La ricetta anticrisi del banchiere dei poveri
Oggi, 18 marzo 2009
«La ricetta è: cambiare mentalità. Guardare all’economia non solo con gli occhiali del massimo profitto, ma anche con quelli del business solidale. Che non è una predica, non vuol dire “bontà” o disinteresse. Anzi, è nell’interesse di tutti che l’economia funzioni. E il business solidale funziona».
Mohammed Yunus, 69 anni, premio Nobel per la pace nel 2006. Fondatore della Grameen Bank del Bangladesh, che in trent’anni ha erogato cinque miliardi di microprestiti a cinque milioni di persone. «Ma non siamo una cosa solo da Terzo mondo. La nostra filiale di New York aperta un anno fa finanzia iniziative di donne con una media di 2.200 dollari a prestito. E presto arriveremo in Italia, in collaborazione con Unicredit».
Incontriamo Yunus a Roma, ospite della Fondazione Ducci. Arriva da Milano in treno, alla stazione Termini lo riconoscono e applaudono.
«Questa crisi è stata causata da poche persone in pochi Paesi», ci dice il «banchiere dei poveri». «I miliardari stanno perdendo miliardi, ma rimarranno con qualche miliardo. Molte persone, invece, stanno perdendo tutto: lavoro, casa, cibo. Eppure, c’è un lato positivo anche nella crisi: è un’opportunità per cambiare. Le cose che non funzionano si cambiano, no? Prima tutto sembrava andare bene, anche se nel mondo quasi un miliardo di persone soffre ancora la fame. Oggi invece tutti ci rendiamo conto che la regola del massimo profitto non funziona, da sola. Bisogna affiancarle l’economia solidale»
.
Ma il settore no-profit e il volontariato esistono da tempo, anche nel nostro mondo industrializzato.
«Sì, però negli ultimi decenni le banche si sono trasformate quasi in bische per scommesse, e adesso i fondi speculativi stanno facendo pagare il conto a tutti, anche a chi non aveva investito in hedge fund con guadagni colossali. Il loro rischio lo stiamo pagando tutti. Quindi bisogna revisionare il sistema, ormai lo riconosce ogni governo ».
Yunus è un misto di Gesù, Marx e Gandhi. Non una parola d’odio o di contrapposizione esce dalla sua bocca. I suoi slogan sono: fiducia e coinvolgimento.
«Noi non andiamo a protestare sotto le sedi delle multinazionali o ai vertici politici. Cerchiamo di far capire al business tradizionale che è conveniente investire anche nel business solidale. Con la francese Danone, per esempio, produciamo uno yogurt che costa pochissimo e che, arricchito di vitamine, salva da fame e malattie decine di migliaia di nostri bambini. Con la Volkswagen stiamo mettendo a punto un’auto adatta al Terzo mondo, con un motore poco inquinante e soprattutto multi-uso: funziona anche come irrigatore, pompa anti-alluvione, generatore di elettricità e motore per barca. Abbiamo dato un telefonino a 400 mila donne del Bangladesh, e adesso siamo la prima società telefonica del Paese. Domani firmo un accordo con la Basf per una medicina contro la carenza di ferro e per reti antizanzara contro la malaria. Riusciamo a far pagare l’acqua potabile un centesimo ogni quattro litri. E abbiamo proposto ad Adidas di inventare la scarpa che costa un euro: vendendone centinaia di milioni, ci guadagneranno. Ma per tutto questo dobbiamo mettere gli occhiali della creatività e del business solidale».
Lei è un banchiere, e un professore laureato nella prestigiosa università statunitense di Vanderbilt. Perché oggi sono proprio le banche al centro della crisi?
«Perché non hanno fiducia nella gente, e non prestano soldi a chi non ha già. Anche in Italia ci sono milioni di persone escluse dal credito. Perfino nei ricchi Stati Uniti molti lavoratori non possono neppure incassare l’assegno con cui vengono pagati, perché non hanno un conto. Devono andare dalle società che cambiano assegni, e invece di mille dollari ne avranno 800. Eppure le banche possono essere uno strumento di pace, ne ho appena parlato con mister Profumo di Unicredit. Non è vero che i poveri sono debitori inaffidabili, noi abbiamo un tasso di rimborso del prestito di oltre il 90%. Senza garanzie, ipoteche, avvocati. Solo fiducia. La cui mancanza è la causa dell’attuale crisi, tutti lo ammettono».
Quando supereremo la crisi?
«Presto. Sono ottimista. Basta cambiare le cose che l’hanno provocata, e ricostruire il sistema inserendo accanto ai business tradizionali quelli solidali. Spero in Obama, sua madre lavorava proprio nel microcredito, era andata in Indonesia con lui piccolino per svilupparlo. Meglio guadagnare cento in un colpo solo, magari sfruttando, impoverendo e incattivendo qualcun altro, o guadagnare dieci all’anno per dieci anni, con soddisfazione di tutti? La risposta è facile».
Mauro Suttora
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Wednesday, March 18, 2009
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