale era uno di quei ventenni borghesi di ottima famiglia come Napolitano e Berlinguer che Togliatti valorizzò, preparandoli a dirigere un partito dei proletari ancora stalinista: «Quei giovani, il meglio dell’Italia di allora, abbandonarono libri, studi, carriere e professioni per mobilitarsi in nome di un profondo bisogno di riscatto, dopo che la patria italiana era stata fatta a pezzi dal fascismo e dalla guerra».
Ad affascinare il giovane Napolitano, in contraddizione con le sue origini di classe, fu Giorgio Amendola, considerato il successore di Togliatti. Poi non andò così e, anzi, gli amendoliani venivano criticati da Pietro Ingrao e dai suoi seguaci (fra i quali Reichlin) perchè considerati troppo di destra. Ma in quel partito, come nell’esercito, gli ordini non potevano essere discussi. Massimo Caprara, ex segretario di Togliatti, nel ’69 consegnò proprio a Napolitano, suo coetaneo, concittadino, amico e migliore compagno da un quarto di secolo, la sua sofferta lettera di dimissioni: «Lui la lesse e se ne andò indifferente, senza una parola o un gesto». La politica può essere crudele. Ma dà anche soddisfazioni: come quella che gli Stati Uniti regalarono a Napolitano nel ’78, quando per la prima volta invitarono un comunista italiano a Washington.
Mauro Suttora
La disciplina e l’imperturbabilità, innanzitutto. «Nel 1962 il segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti comunicò al Comitato centrale i nomi dei prescelti per entrare in direzione», ricorda Abdon Alinovi, 83 anni, già deputato e segretario della federazione comunista di Napoli. «Io ero seduto vicino a Giorgio Napolitano, e quando Togliatti fece il mio nome e non il suo mi dispiacque. Emozionato e contrariato, glielo dissi. Ma lui, tranquillo come sempre, mi rispose: “No, è giusto così”».
Aveva 37 anni allora, il nuovo capo dello Stato. Era già deputato da una decina d’anni, ma per un dirigente comunista il massimo del prestigio era far parte della direzione del partito. Poco dopo Togliatti morì e del nuovo segretario Luigi Longo, Napolitano divenne in pratica il vice. Fu proprio lui nell’agosto ’68, in una Roma deserta per le vacanze, a preparare il comunicato con cui il Pci per la prima volta osò muovere qualche timida critica all’Unione Sovietica, dopo l’invasione della Cecoslovacchia.
«Siamo rimasti in pochi di quella giovane schiera che fu ai vertici del Pci», aggiunge Alfredo Reichlin, coetaneo di Napolitano ed eletto come lui alla Camera nel ’53. Oggi presiede il Cespe (il Centro studi di politica economica dei Ds) ed è vice di Massimo D’Alema alla guida della Fondazione Italianieuropei. Ma alla fine della Seconda guerra mondiale era uno di quei ventenni borghesi di ottima famiglia come Napolitano e Berlinguer che Togliatti valorizzò, preparandoli a dirigere un partito dei proletari ancora stalinista: «Quei giovani, il meglio dell’Italia di allora, abbandonarono libri, studi, carriere e professioni per mobilitarsi in nome di un profondo bisogno di riscatto, dopo che la patria italiana era stata fatta a pezzi dal fascismo e dalla guerra».
Ad affascinare il giovane Napolitano, in contraddizione con le sue origini di classe, fu Giorgio Amendola, considerato il successore di Togliatti. Poi non andò così e, anzi, gli amendoliani venivano criticati da Pietro Ingrao e dai suoi seguaci (fra i quali Reichlin) perchè considerati troppo di destra. Ma in quel partito, come nell’esercito, gli ordini non potevano essere discussi. Massimo Caprara, ex segretario di Togliatti, nel ’69 consegnò proprio a Napolitano, suo coetaneo, concittadino, amico e migliore compagno da un quarto di secolo, la sua sofferta lettera di dimissioni: «Lui la lesse e se ne andò indifferente, senza una parola o un gesto». La politica può essere crudele. Ma dà anche soddisfazioni: come quella che gli Stati Uniti regalarono a Napolitano nel ’78, quando per la prima volta invitarono un comunista italiano a Washington.
Mauro Suttora
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