Monday, April 26, 2010

Il nipote di Hitler

Il Dna svela l'ultimo discendente di Hitler

MISTERI DELLA STORIA: ECCO I PARENTI DEL FUHRER

Gli eredi (loro malgrado) del dittatore nazista oggi vivono sotto altri nomi, in America e Austria. Un giornalista-investigatore ne ha trovato uno. Grazie a un'ala di pollo fritto

di Mauro Suttora

Oggi, 14 aprile 2010

Siamo in una placida zona collinare della Bassa Austria, vicino alla Repubblica Ceca, a cento chilometri da Vienna. Ogni angolo del paesaggio da cartolina invita alla tranquillità contadina. Niente fa pensare che da questi boschi di pini sia iniziata la vicenda sterminatrice di Adolf Hitler. Eppure la sua famiglia viene proprio da qui. A Zwettl nacquero il padre Alois Hitler, il nonno Georg Hiedler (nel 1792) e il bisnonno Martin Hüttler. I cognomi cambiavano perché duecento anni fa le anagrafi non esistevano, e le grafie dei preti che annotavano i battesimi erano labili.

VINCOLI DI SANGUE
Nella regione del Waldviertel vivono ancora molte persone legate a Hitler da vincoli di sangue. Cugini e bisnipoti di vario grado ignari del proprio albero genealogico, dall'esistenza assolutamente regolare, lontana da ogni eccesso politico. Nessuno qui porta più il cognome originario del dittatore tedesco, divenuto impronunciabile dopo la Seconda guerra mondiale. Si chiamano Hüttler, Hiedler, Hietler. Così non possono essere associati al peggiore criminale della storia. Il giornalista belga Jean-Paul Mulders, 41 anni, è però venuto a disturbare questa quiete bucolica. È l'autore del libro Alla ricerca del figlio di Hitler, pubblicato in Germania nel 2009. In realtà Hitler non ha mai avuto figli. Ma discendenti indiretti, sì. Che con i miracoli del Dna oggi si possono individuare facilmente.

DISCENDENTI ACCERTATI
Mulders ha condotto una ricerca approfondita, durata anni ed eseguita in due continenti. Alla fine è riuscito a stabilire con esattezza la parentela fra i bisnipoti accertati del fratellastro di Hitler che vivono negli Stati Uniti sotto il cognome di Stuart-Hudson, e un parente austriaco: Andreas Hüttler. Mulders ha ricostruito l'elenco di 39 discendenti accertati del dittatore grazie ai registri parrocchiali. Ma per ottenere la prova scientifica del legame di qualche Hiedler o Hüttler attuale con l'Adolf originale, ha dovuto attraversare l'oceano Atlantico. Impossibile, infatti, ottenere frammenti di Dna dal corpo bruciato di Hitler, o da quello di sua sorella morta nel 1960.

L' unica via era quella di rintracciare il ramo di Alois Hitler junior, nato sei anni prima di Adolf e morto nel 1956, il cui figlio William Patrick era emigrato in America. Lì, vicino a New York (a Long Island) vivono i nipoti di Hitler: Alexander, Louis e Brian. Si nascondono dietro al cognome (falso, secondo Mulders) di Stuart Hudson. Il primo è uno psicologo 61enne in pensione a East Northport. Gli altri due fanno i giardinieri e dividono una casa di legno a East Patchogue. L'ultimo, Howard, era un poliziotto di New York morto in servizio vent' anni fa.

LE FOTO DEL LICEO
Le uniche loro foto sono quelle degli annuari del liceo. Non frequentano nessuno, non rispondono al telefono, non aprono la porta a estranei. Nessuno conosce il loro segreto. «Hanno addirittura deciso di non far figli per estinguere la stirpe degli Hitler», dice Mulders, «ma hanno promesso di pubblicare un libro prima di morire». Con soggetti simili, recuperare una traccia di Dna è stato difficilissimo. Il giornalista belga ha fatto loro la posta sette giorni su sette, allarmando i vicini. Ha pedinato infine Alexander fino a un drive-in di un fast food, dove senza scendere dalla sua auto il misantropo ha ordinato ali di pollo fritte. L'Hitler statunitense non sapeva di essere seguito, e si è pulito le mani e la bocca unte in un fazzoletto di carta che ha buttato in un cestino. A quel punto Mulders è balzato sul prezioso reperto con guanti di gomma, pinze e un sacchetto di plastica. Grazie al resto di saliva delle labbra nel grasso di pollo si è ottenuto il codice genetico degli Hitler.

CACCIA AL TESORO
A questo punto inizia la seconda parte dell' avvincente caccia al tesoro. In Bassa Austria Mulders ha individuato un Hytler già nel 1457. Il cromosoma passa di generazione in generazione per via paterna. Ma qui non c'è stato bisogno di sotterfugi. Andreas Hüttler, contadino 55enne, ha accettato di buon grado di sottoporsi al test del Dna propostogli dal giornalista belga. Corporatura robusta, aspetto vitale, Hüttler ha anche deciso di candidarsi alle elezioni comunali del suo paese, Gross Gerungs, nelle fila del Partito popolare austriaco.

FATTORIA SOTTO LA NEVE
Il test ha confermato il collegamento con il Dna raccolto a New York. Questo significa che lui e Adolf Hitler sono parenti. Da allora, però, il malcapitato Andreas si è decisamente pentito per la frana di pubblicità che gli è piombata addosso. Quando andiamo a trovarlo a casa sua, una grande fattoria nella frazione di Oberkirchen, nevica. Ci apre appena la porta, ma non vuole farci entrare. Il suo volto è tirato, come se mentre parla lo stomaco fosse preso da spasmi. Tiene gli occhi quasi sempre abbassati, ma dalla bocca gli escono parole decise: «Per me tutta questa storia rappresenta un trauma, il pensiero non mi abbandona mai. E mi sento troppo debole per affrontarla».

Poi basta. Non vuole più parlare. Dietro di lui compare all'improvviso la moglie, la porta si richiude gentilmente, ma fermamente. Non ci resta che rispettare la sua privacy. In tutta evidenza Hüttler non c'entra nulla con le imprese nefaste del proprozio Adolf. Nel triangolo Oberkirchen-Gross Gerungs-Zwettl, tuttavia, la parola «nazismo» è ancora un tabù assoluto. Nessuno vuole parlare del recente passato. Adolf non nacque qui solo perché suo padre Alois si era trasferito a Braunau per fare il doganiere alla frontiera Austria-Germania. Si sospetta, fra l'altro, che sua nonna avesse avuto Alois non dal marito Hiedler, ma da un ricco ebreo presso cui si trovava a servizio. Ma questa è un' altra storia.

Mauro Suttora

BOX 1: "Qui da noi quel nome resta un tabù"

Sorpreso, il sindaco di Gross Gerungs (Austria) Maximilian Igelsboeck non sapeva nulla dell' imbarazzante parentela del proprio concittadino Andreas Hüttler: «Non conoscevo questa storia, faremo chiarezza parlandone con lui. Lo conosco da decenni, è sempre stato un uomo onesto, per bene, dedito alla famiglia, al lavoro nei campi che ama, e al bene della comunità. L'ho voluto io in lista per il consiglio comunale, è stato capo dei vigili del fuoco volontari. Ora però vive nella paura di essere additato assieme a tutta la sua famiglia come parente di Hitler».

E allora perché ha accettato di sottoporsi al test del Dna?

«Chi lo sa, sorprende anche me. Forse non immaginava una parentela col dittatore, oppure voleva fugare ogni sospetto. Ma così si è cacciato in un guaio tanto serio da minare la sua salute. A volte le azioni ritenute più insignificanti producono effetti che superano qualsiasi immaginazione. Il caso di Andreas potrebbe essere un esempio da manuale».

In Italia la nipote di Mussolini non solo è deputata del partito di Berlusconi al governo, ma rivendica la storia del nonno.

«Senza offesa, ciò non mi stupisce, data la vostra situazione politica attuale. Per noi invece il nazismo rappresenta una vergogna, un tabù. Il Partito popolare è estraneo a tendenze di destra, e la nostra zona non vuole essere ricordata come area originaria degli Hitler».


BOX 2: Un parente da parte di madre

Pochi giorni fa, con grande clamore, il quotidiano inglese Sun ha rivelato l'identità di un altro discendente di Adolf Hitler. Si tratta di Gerhard Koppensteiner, e anche lui come Andreas Hüttler vive in una fattoria sperduta dell' Austria del nord. Ha 45 anni e non è per nulla fiero della parentela. Pensa soltanto a badare alle sue mucche: «Questo legame di sangue ha ossessionato la mia famiglia e tutte le nostre vite», ha detto Koppensteiner, il cui nonno era primo cugino di Hitler. «Sono cresciuto sapendo che ero legato a lui. Come si impara a convivere con questo?», ha dichiarato ai giornalisti del Sun che sono riusciti a rintracciarlo. L'agricoltore, che ha un figlio e una figlia, ha aggiunto: «Non voglio farli vivere all'ombra di quest uomo. Noi in casa di questa faccenda non parliamo mai».

Il padre di Gerhard, chiamato dagli amici Adolf, aveva sei anni quando Hitler è morto nel suo bunker di Berlino nel 1945. «Questa maledizione lo ha seguito in tutta la sua vita», ribadisce il figlio. L'allevatore e la sua famiglia sono tra i parenti più stretti del Führer, visto che Hitler non aveva figli. Il loro legame deriva dalla madre di Hitler, Klara Pölzl, che fu sia cugina che seconda moglie di Alois Hitler e morì nel 1907 a soli 46 anni. Sua sorella sposò un Koppensteiner. Da lì viene il cognome, che quindi non risulta nell' albero genealogico che abbiamo pubblicato nella pagina precedente.


BOX 3: C'è anche un prete fra i figli dei gerarchi nazisti

Il destino più curioso è quello di Martin Adolf Bormann junior, nato nel 1930, che è passato dalle ginocchia del suo padrino di battesimo Adolf Hitler all' inginocchiatoio della Chiesa cattolica di cui è diventato prete. E pensare che suo padre, braccio destro di Hitler, nel 1938 aveva escluso i sacerdoti dal partito nazista. Lui invece ha lasciato (da sinistra) la Chiesa, e nel 1971 si è sposato con un' ex suora. Ma che fine hanno fatto gli altri figli dei gerarchi con la svastica?
Wolf Rüdiger Hess (1937-2001) era nazista pure lui, convinto che la morte del padre nel carcere berlinese di Spandau nell'87 a 91 anni fosse opera degli inglesi.
Edda Goering, nata nel 1938, fu chiamata così in onore di Edda Ciano. Fotomodella spavalda, non ha rinnegato il passato. Anzi, ha cercato di riavere gli 800 quadri rubati in Europa dal padre.
Impunita pure Gudrun Burwitz Himmler, nata nel '29, figlia del capo delle SS. Ha fondato una rete di protezione per nazi, Stille Hilfe.

Wednesday, April 21, 2010

Fallaci: parla Rossella

COME ORGANIZZARE UNA FICTION SULLA GRANDE SCRITTRICE?

Oggi, 21 aprile 2010

«Farei interpretare la Fallaci da Maria Rosaria Omaggio. È incredibile come la voce profonda e roca con cui legge le sue pagine assomigli a quella di Oriana».

Carlo Rossella commenta il progetto di fiction Rai sulla grande scrittrice morta quattro anni fa. Presidente di Medusa film, giornalista e autore tv (Capri), lui l’ha conosciuta bene. Come raccontare la sua vita?

«Con flashback sulle tante e diverse fasi della sua incredibile esistenza, collegati dalla voce narrante della Omaggio. La prima volta che la incontrai, per esempio, nel ’73, fu a colazione da Sabatini a Firenze. Io ero con Pertini, allora presidente della Camera e non ancora della Repubblica, lei col suo uomo Panagulis. C’era stata una manifestazione per i profughi greci, fuggiti dalla dittatura dei colonnelli. E Oriana raccontava a Pertini di quando lei quattordicenne era staffetta partigiana contro i fascisti. Il padre fu catturato e torturato dai nazisti, e lei ci fece uno stupendo discorso ricordando la sua famiglia, lo zio Bruno giornalista, e come crebbe in quell’ambiente fra i libri, respirando i valori che l’avrebbero accompagnata per tutta la vita: cultura, democrazia, libertà».

Negli anni ’60 e ’70 la Fallaci fu un idolo della sinistra, con le sue cronache di guerra dal Vietnam e la Lettera a un bambino mai nato (il proprio). Dopo l’11 settembre 2001, invece, fu assai apprezzata a destra e disprezzata a sinistra.

«In realtà è sempre stata coerente con le proprie idee di anarchica e socialista libertaria. Detestava fascismo e comunismo perché amava la libertà dell’individuo. E ha capito che dopo la strage delle Due Torri il nazismo moderno è incarnato dai terroristi islamici. Ma già vent’anni prima, intervistando Khomeini, definì fascisti gli ayatollah dell’Iran. Lo ricordo perché ero a Teheran. I dirigenti iraniani volevano linciare ogni giornalista italiano dopo quella sua intervista. E noi a rispondere: “Ma l’ha scritta lei, che c’entriamo!”»

Qual era la caratteristica principale della Fallaci?

«La tenacia. Per questo, nel ruolo di lei giovane vedrei un’attrice volitiva. Come la francese Marion Cotillard, che è stata un’egregia Edith Piaf, oppure le italiane Giovanna Mezzogiorno, Laura Chiatti, Cortellesi... O Penelope Cruz, ma non ha il fisico giusto. La Fallaci era una tremenda rompicoglioni. Basta leggere il memorabile articolo che scrisse sull’Europeo sulla sua mancata intervista a Marilyn Monroe, dopo averla inseguita per mari e monti. Anche qui, un ricordo personale. Beirut, estate 1982. Ero lì da settimane per Panorama, a coprire la guerra in Libano. Arriva la Fallaci all’hotel Alexandra, nella parte cristiana di Beirut Est, dove proprio quel giorno un’esplosione aveva mandato in frantumi tutte le finestre. Io avevo ripulito la mia stanza, mentre lei strepitava alla reception perché la sua era ancora piena di vetri. Allora le offro la mia. Poi andiamo a cena con altri giornalisti italiani, Bernardo Valli e Sandro Viola di Repubblica, e lei scopre che conosco Bechir Gemayel, il capo cristiano appena nominato presidente del Libano. “Voglio intervistarlo”, mi ordina subito. Non le passa neanche per la testa che, se fosse stato possibile, lo avrei fatto io per il mio giornale. Vado comunque su a Broumana, al quartier generale falangista, e riesco a parlare con Bechir. Magari, data la fama internazionale di Oriana, avrebbe acconsentito a farsi intervistare da lei. E Gemayel, in effetti, non mi dice di no. “Però”, aggiunge, “ricordo l’intervista della Fallaci a Kissinger. È riuscita a demolirlo. Allora tu sarai la garanzia che non farà lo stesso con me”. Sorride, e mette mano alla pistola. Torno a Beirut. La Fallaci mi aspetta al bar dell’hotel davanti a un doppio Marie Brizard. Naturalmente le dico che l’intervista è impossibile. Lei comincia a urlare, mandandomi a quel paese e dicendomi di tutto».

Rapporti rotti?

«Neanche per sogno. Ero abituato. Oriana litigava sempre: nei ristoranti con i camerieri, sugli aerei con le hostess, con il presidente dell’Enel per spostare i tralicci troppo vicini alla sua casa toscana...»

E in Libano come finì la questione?

«Imprecando e telefonando a destra e a manca, Oriana cercò di intervistare Arafat. Niente da fare. Allora cambiò obiettivo: Sharon, incolpato della strage di Sabra e Chatila avvenuta pochi giorni prima. E ci riuscì, sdraiandosi letteralmente per strada davanti alla sua auto. Immaginate la scena: lei, signora ultracinquantenne e star internazionale, che blocca l’auto con scorta di Sharon. Il generale israeliano per ripartire dovette darle appuntamento il giorno dopo nel suo ufficio».

Così nacque l’ultima Intervista con la storia pubblicata sull’Europeo. Il cui fotografo, il fedelissimo Gianfranco Moroldo, si vantava di essere stato l’unico uomo capace di schiaffeggiarla.

«Sì, in Vietnam. Stavano salendo su un elicottero americano, e lei per questo cercò di portarlo davanti alla corte marziale. Ma lo rispettava. E qui si apre un altro grande capitolo della vita della Fallaci: gli amori. Che sono stati essenzialmente tre: il capo della France Presse a Saigon, con una storia alla Graham Greene; Alekos Panagulis morto nel ’76 e celebrato nel bestseller Un Uomo dell’80; e infine il misterioso parà protagonista un po’ proustiano di Insciallah dieci anni dopo. Ma il vero e unico compagno di letto di Oriana è stato il successo. Lei adorava il successo. Anche se diceva di lavorare al servizio dei lettori, per fare da mediatrice fra noi e i fatti, in realtà voleva essere la più grande scrittrice del mondo».

Dopo il ’90 altri undici anni di silenzio, fino all’esplosione di La Rabbia e l’Orgoglio.

«Sì, lo scrisse di getto dopo l’11 settembre. E fu un altro capolavoro. Senza dimenticare quelli che riassumono altri due capitoli importanti della sua vita: Se il sole muore, sulle imprese degli astronauti di Cape Kennedy lanciati alla conquista della Luna, e I sette peccati di Hollywood, con le interviste ai grandi attori. Rimase amica della Bergman e della Loren. Quest’ultima cercò inutilmente di convincerla a trasformare qualcuno dei suoi libri in un film. Un’altra amica che la visitava spesso nei lunghi anni della malattia a New York è Isabella Rossellini: gli autori della fiction dovrebbero sentirla».

Lei l’ha ancora frequentata e intervistata da direttore di Panorama otto anni fa. Era sempre intrattabile?

«Perfezionista fino all’ossessione. Controllava tutto, fino alle virgole delle didascalie. Mi spediva a comprarle le sigarette di notte a Manhattan. Era passata dalle Lark alle Nat Sherman, e finché il negozio di queste ultime era vicino a casa sua, all’altezza dell’hotel St. Regis, potevo andarci a piedi. Poi si spostò più giù sulla Quinta Avenue, e mi toccava prendere il taxi».

Insomma, ha sempre trattato anche lei da galoppino, oltre a ad avere insultato mezza Italia: dai politici ai direttori dei suoi giornali, fino agli amministratori delegati della propria casa editrice, la Rizzoli, che dovevano precipitarsi a New York per calmarla.

«La verità è che la Fallaci è stata una delle grandi italiane del secolo scorso. Speravo che la nominassero senatrice a vita. Lei ci avrebbe tenuto, credeva nella repubblica. Chi la interpreterà dovrà leggere parecchio, per introiettare il personaggio. Dovrà essere un’attrice colta. Perché Oriana l’abbiamo conosciuta in tanti. E se la fiction viene male mi arrabbio».

Mauro Suttora

Friday, April 09, 2010

Lugano, 15 aprile 2010

Libreria Melisa
Via Vegezzi, 4 Lugano (Svizzera)

GIOVEDI 15 aprile 2010 alle ore 18

Mauro Suttora giornalista/scrittore
parla del libro che ha curato:

"Mussolini segreto", i diari di Claretta Petacci 1932-38 (ed. Rizzoli, 2009)

introduce il giornalista Dedo Tanzi

Thursday, April 08, 2010

Rutelli andrà con Berlusconi?

Dopo il flop della sua Api potrebbe finire in braccio al premier

di Mauro Suttora

Libero, 8 aprile 2010

«Ah Berlusco’... Perché ce l’hai co’ mme? Io sto a lavora’ pe’ te! Ricordati deji amici! Di chi t’ha voluto bene!» Così Francesco Rutelli implorava Silvio Berlusconi nove anni fa, nell’indimenticabile satira di Corrado Guzzanti all’Ottavo Nano. L’avversario del Cavaliere alle politiche 2001, mandato allo sbaraglio in elezioni già perse, sembrava intento più a ingraziarselo che a combatterlo.

Oggi quella che sembrava soltanto una fantasia comica sta per diventare realtà: Rutelli finirà con Berlusconi. La sua Api (Alleanza per l’Italia), fondata pochi mesi fa, ha infatti ottenuto risultati deludenti al voto del 28 marzo. È riuscita a presentarsi in sole quattro regioni, raccattando il due per cento in Calabria e nelle Marche, il tre in Campania e il quattro in Basilicata, grazie a qualche capataz locale.
È vero, ha trionfato a San Nicola da Crisse (Vibo Valentia) con il 42%, e a Marcianise (Caserta) con il 23. Ma forse di queste percentuali c’è più da preoccuparsi che da rallegrarsi. In tutto il nord Api continua a voler dire solo Associazione piccole imprese. E nel resto d’Italia è una catena di pompe di benzina.

Così fra poco Rutelli compirà l’ottavo giro di valzer della sua carriera politica. Ricapitoliamo. Per quasi vent’anni radicale. Poi è cominciato il pellegrinaggio: verdi, Centocittà (movimento sindaci), Asinello con Prodi e Di Pietro, Margherita, Pd. Infine l’Api: doveva essere la grande scissione a destra del Pd, e invece quasi nessuno dei suoi lo ha seguito. Gentiloni, Realacci, Zanda e Giachetti sono rimasti con gli ex comunisti; Carra, Lusetti e la Binetti si sono rifugiati nell’Udc.

Ora mancano tre anni al prossimo contatto con la realtà (le elezioni), momento sempre più spiacevole per il bel Francesco. Quindi c’è tutto il tempo per «riposizionarsi» senza dare troppo nell’occhio. In fondo, se l’ex capo di uno schieramento passa dalla parte opposta, sarebbe come se Bush diventasse democratico, o Berlusconi socialista. Uno scandalo. Ma per Rutelli nulla è impossibile.

Ha già cominciato Francesco Carducci Artenisio, 47 anni, fedelissimo del Piacione quand’era sindaco di Roma: si è fatto eleggere consigliere regionale del Lazio nel listino personale di Renata Polverini. La quale potrebbe nominarlo assessore alla Cultura, così come Rutelli quand’era ministro dei Beni culturali lo fece amministratore delegato della società Cinecittà Holding (gran posto di potere nel superassistito cinema italiano).

Entro la fine dell’anno Pierferdinando Casini dovrebbe sciogliere la sua Udc e far nascere un non meglio precisato Pdn (Partito della nazione). Tramontato il sogno centrista di un rapido tramonto di Berlusconi, è svanito anche l’asse Casini-Fini-Montezemolo su cui Rutelli puntava. Non gli resta che accomodarsi nella «nuova» formazione centrista, contrattando buone posizioni per se e i pezzi di classe politica in cerca di ricollocazione che si porta appresso.

A quel punto, se Berlusconi com’è del tutto probabile nel 2011 sarà ancora saldamente al potere, attraverso Carducci le doti rabdomantiche di Rutelli potrebbero spingersi fino al Pdl. Come? L’ex compagno di lotte di Emma Bonino si farà portare fra le braccia del Cavaliere da colei che l’ha sconfitta: la Polverini. Per lo meno questo è il disegno della neogovernatrice del Lazio, secondo un articolo pubblicato ieri dal quotidiano Italia Oggi. Fantascienza? Figuriamoci: l’anno prossimo l’Italia festeggia i 150 anni. Ma il trasformismo dei suoi politici, dal «connubio» di Cavour a Depretis, ha più o meno la stessa età.

Wednesday, April 07, 2010

Terremoto, un anno dopo

BILANCIO: 40 MILA SENZATETTO SISTEMATI, 27 MILA RIENTRATI A CASA

L’Aquila, 2 aprile

di Mauro Suttora

Sono pochi o tanti i 7.300 abruzzesi che a un anno dal terremoto sono ancora costretti a stare in albergo? Tanti, se si paragona questa cifra ai terremoti precedenti. Soprattutto al Friuli, dove nel 1977, dodici mesi dopo il sisma quasi tutti i terremotati avevano un tetto, definitivo o provvisorio.

Ma in Abruzzo è differente. Per la prima volta è stata distrutta un’intera grande città, L’Aquila, che ha 80 mila abitanti e 20 mila studenti. In Friuli, Irpinia e Umbria furono colpite zone estese, ma non densamente popolate. E accanto a paesi di mille o cinquemila abitanti è facile ricostruirsi una casa o installare un prefabbricato. Impossibile invece riparare in tempi brevi L’Aquila con i suoi 170 ettari di centro storico.

«Che almeno ci concedano l’accesso alle nostre vecchie case, se non sono lesionate gravemente», urlano gli aquilani. Come nel resto d’Italia, se sono di sinistra danno la colpa a Silvio Berlusconi per quel che non ha fatto. Se sono di destra, invece, lo lodano per quel che ha fatto.

C.A.S.E, Map e roulottes

E cioè: 13.400 sistemati nelle Case, che non vuol dire solo «case», ma anche «Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili» (i burocrati non temono il ridicolo delle loro sigle). Poi ci sono i Map (Moduli abitativi provvisori), ovvero le casette di legno donate dalla Croce Rossa e installate dalla protezione civile di Trento, dove stanno in 4.300. E infine altri 15 mila ospiti di parenti e amici, in case o roulotte. Totale, compresi gli alberghi: quarantamila.
Un anno fa furono in 67 mila a rimanere senza un tetto. La differenza (27 mila), sono i fortunati che hanno potuto rientrare nelle proprie case, perché i danni sono stati lievi e riparabili.

«In tenda, ma al paese»

«Ma non è solo il problema di chi ha un tetto o di chi non ce l’ha: io, con la buona stagione, preferirei tornarmene in tenda al paese mio, accanto alla mia vecchia casa, piuttosto che stare in albergo sulla costa, a ottanta chilometri da dove lavoravo e avevo famiglia e amici, e a morire di noia», ci dice Settimio Antonelli, giardiniere di San Gregorio (L’Aquila). «Certo, qui è tutto pagato, vitto e alloggio, stiamo benissimo, fin troppo. Ma per quanto tempo?».

Il problema di Settimio è quello di altre decine di migliaia di abruzzesi: oltre alla casa, hanno perso anche il lavoro. Perché chi ha voglia di farsi potare il giardino della villa o di piantar fiori, oggi in Abruzzo? E come fanno a riaprire i negozi e i ristoranti dell’Aquila, nella zona rossa dove non si può neppure entrare?

Con l’arrivo della primavera sono fiorite le manifestazioni: prima quella «delle chiavi», con gli abitanti che volevano accedere alle proprie case; poi quella «delle carriole», per sollecitare almeno a sgomberare le macerie.
Nessuno s’illuda: tutti, dal sindaco di sinistra al presidente della regione di destra, non osano dirlo, ma sanno che prima di rivedere il centro dell’Aquila ci vorranno cinque anni. E nel frattempo, prefabbricati.

Coppito, cuore pulsante

Come quelli di Coppito, che da frazione della città si è trasformata nel suo cuore pulsante. Oppure Bazzano, dall’altra parte dell’Aquila, accanto a Onna. Qui una delle palazzine di tre piani con 28 appartamenti ciascuna inaugurate a novembre da Berlusconi con la fanfara è stata finanziata con due milioni e mezzo raccolti dal Corriere della Sera.

Gli italiani sono stati generosi con gli abruzzesi. Come mostriamo nella tabella qui sotto, sono stati 69 i milioni di euro raccolti dai privati. Solo una goccia, di fronte ai cinque miliardi che- si stima - costerà l’intera ricostruzione. Ma gocce preziose, perché raccolte una ad una con gli sms e i vaglia di ciascuno di noi.
Su questi fondi vigila l’ex presidente del Senato Franco Marini con un comitato di garanti. I tre milioni di Porta a Porta sono serviti a ricostruire l’asilo del paese martire di Onna.

Chiese e ambulatori

Una cinquantina di milioni sono stati affidati alla Protezione civile. Paganica avrà un ambulatorio/consultorio, a Pagliare di Sassa verrà costruito un centro per disabili, e nove milioni si ripristinerà la mensa di Celestino (dove i poveri mangiano gratis), la chiesa e il convento dei cappuccini.
Intanto molti ospiti degli alberghi sulla costa fanno i pendolari: ogni giorno in treno su e giù da Pescara all’Aquila. Per non morire di nuovo.
Mauro Suttora

Carlo Vallauri: "Mussolini segreto"

dal sito www.scenaillustrata.com:

CLARETTA PETACCI – MUSSOLINI SEGRETO (RIZZOLI, MILANO, 2009)

PAGINE INQUIETANTI SULLA VITA QUOTIDIANA DI MUSSOLINI dai DIARI 1932-1938
giovedì 25 marzo 2010
di Carlo Vallauri

AUTORE DEL LIBRO : a cura di Mauro Suttora

La pubblicazione del diario di Claretta (DIARI 1932-1938) offre al lettore pagine inquietanti sulla vita quotidiana del capo del governo italiano negli anni decisivi nei quali Mussolini modifica sostanzialmente le sue linee di politica estera, con l’aggressione all’Etiopia e l’alleanza con Hitler, che porteranno alla disastrosa guerra.

Come premessa gli eventuali dubbi sull’autenticità del “diario” vengono fugati dall’iniziale richiamo all’opinione di autorevoli studiosi degli Archivi di Stato, anche se appare sorprendente la sistematicità dell’intero scritto – giorno per giorno, per tanti anni – con la riproduzione “esatta” delle parole pronunciate dal “duce”. Ma presupposta come valida la “verità” del documento, su di esso esprimiamo alcune osservazioni.

Risulta allora che per tutti quegli anni, quasi quotidiani erano gli incontri e le conversazioni telefoniche (ora dopo ora) tra il grande capo e l’umile e devota innamorata che utilizza scaltramente quel rapporto per chiedere (ed ottenere) favori per il padre ed il fratello e contemporaneamente “sistemare” il marito (ufficiale di aeronautica), dal quale si separa. Con la giovinetta il maturo ma sempre aitante leader carismatico tiene a mantenere un incessante rapporto sessuale, di pieno appagamento, stando ai commenti immediati sull’esito di ogni “incontro” a palazzo Venezia o nel capanno della spiaggia di Castelporziano, messo a disposizione da Casa Reale.

Durante queste lunghe “sedute”, Mussolini parla soprattutto dei rapporti che egli ancora ha con altre due sue amanti che si trascina appresso (sin dentro Villa Torlonia) da anni ma che paiono a lui indispensabili più per ragioni psicologiche che di affetto, anche se una delle due signore asserisce che i suoi due figli sono la conseguenza di precedenti relazioni con il dittatore. Sono queste le pagine più noiose per la loro ripetitività ma anche specchio di una mentalità piuttosto ristretta rispetto alla rilevanza e grandiosità degli impegni governativi cui Mussolini avrebbe dovuto attendere.

Più interessanti appaiono le considerazioni man mano espresse sugli eventi politici in corso. Sotto questo aspetto è ancora più grave – rispetto a quanto già emerso in passato – la superficialità dei giudizi espressi su americani, inglesi e francesi, giudicati su stereotipi negativi, in base a considerazioni vacue, specchio di una incredibile ignoranza e disattenzione su situazioni reali da parte di uno dei “grandi” d’Europa in quella fase storica. Altrettanto affrettate e “leggere” le correlative opinioni sulla situazione interna italiana, ignorando – almeno sembra- il gran capo i dati concreti del paese rispetto alle esaltazioni continue del “bene” che, a suo avviso, il regime sembrava fare all’Italia tutta.

Di maggior rilievo umano sono le notizie desumibili sulle piccole vicende della vita a casa Mussolini, i rapporti con la moglie (la cui figura esce, a nostro avviso, come rafforzata nella sua personalità rispetto alle malefatte del marito), l’irrequietezza della figlia Edda, il disagio matrimoniale del figlio Bruno, vittima innocente delle scelte del padre, la compostezza del figlio Vittorio – peraltro già emersa in altri libri (da Zangrandi come di cineasti) – il metodico sistema di controllo e vigilanza attorno al capo del governo, che pure – a quanto si legge nel diario – circolava talvolta tra le persone comuni senza particolari scorte, a Roma e in Romagna. Nota “piccante” – la maggiore sorpresa del libro – la narrazione dell’incontro sulla spiaggia tra il Primo Ministro e la principessa Maria Josè ed i relativi commenti.

Veniamo ad altri oggetti di conversazione tra i due amanti: opinioni e valutazioni di film, spettacoli teatrali, come giudizi di Mussolini nei confronti della borghesia salottiera di Roma e il disprezzo che egli manifesta verso gli anti-fascisti che proprio in quell’epoca (1936-37) davano al fascismo lezioni di resistenza nelle carceri, al confino sino alla sconfitta inflitta in terra di Spagna dalle Brigate Internazionali ai legionari inviati dal governo di Roma in aiuto del gen. Franco.

Colpiscono altresì le affermazioni generiche sui problemi più gravi di quell’epoca, a cominciare dalla preparazione militare, ed è ciò che, a nostro avviso, emerge come il fattore più distruttivo della personalità del capo, per la sua assoluta trascuratezza – per tanti anni – nel corso delle sue vivaci giornate, rispetto alla vera situazione del paese. Sembra quasi impossibile constatare come vi fosse una totale disattenzione verso le preoccupazioni quotidiane della maggioranza degli italiani, quasi vivessero tutti nel regno di Bengodi.

Nessun libro scritto sul fenomeno storico del fascismo getta una luce tanto negativa sulla mente di quell’uomo, pure esaltato da Churchill e da Freud. Ai “nostalgici” tuttora esistenti dovrebbe essere resa obbligatoria la lettura di questo libro per liberarli dall’inganno perpetrato allora ad una intera generazione e di cui non pochi italiani sono ancora “prigionieri”.

Potremmo continuare su altre pagine rivelatrici di una mente incapace di comprendere ad es. il dramma degli ebrei quando ne vengono minate le esistenze, oltre alla conferma della risibile infatuazione per Hitler, conferma (dopo la precedente fase d’antipatia) della fragilità dei convincimenti di un uomo a cui sono state attribuite virtù quasi divine, ma a cui poteva soggiacere una povera illusa come Claretta, a sua volta finita vittima del suo stesso idolo. Ne escono meglio i figli di Mussolini, con la “normalità” delle loro vite, travolte dalla tragedia comune a tutti gli italiani.

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