Saturday, December 22, 2001

Davide Van De Sfroos

Foglio, 22 dicembre 2001

di Mauro Suttora

Van De Sfroos non è un ciclista fiammingo. E’ il nome d’arte di Davide Bernasconi, cantautore dialettale comasco di 36 anni: «van de sfroos» in lariano significa «vanno di frodo». Contrabbandieri e irregolari sono infatti i personaggi delle canzoni di questo artista-rivelazione, che sta collezionando tutti esauriti in ogni concerto che tiene in Lombardia e Svizzera italiana. Così c’è il Bestia, «castig del Signuur, semper spurceleent e vestii cun’t un sacch, ma no l’era mai stracch» («castigo del Signore, sempre sporco e vestito con un sacco, ma non era mai stanco»). C’è quell’altro con «gli occhiali da tafano dell’autogrill di Fiorenzuola, pilota de la malura che scià el Gilera de rüvà ved mea l’ura» («...pilota della malora che sul Gilera di arrivare non vede l’ora»). E c’è naturalmente anche il cuoco del Grand Hotel, come su ogni lago che si rispetti, figura degna di quello di Salò cantato da Francesco De Gregori, solo che questo ha «il maa de schena, e l’è giamò ciucch a la matèna» («il mal di schiena, ed è già ubriaco alla mattina»).

Van de Sfroos, questa specie di Paolo Conte dell’Insubria, è diventato il mito nascosto della Lombardia settentrionale. Riesce a mettere d’accordo tutti: leghisti, ciellini, comunisti, forzisti. Ha vinto il premio Tenco del 1999, e il suo disco «Breva & Tivàn» (i due venti che soffiano regolarmente sul lago di Como, uno al mattino e l’altro al pomeriggio, permettendo per secoli ai «lagheè», gli abitanti del lago, di spostarsi da un paese all’altro), autoprodotto e senza una vera distribuzione, ha venduto 35mila copie spontaneamente, con la sola forza del passaparola.

Ora è uscito il nuovo «E semm partii...» (Siamo partiti), disco di folk rock che ne riconferma la fantasiosa vena poetica. Sul palco del teatro Smeraldo, a Milano, Lella Costa ha voluto leggere le sue poesie. E Ale e Franz, anche loro calati in pianura dalle prealpi (sono i comici sfigati che suonavano al citofono di «Mai dire gol»), lo hanno accompagnato con le loro battute surreali.

Il mondo di Van De Sfroos è pieno di personaggi stralunati, cantati con il suo vocione da cantastorie padano a metà fra Pierangelo Bertoli e Ligabue. Dopo i concerti, che tiene in posti dai nomi buffi come Uggiate Trevano, Zingonia, Guanzate o Tavernerio, giovani e vecchi portano sul palco ingrandimenti fotografici da firmare, bottiglie di vino e salami caserecci.

Da queste parti, fra Valtellina a nord, Brianza a sud, Svizzera a est e Orobie a ovest, il contrabbando è sempre stato qualcosa di più di un espediente per sopravvivere: fa parte della storia di ogni valle, paese e famiglia, dove c’è spesso un nonno o uno zio che andava «de sfroos». Almeno fino agli anni ‘70, quando le cose si sono incattivite e agli spalloni con sigarette e robe da poco si sono sostituiti i mafiosi con pacchi di soldi, droga e armi.

Ma è rimasta l’atavica voglia di libertà, l’insofferenza per le frontiere, la spinta di partire che fa cantare a Van de Sfroos «E sèmm partii per questa America sugnàda in pressa, una valisa che gh’è deent nagòtt, cumè tocch de vedru de un biceer a tocch...» («Siamo partiti per questa America sognata in fretta, una valigia con dentro niente, come pezzi di vetro di un bicchiere rotto...)

Van De Sfroos sa giocare con la nostalgia, e nella canzone «Television» («Quanti dé, quanti nocc su quii pultrùnn, cun chel butùn, come un cujun...»: quanti giorni, quante notti su quella poltrona, con quel bottone, come un coglione...) c’è uno dei versi più belli del suo ultimo disco. Quando, ricordando la notte del luglio 1969 in cui gli astronauti arrivarono sulla Luna, commenta amaro: «Perchè i naven sö la Loena e i purtaven a cà i sass, e in giir sö la Tèra segütàven a cupàss» («Andavano sulla Luna e portavano a casa i sassi, e in giro sulla Terra continuavano a uccidersi»).
La musica è curatissima e moderna: va a ritmo di ska, rock, punk, reggae, in cui perfino uno strumento intrinsecamente triste come la fisarmonica riesce a colorare una melodia, rendendola sorridente.

Il 7 dicembre la città di Milano ha premiato con la sua più alta onoreficenza, l’Ambrogino d’oro, un altro grande cantante dialettale lombardo, Nanni Svampa. Lui è milanese. Anzi, franco-milanese, perché forse le sue canzoni più belle sono quelle ispirate da Georges Brassens, il papà di tutti i cantautori di livello (da Georges Moustaki a Fabrizio De André) scomparso esattamente vent’anni fa. Van De Sfroos si colloca in questa scia, dove la musica profuma di poesia e confina con l’anarchia.

Tuesday, December 18, 2001

L'unico paese contro l'articolo 18

CALANGIANESI CONTRO L’ART.18: LO SVILUPPO NON TEME LA FLESSIBILITA’

di Mauro Suttora
Il Foglio, 18 dicembre 2001

Calangianus (Sassari). «Assumere qualcuno in Italia è peggio che sposarsi: abbiamo paura che quando ci mettiamo un dipendente in casa, poi dobbiamo tenercelo per tutta la vita...» 
Parola di Edoardo Tusacciu, 43 anni, che con la sua Plastwood ha fatturato tre miliardi nel Duemila, 18 quest’anno e ne prevede 60 per il 2002. Lui sta facendo fortuna con Geomag, il gioco made in Sardegna che spopola in ogni continente. 

Ma Calangianus (4.700 abitanti) brilla per un altro motivo: é la capitale mondiale del sughero e dei tappi, con un distretto industriale forte di 130 imprese e un fatturato complessivo che supera i 400 miliardi. Export in tutta Europa, anche gli champagne francesi più prestigiosi (da Mumm in giù) preferiscono i tappi di questi sugherifici. 

Disoccupazione: zero. «Anzi, ho difficoltà a trovare il personale laureato che mi serve», rivela Tusacciu.
Nessuna meraviglia, quindi, che Calangianus sia l’unico paese italiano a volere la libertà di licenziamento: nel referendum radicale del maggio 2001 i favorevoli all’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quello che impone il reintegro coatto del dipendente licenziato senza giusta causa) furono la maggioranza. La consultazione venne poi annullata assieme a tutte le altre, perché i votanti non arrivarono al 50 per cento. 

Se il quorum fosse stato raggiunto, questo sarebbe stato l’unico referendum bocciato. Dappertutto in Italia, tranne che in Gallura. Anche altri comuni della futura provincia Olbia-Tempio votarono contro l’articolo 18: Santa Teresa, Trinità d’Agultu e Buddusò (centro di un secondo distretto dei miracoli, quello delle cave di granito).

Ma il risultato di Calangianus pesa di più, perché alle ultime politiche qui hanno vinto Ulivo e Rifondazione, perché l’unico senatore Ds (Nino Murineddu) è di Calangianus, e perché hanno votato sì alla libertà di licenziare anche molti dei 1.500 lavoratori dipendenti: «Certo, non bastano i sì di artigiani e datori di lavoro per arrivare alla maggioranza», ammette Stefano Cugini, dirigente dei Ds locali, «da noi gli operai si sentono vicini alle esigenze degli imprenditori, in un clima di paternalismo. Anzi, alcuni datori di lavoro sono addirittura più consapevoli sulle garanzie dei loro stessi dipendenti».

Nei sugherifici più grandi (Molinas, Italsugheri, Tusacciu) i sindacati non attecchiscono: «Per me gli operai fanno parte della famiglia», dice Tusacciu, «ovviamente rispetto i minimi contrattuali, ma poi premio il merito. Ai migliori dò 15mila nette all’ora, cioè quasi due milioni e mezzo al mese. I miei dipendenti sanno che se vanno via di qui ci mettono solo una settimana per trovarsi un altro posto, e comunque tutti sperano di mettersi in proprio prima o poi. La mentalità è questa, dall’una e dall’altra parte, non certo quella di chi tira a campare».

Egidio Pirodda, 28 anni, di Tempio Pausania, è andato a Milano per laurearsi in Bocconi. Ora è tornato, alla Plastwood segue tutto (finanza, produzione, acquisti, personale) e guadagna tre milioni al mese. 

«Ma i primi cinque mesi ho lavorato gratis, con uno stage di prova. E per i nuovi assunti preferiamo pagare di più con un contratto temporaneo, rinunciando agli sgravi fiscali, piuttosto che farci imbrigliare: se non va, dopo tre mesi liberi noi e liberi loro. Poi assumiamo regolarmente, ma siamo flessibili su orari e permessi. Per esempio, se un ragazzo vuole fare un corso di computer ma è di turno il pomeriggio, non ho problemi a farlo uscire due ore prima. Sembrano fesserie, e invece sono particolari importanti: se i dipendenti vengono trattati bene si motivano, lavorano meglio».

E votano per la flessibilità in uscita, anche perché quella in entrata è garantita. Isola felice, la Gallura, dentro all’isola Sardegna piagata dalla disoccupazione come il resto del sud: al suo poker storico di risorse (sughero, marmo, pecorino e turismo) si sta aggiungendo un’agricoltura a discreto valore aggiunto. 

Cosicché sulle tavole vip in Costa Smeralda, nelle sere d’estate, ormai non sono più soltanti i turaccioli di Calangianus a venire stappati dalle bottiglie di champagne: si fanno strada vini locali di qualità come il vermentino Capichera o il Tuvaoes. 

E i calangianesi fratelli Molinas, re del sughero, scendono a Porto Rotondo per comprarsi lo storico Hotel Sporting, ex Ciga, il massimo del lusso, strappandolo agli americani della Starwood-Sheraton. Tramontano il principe Aga Khan e il conte Donà delle Rose, si fa strada Calangianus.
Mauro Suttora

Monday, December 17, 2001

Il Geomag di Edoardo Tusacciu

Corriere della Sera, 17 dicembre 2001

Con una barretta ti conquisterò

Inventato in Sardegna, il Geomag oggi fattura 18 miliardi

Il gioco di costruzioni che piace a mezza Italia è prodotto a Calangianus, capitale mondiale del sughero, da un ex produttore di turaccioli. Oggi è esportato in trenta Paesi, compresi gli Usa «Due anni fa nessuno mi prendeva sul serio, né mi facevano credito - dice Tusacciu -. Oggi non riusciamo a star dietro a tutti gli ordini»

di Mauro Suttora

«Abbiamo un solo problema: non riusciamo più a star dietro agli ordini. Le nostre quattro macchine producono duecentomila barrette al giorno, per un valore di 120 milioni, e funzionano sempre, senza fermarsi mai. Abbiamo assunto 50 persone, ma non bastano».

Edoardo Tusacciu, 43 anni, fino all' anno scorso era un tranquillo produttore di turaccioli in sughero. Uno dei maggiori a Calangianus (Sassari), paese di cinquemila abitanti che dei tappi per bottiglia è la capitale mondiale: fra i clienti, anche i nomi più raffinati dello champagne francese. Ma oggi Tusacciu si è trasformato in industriale del giocattolo: dentro a un capannone del suo sugherificio nasce Geomag, gioco di costruzioni esploso dai tre miliardi di fatturato del 2000 ai 18 di quest' anno, fino ai 60 previsti per il 2002.

La scintilla è scoccata nella testa di un consulente aziendale, Claudio Vicentelli: inventore a tempo perso, ha messo a punto un sistema di barrette e sfere magnetizzate che creano complicate strutture geodetiche. A metà strada fra il Lego e il cubo di Rubik, Geomag può comporre le figure suggerite nelle istruzioni, ma anche quelle scaturite dalla fantasia dei giocatori: forme architettoniche, ingegneristiche, cristalline.

«Vendiamo perfino alle università, usano Geomag per riprodurre geometrie molecolari - si vanta Tusacciu - e abbiamo raggiunto i primi cinque posti nella classifica dei giochi di costruzione prodotti in Italia». Confermano alla Toycenter, la più grande catena italiana di giocattoli: «Sì, Geomag vende bene, in vari negozi ra esaurito ben prima di Natale».

Ormai i giganti dei giochi italiani (Preziosi, Clementoni, Editrice Giochi) e stranieri (Mattel, Hasbro) importano gran parte dei loro prodotti dall' Estremo oriente. Ma Plastwood, la società che produce Geomag, resta a Calangianus. «Il costo della manodopera per noi non è un problema - spiega Tusacciu - fanno tutto le macchine e la produttività è alta: basta un operaio per ogni miliardo di fatturato. All'inizio mi prendevano per pazzo, le banche non mi hanno neppure anticipato i soldi per un nuovo capannone. Così ho dovuto piazzare la prima macchina in un angolo del sugherificio. Ora invece esportiamo in trenta Paesi».

Sfondare nello sterminato mercato statunitense è fondamentale: gli americani comprano da soli più giocattoli di tutto il resto del mondo, spendendo 20 miliardi di dollari all' anno. Per questo gli Stati Uniti sono l' unico Paese, oltre alla Germania, dove Plastwood ha messo in piedi una filiale. Finito il rush di Natale, partirà l' attacco al succulento mercato dei giochi da tavolo con un nuovo prodotto: il «Catchmag», che verrà presentato alla Fiera del giocattolo di Milano dal 18 al 21 gennaio: «Puntiamo a un milione di copie», spera Tusacciu.

Calangianus è un' isola felice in Sardegna. Il distretto del sughero garantisce la piena occupazione, le sue 130 imprese fatturano oltre 400 miliardi. Un operaio può guadagnare due milioni e mezzo al mese. Non è un caso che Calangianus sia l' unico paese italiano ad avere votato contro l' articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quello che impone il reintegro per i licenziati senza giusta causa), nel referendum radicale del maggio 2000 poi annullato dalla mancanza del quorum. «Qui tutti i lavoratori dipendenti aspirano a mettersi in proprio», spiega Tusacciu.

I principali industriali del sughero diversificano: i fratelli Molinas hanno acquistato dalla Ciga il favoloso Hotel Sporting di Porto Rotondo, e si sono lanciati anche nel settore dei porti turistici. Ora Tusacciu ha messo in piedi il miracolo Geomag, e il suo principale nemico sono diventati i falsari: a Napoli sono state sequestrate settemila scatole imitate perfettamente. Lui agli americani riesce a venderli a mezzo dollaro ciascuno, quei magici bastoncini magnetizzati: ovvio che l'idea faccia gola a molti.

Mauro Suttora