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Tuesday, August 25, 2020

I paradisi opposti di Ventimiglia

I GIARDINI DI HANBURY E BENNET 150 ANNI FA. OGGI, SULLE STESSE ROCCE, GLI IMMIGRANTI CHE SOGNANO LA FRANCIA

di Mauro Suttora

huffington post, 25 agosto 2020

“Il Paradiso d’altra parte non è che un giardino”, scrisse Alberto Savinio. E i Giardini Hanbury, fra Ventimiglia e la frontiera francese, hanno qualcosa di paradisiaco: sono forse i più belli dell’intero Mediterraneo. Pochi sanno, però, che quando sir Thomas Hanbury li fondò nel 1867 rivaleggiavano con un parco inventato da un altro ricco inglese ancor più vicino al confine: il giardino di acclimatazione di Grimaldi, dal nome dall’ultima frazione di Ventimiglia prima della Francia.

Qui era arrivato da Londra il medico reale James Henry Bennet per realizzare un giardino botanico di piante esotiche. Fu amore a prima vista quello di Bennet con la torre saracena che si può ancora ammirare, e affittare con la sua piscina, all’ultimo tornante della vecchia Aurelia prima del valico di Ponte San Luigi. 
Era il 1859, e non esistevano ancora né l’Italia né la frontiera: il regno di Sardegna si estendeva fino a Nizza, che solo l’anno seguente fu ceduta alla Francia per far venire Napoleone III a combattere la nostra Seconda guerra d’indipendenza.

Bennet acquistò, sistemò, terrazzò, irrigò i terreni attorno alla torre per l’avvistamento dei pirati saraceni, allora piantati solo a limoni e olivi. Trascorreva ogni inverno in Riviera per curare la sua tubercolosi, e in effetti il miracoloso sole mediterraneo lo preservò fino al 1891, quando scomparve 75enne. Accanto, intanto, si sviluppava il giardino di Hanbury.

Nel giro di pochi anni quei due parchi divennero così famosi che li visitò la regina Vittoria: contenevano piante fatte arrivare da India, Australia, Sud Africa e Sud America. L’imperatrice britannica soggiornò per settimane con la sua corte a Mentone nel marzo 1882, ma spesso andava a visitare i suoi amici Bennet e Hanbury appena al di là del confine. E per decenni, fino alle sanzioni contro Mussolini negli anni 30, migliaia di benestanti nordeuropei la imitarono, arrivando in Liguria e Provenza per le loro lunghe vacanze invernali.

Si era insomma realizzato il ‘sogno babilonese’ dei due milionari: “La creazione di giardini a strapiombo sul mare che, facendo pensare a quelli pensili realizzati dalla leggendaria regina Semiramide, arricchiranno le coste mediterranee nel corso della Belle Époque”, scrive Enzo Barnabà, autore del libro ‘Il sogno babilonese: lo Château Grimaldi, la Belle Époque, la Riviera’ appena pubblicato dalle edizioni Infinito di Formigine (Modena).

In quelle stesse decine di metri con rocce e ripidi boschi oggi si svolge, più che un sogno, un dramma: quello dei migranti che cercano di entrare in Francia. I poliziotti francesi hanno ripristinato da cinque anni i controlli di frontiera aboliti dal trattato di Schengen un quarto di secolo fa. 
E qui subentra pure la commedia, perché i clandestini che loro catturano e ci rispediscono a centinaia in Italia provano e riprovano a varcare il confine di notte attraverso percorsi impervi, finché prima o poi ci riescono.

Da Grimaldi ci sono due sentieri vicini per arrivare in Francia. Incredibilmente, uno si chiama passo della Morte, l’altro del Paradiso. Il primo porta a un burrone, il secondo all’estero. ‘Il passo della morte’ è un altro libro che lo stesso Barnabà, storico e scrittore residente proprio a Grimaldi, ha scritto l’anno scorso sulle vicissitudini degli emigranti.

Così, a distanza di 150 anni, s’incrociano due tipi opposti di paradiso nelle stesse terrazze a picco sul mar Ligure: quello verso il sud dei ricchi inglesi che venivano a svernare coltivando piante e fiori in Riviera e Costa Azzurra, da Saint Tropez a Cannes, da Bordighera ad Alassio; e quello attuale verso il nord di africani o bengalesi alla ricerca di un passaggio verso il loro eden nordeuropeo, da Parigi a Stoccolma, da Londra ad Amsterdam.
Mauro Suttora