Riecco i confini. Non li abbiamo resuscitati soltanto noi, ci avevano pensato i nostri vicini ben prima del virus
di Mauro Suttora
HuffPost, 29 aprile 2021
Introduzione del libro “Confini. Storia e segreti delle nostre frontiere” di Mauro Suttora (Neri Pozza)
I confini sono tornati. Qui in Europa pensavamo di averli aboliti, dopo le due guerre mondiali. “Imagine there’s no countries, immagina che non ci siano più Paesi”: avevamo messo la canzone di John Lennon perfino nelle nostre segreterie telefoniche. Prima, nel 1957, ci affratellò la Comunità europea. Poi, nel 1989, il crollo del Muro di Berlino liberò i Paesi dell’Est. Infine, nel 1997, il trattato di Schengen: quella magica parolina che permette di non accorgersi più delle frontiere. Basta dogane, documenti, file di auto ai valichi. Viaggiavamo in autostrada dopo Bordighera o Vipiteno, e continuavamo a guidare a 130 all’ora. Eravamo già entrati in Francia e Austria, ma ai nostri occhi cambiavano solo i pedaggi e il colore delle strisce sull’asfalto.
Poi è arrivato il coronavirus. E le frontiere sono resuscitate in pochi giorni. In tutto il mondo. Miliardi di persone ‘confinate’ nei propri confini: delle case, dei paesi, delle città. E poi zone rosse, regioni proibite, stati off limits. Un’esperienza incredibile, inedita, improvvisa. Niente più viaggi in aereo, nave, treno, auto. Tutti bloccati come servi della gleba nei feudi medievali. “Nell’intera storia umana non è mai avvenuto nulla di così veloce e globale”, ha avvertito Henry Kissinger dall’alto dei suoi 97 anni, “ne sentiremo gli effetti per generazioni”.
A dire il vero, c’erano state avvisaglie. Prima il movimento no-global: le grandi manifestazioni a Seattle nel 1999 e a Genova nel 2001. Poi anche in Italia, come nell’Inghilterra del Brexit e negli Usa di Trump, a destra sono apparsi i ‘sovranisti’. I loro slogan: “Padroni in casa nostra”, “Prima gli italiani”, “No Euro/pa”.
Una volta si chiamavano nazionalisti, e hanno fatto danni per secoli. Consoliamoci: oggi, abbandonata l’insalubre tendenza a voler spostare in avanti i propri confini, i neonazionalisti si limitano a proclamare il recupero di sovranità e identità, ma all’interno degli stati esistenti. Isolazionismo, non aggressione. Frontiere con trincee e muri per proteggersi, non per attaccare. (...)
In ogni caso, riecco i confini. Non li abbiamo resuscitati soltanto noi, ci avevano pensato i nostri vicini ben prima del virus: i populisti austriaci ripristinando i controlli al Brennero contro i clandestini, i francesi cacciando i migranti a Modane e Mentone, gli inglesi abbandonando l’Unione europea. Nel 2019 al confine fra Slovenia e Friuli-Venezia Giulia sono apparse squadre miste di poliziotti per pattugliare l’ex cortina di ferro, che da quindici anni non esisteva più.
Ma, al di là delle polemiche politiche, quali sono le frontiere dell’Italia? Davvero le conosciamo? I nostri confini naturali sono le Alpi e il mare, ci hanno insegnato. E invece no.
Perché, ad esempio, la frontiera con la Svizzera sta proprio a Chiasso, e non dieci chilometri più a nord o a sud? E come mai i confini con Francia e Slovenia sono situati a Ventimiglia e Gorizia, e non cinque chilometri più a est o a ovest? Nessuno immagina che il loro tracciato fu deciso da un giovanissimo duca Sforza puzzolente nel 1515 (Chiasso), o da un puntiglioso prefetto napoleonico nel 1808 (Ventimiglia). Né che la sventurata Gorizia ha cambiato padrone sette volte in trent’anni, dal 1916 al 1947: record mondiale.
Insomma, altro che ‘confini naturali’. Sono molti gli spartiacque non rispettati: sapete che la pipì fatta dagli abitanti di Livigno (Sondrio), San Candido (Bolzano) o Tarvisio (Udine) finisce nel mar Nero, passando per il Danubio? Decine di chilometri quadrati e intere vallate italiane, infatti, non fanno parte del bacino del Po, ma stanno al di là delle Alpi.
Questo per quanto riguarda le frontiere geografiche. Ma anche quelle linguistiche appaiono labili. I valdostani parlano francese, i sudtirolesi tedesco, e abbiamo anche centomila sloveni fra Cividale e Trieste. Un po’ si prende, un po’ si dà: oltre frontiera ben 350mila svizzeri del canton Ticino conservano come madrelingua l’italiano, fino al crinale del San Gottardo.
Per tracciare alcune frontiere c’è voluto il sangue di milioni di morti. Non occorre andare tanto indietro nel tempo: basti pensare alle carneficine nei conflitti del ’900. Per altre invece è bastato un semplice litigio sui limoni, come quello che separò Mentone dal principato di Monaco nel 1848.
Duemila anni fa i confini dell’Italia romana correvano su due fiumi: il Varo a occidente, subito dopo Nizza, e l’Arsa a oriente, nell’ascella dell’Istria. Da allora infinite guerre, invasioni, trattati, favori e dispetti hanno separato gli italiani da francesi, svizzeri, austriaci e sloveni. Ma pure italiani da italiani: Ventimiglia era frontiera fra Genova e Piemonte, Chiasso separava lombardi; mentre Tonale, Pontebba o Palmanova delimitavano la Serenissima repubblica di Venezia da zone anch’esse italianofone.
Questo libro cerca di soddisfare molte curiosità. Traccia mappe geografiche, ma anche mentali. E svela qualche segreto. Chi ricorda, infatti, che il generale Charles De Gaulle nel 1945 voleva annettere alla Francia l’intera Val d’Aosta e metà Piemonte? Contro di lui, incredibilmente, si allearono partigiani e fascisti italiani, smettendo di combattersi per qualche giorno.
Dopo l’unità d’Italia e il recupero di Trento e Trieste nel 1918, Benito Mussolini rivendicò Nizza e Savoia, Tunisia e canton Ticino, difese l’Alto Adige dalle mire naziste e occupò metà Slovenia e Dalmazia nel 1941. Nel 1942 arrivò fino al Rodano, prendendo per dieci mesi Grenoble e Chambéry, Aix-en-Provence e Tolone, oltre alla Corsica. Poi l’Italia perse tutto, e in più dovette cedere l’Istria, Fiume, Zara e metà Isonzo alla Jugoslavia, e Briga e Tenda alla Francia.
Insomma, innumerevoli sono le vicissitudini delle nostre frontiere. Andiamo a scoprirle: dalla val d’Ossola a Cortina d’Ampezzo, dal Monginevro alla Valtellina, dal passo Resia al Carso. Fra storia, geografia, cultura e politica. E perfino qualche suggerimento turistico ed enogastronomico.
Mauro Suttora