LA CASTINA
E questi privilegi milionari chi li tocca ?
il palazzo degli sprechi non conosce crisi
Fiumi di denaro ad amministratori locali e partiti "inesistenti". Da Nord a Sud. Uno sconsolante viaggio nella cara politica
di Mauro Suttora
Oggi, 25 marzo 2009
A Roma basta essere consigliere comunale di un partito con un solo eletto per ottenere l' auto blu. E tutti, all' unanimità, dall' estrema destra all' estrema sinistra, si sono appena autoassegnati 75 nuovi portaborse, togliendoli all' anagrafe e ad altri uffici comunali dove rendevano servizi preziosi per i cittadini.
Insomma: i partiti litigano, ma quando si passa a incassare tutti si uniscono magicamente. E anche se Silvio Berlusconi promette di dimezzare i parlamentari, la crisi economica non sembra toccare la casta dei politici di professione. Invece di diminuire, i costi della politica aumentano. I partiti che prendono soldi statali si sono moltiplicati. Le liste regionali, per esempio.
Una volta c'erano solo la Suedtiroler Volkspartei a Bolzano e l' Union Valdotaine ad Aosta. Oggi invece sono 32. Oltre alla trentina di partiti nazionali che continuano a partecipare alle elezioni locali. Una cifra incredibile. Così, un fiume di denaro finanzia tante minicaste locali: solo di stipendi i 1.118 consiglieri regionali ci costano 620 milioni a legislatura.
"E aumentano pure loro", denunciano gli ex senatori Cesare Salvi e Massimo Villone, autori del libro Il costo della democrazia: "La Campania li ha aumentati da 60 a 80, Lazio e Puglia da 60 a 70, l' Emilia da 50 a 65, Liguria e Abruzzo da 50 a 60". Non solo Roma, quindi. Anzi, gli scandali negli ultimi mesi sono avvenuti lontano dalla capitale: Pescara, Basilicata, Napoli.
Dal 2005 il finanziamento pubblico è stato esteso anche a liste che si presentano in una sola Regione. Grande impulso ai "partiti del presidente": Insieme per Mercedes Bresso in Piemonte (che nel 2007 ha incassato mezzo milione di euro), Per la Liguria Sandro Biasotti (640mila), Per il Veneto con Massimo Carraro (925mila), Cittadini per Riccardo Illy in Friuli Venezia Giulia (425mila), L' Aquilone dell' ex presidente siciliano Totò Cuffaro, che si è dovuto dimettere lo scorso gennaio dopo una condanna a cinque anni per favoreggiamento a Cosa Nostra (1,4 milioni).
Puglia. Anche ad altri governatori la lista personale non ha portato fortuna. La Puglia prima di tutto del ministro per gli Affari regionali Raffaele Fitto è stata fonte solo di guai (oltre che di un finanziamento per oltre 1,6 milioni). Infatti l' ex governatore pugliese è stato accusato di avere preso una tangente di mezzo milione dalla società Tosinvest per un megappalto sanitario da 200 milioni (la gestione di undici residenze per anziani). Fitto non nega che la Tosinvest di Antonio Angelucci (deputato Pdl con il figlio recentemente arrestato per un' altra accusa di tangenti) abbia versato 500mila euro alla lista Puglia prima di tutto. Ma sostiene che era un normale contributo elettorale. Il 30 marzo ci sarà l' udienza preliminare.
In Puglia c' è un altro partitino regionale finanziato dallo Stato: Primavera pugliese. Con appena il 2,3% è riuscita a eleggere due consiglieri per il centrosinistra. Incassano 450mila euro.
Sicilia. Guai giudiziari per la lista Nuova Sicilia dell' ex vicepresidente e assessore regionale Bartolo Pellegrino. Prende 430mila euro, ma il titolare è stato arrestato e ora è sotto processo a Trapani per concorso esterno in associazione mafiosa. Incassa cinque milioni il Mpa (Movimento per l' autonomia) di Raffaele Lombardo, che si è trasformato in partito nazionale.
Lazio. Qui la sfida fra i due governatori (quello uscente di destra Francesco Storace e quello entrante di sinistra Piero Marrazzo) quattro anni fa finì quasi alla pari: 200mila voti e il 7% per entrambe le loro liste personali. Vinse la coalizione di centrosinistra, ed entrambi continuano a incassare 1,6 milioni ciascuno per il proprio partitino. Quello di Storace ha sede nel quartiere Prati. Ma sul citofono non ne risulta traccia: lì c' è solo lo studio del tesoriere della Lista. In compenso, il sito internet di Storace è ben funzionante. Quello di Marrazzo, invece, è aggiornato al 2005: abbandonato dopo il voto. Ma la sede esiste, alla Garbatella. C' è una targa vicino al portone, che però è chiuso: "Ogni tanto viene una signora, qualche ora al pomeriggio", racconta un vicino.
Veneto. Il Progetto Nordest in Veneto con il suo 6 per cento fuori dalle coalizioni provocò un certo sconquasso nel 2005. E l' anno dopo fu addirittura la causa della sconfitta nazionale di Berlusconi, con i voti sottratti al centrodestra. Il fondatore, l' industriale degli infissi Giorgio Panto, è morto due anni fa. Ma i suoi due successori, che stanno incassando i 430mila euro statali, si sono appena alleati con altri movimenti che minacciano la Lega Nord da destra. In Veneto sono finanziati anche due micropartiti: le liste civiche del Nordest e l' Intesa dolomitica di Belluno. Briciole: 28mila euro ciascuna.
Trentino Alto Adige. Qui c' è il record: ben otto partiti locali. La Lista civica del presidente provinciale di Trento Lorenzo Dellai ha preso un milione in cinque anni, mentre la Svp di Bolzano ha incassato sei milioni.
Sardegna. Fortza Paris ha eletto tre consiglieri nel 2004 prendendo 340mila euro. Quattro eletti e 440mila euro hanno avuto i Riformatori liberaldemocratici di Massimo Fantola, aumentati alle ultime elezioni.
Campania. Giuseppe Ossario incassa 370mila euro con i Repubblicani Democrazia Liberale.
Val d' Aosta. Quelli dell' Alleanza autonomista e progressista, poco esperti, un anno fa si sono dimenticati di fare domanda e stavano per perdere i 900mila euro loro assegnati. "Si sono fatti fare una legge apposta per riaprire i termini", mugugnano i rivali dell' Union Valdotaine.
"Insomma, nonostante la crisi i politici continuano a sprecare denaro", commenta Sergio Rizzo, autore del bestseller La Casta con Gian Antonio Stella. "In Spagna il finanziamento statale ai partiti è stato di recente ridotto del 20 per cento. Da noi, niente".
Mauro Suttora
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Thursday, March 26, 2009
Wednesday, December 24, 2008
La Casta costa
Bella riforma! Adesso i partiti sono 66. E noi li paghiamo tutti...
Il finanziamento statale, abolito col 90% di no, è resuscitato. Fa sopravvivere decine di formazioni fantasma. E giornali, di destra e sinistra, che ci costano mille euro a copia
di Mauro Suttora
Oggi, 24 dicembre 2008
Il più simpatico è l’insegnante di ginnastica torinese Maurizio Lupi (solo omonimo del vicepresidente della Camera). Con appena 124 preferenze è riuscito a farsi eleggere consigliere regionale nel 2005 in Piemonte. Un burlone: il suo partito si chiama Verdi-verdi per distinguersi da quelli veri, giudicati troppo a sinistra («Verdi rossi»). La sua «Ambienta-lista per Ghigo» (il candidato del centrodestra) prese appena l’1,2% dei voti.
Eppure è stato eletto, e oltre allo stipendio mensile di 10.500 euro ora incassa 43mila euro l’anno come rimborso delle spese elettorali per il partito Verdi-verdi. Iscritti: nessuno. Insomma, l’elezione per il fortunato Lupi significa un affare da 845mila euro in cinque anni: ognuno dei suoi 124 elettori gli ha regalato quasi settemila euro. Record mondiale probabilmente, roba da Guinness.
Vita da Casta. Tutto regolare, per carità: dal 2005, anche i partiti che si presentano in una sola regione hanno diritto al finanziamento pubblico. Che era stato abolito a furor di popolo dal referendum radicale del ‘93 (90% di no), ma è stato resuscitato e ribattezzato pudicamente «rimborso elettorale». Quindi il buon Lupi non ruba niente.
Ricordate il libro La Casta, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella? E’ stato pubblicato solo un anno e mezzo fa, ma sembra passato un secolo. Suscitò fiumi d’indignazione, ha venduto un milione e 260mila copie. Ora la Rizzoli lo ripropone in edizione economica. Gli autori hanno aggiunto un capitolo, per capire se nel frattempo qualcosa è cambiato, se qualche spreco dei politici è diminuito. Niente: «Che fine hanno fatto le promesse lanciate per placare il grande fuoco purificatore? Chissenefrega, ormai le elezioni sono passate», accusano Rizzo e Stella.
I senatori ds Cesare Salvi e Massimo Villone tre anni fa denunciarono nel libro Il costo della democrazia i quattro miliardi annui spesi per mantenere mezzo milione di persone, fra politici di mestiere e consulenti. Non sono stati rieletti: la Casta espelle chi propone autoriforme. Sordina anche sul rumoroso fenomeno di Beppe Grillo, dopo la bocciatura dei suoi referendum.
Il problema però rimane. Soprattutto in questi tempi di crisi economica. Anche i politici stringono la cinghia? Macché. Nella pagina accanto pubblichiamo l’incredibile l’elenco dei 66 partiti che si sono spartiti il finanziamento pubblico nel 2007, con accanto la cifra incassata. La cifra vera: un quarto di miliardo, compresi i soldi per gli «organi di partito». Giornali, radio, tv: 57 milioni all’anno per testate assistite. Come il Secolo d’Italia di Alleanza Nazionale: vende solo tremila copie in edicola ma incassa dallo Stato tre milioni di euro. Il conto è presto fatto: ogni acquirente del Secolo costa mille euro ai contribuenti.
Ma è così per tutti, anche a sinistra: L’Unità incassa 6,5 milioni, e i Ds riescono a rimpinguare di parecchio i «rimborsi» elettorali (34 milioni) con i media: oltre al quotidiano prendono 1,9 milioni per radio Città Futura di Roma e 300mila euro per radio Galileo di Terni. Da quando poi la legge Gasparri concede soldi per tv satellitari di partito è iniziata la corsa alla nuova mammella di Stato: 4,2 milioni l’anno per l’ex Nessuno Tv (canale Sky 890), diventata dal 4 novembre la dalemiana Red. La corrente concorrente dei veltroniani non ha voluto essere da meno, e così ecco Youdem, su Sky 813. Totale per i Ds: 47 milioni.
Ds e Margherita si sono fusi nel Partito democratico, ma così non hanno fatto i loro giornali. Quindi il quotidiano Europa continua a percepire 3,6 milioni annui. Vende 1300 copie in edicola (2.769 euro a copia, quindi).
Ma anche i singoli deputati Pd sono preziosi, se hanno un partito personale. Così la tv Libera (Sky 924) si fa sponsorizzare dal partito Democrazia Europea di Sergio D’Antoni per ricevere 2,4 milioni. La sede del partito personale dell’ex segretario Cisl è in corso Vittorio Emanuele 326 a Roma. D’Antoni aveva fatto confluire Democrazia Europea nell’Udc nel 2002, ma poi è passato al centrosinistra. Il suo partito ha ricevuto 41mila euro nel 2007, redige regolare bilancio, paga 17mila euro per un dipendente. Ma cosa fa? «Non partecipiamo direttamente alle elezioni, però abbiamo organizzato iniziative e incontri per promuovere le politiche sociali nel Sud», assicura D’Antoni, che è appunto il responsabile delle politiche del Mezzogiorno nel Pd.
Il vero artista del contributo pubblico, però, è Gianfranco Rotondi. L’amabile ministro avellinese per l’Attuazione del programma (carica di per sè surreale), segretario di quel che resta della Democrazia cristiana, ha incassato 51mila euro di rimborsi e 10mila direttamente da Forza Italia in cambio dell’appoggio a Silvio Berlusconi. Ma sono briciole. La vera polpa sta negli «organi» di partito, ben due quotidiani: La Discussione, il glorioso giornale fondato da Alcide De Gasperi che piglia 2,3 milioni di euro, e Balena Bianca (300mila).
Forza Italia incassa 46 milioni. Ma nel 2007 ha distribuito soldi a vari partitini confluiti nel Popolo delle Libertà, oltre alla Dc di Rotondi: 430mila euro ad Azione Sociale di Alessandra Mussolini, un milione a Italiani nel Mondo dell’ex dipietrista napoletano Sergio De Gregorio, 100mila ai Riformatori Liberali (ex radicali) di Benedetto Della Vedova, e perfino 15mila a Rinascita Socialdemocratica di Luigi Preti, 94 anni.
E l’estrema sinistra? Desaparecida, dopo il disastro delle ultime elezioni? Neanche per sogno. Gli ex della Sinistra Arcobaleno continuano a ricevere una valanga di soldi. Infatti alle politiche 2008 è bastato arrivare all’uno per cento (anche senza eletti) per incassare contributi fino al 2013. In più, una leggina approvata alla chetichella ha esteso fino al 2011 i rimborsi della legislatura precedente, quella del 2006, anche se interrotta anticipatamente.
Altro che risparmi, quindi: la Casta raddoppia, cento milioni in più all’anno. «Un mese fa durante la Finanziaria abbiamo cercato di eliminare questo ulteriore regalo», dice a Oggi Silvana Mura, tesoriera di Italia dei Valori, «ma gli unici a votare con noi sono stati i radicali. I politici non possono chiedere sacrifici ai cittadini se si comportano così».
I Verdi nel 2007 hanno sfiorato i dieci milioni con due radio per 2,9 milioni, e 2,7 milioni per il giornale Notizie Verdi. Rifondazione comunista oltrepassa i 16 milioni, di cui 3,9 grazie al quotidiano Liberazione. Il quale però ne perde due milioni perché vende solo 6.600 copie. I Comunisti italiani di Oliviero Diliberto hanno ereditato il settimanale Rinascita: anch’esso glorioso, fondato da Palmiro Togliatti, riceve 900mila euro ma vende appena 2.400 copie.
All’estremo opposto, il Msi-Fiamma Tricolore dell’eurodeputato Luca Romagnoli si deve «accontentare» di 364mila euro del finanziamento per le europee, perché dopo la rottura con Pino Rauti non è riuscito a conservare il quotidiano Linea (1,5 milioni): «Ci siamo trasformati in cooperativa», spiegano i giornalisti. L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro incassa due milioni per il suo giornale. Quanto alla Lega Nord, riceve quattro milioni per il quotidiano La Padania (8mila copie) e mezzo milione per Radio Padania.
Il Nuovo Psi prende 472mila euro per il quotidiano Il socialista Lab, più 45mila euro arrivati da Forza Italia. I socialisti di sinistra dello Sdi, invece, hanno dovuto rinunciare allo storico quotidiano Avanti!, che riceve 2,5 milioni dallo stato ma è diventato pure quello coop spostandosi più a destra. Si consolano con 2,7 milioni annui di rimborsi.
Fra le vestigia del passato c’è anche il Pli, partito liberale mantenuto in vita dall’ex eurodeputato Fi Stefano De Luca con 17.500 euro frutto delle regionali in Veneto e Piemonte. E il Pri di Giorgio La Malfa figlio di Ugo, eletto nel Pdl, angustiato sia dai creditori, sia dalla concorrenza dei repubblicani di sinistra di Luciana Sbarbati, senatrice pd. Sopravvive grazie a 90mila euro ricevuti da Forza Italia, 40mila di rimborsi dalle regionali pugliesi, ma soprattutto con i 624mila euro del quotidiano Voce Repubblicana.
L’Udeur di Clemente Mastella ha incassato 1,3 per il giornale Campanile Nuovo. L’Udc di Pierferdinando Casini può contare sul milione del quotidiano Liberal: era nato un anno fa come organo di Forza Italia, ma nel frattempo il direttore Ferdinando Adornato ha compiuto un’altra giravolta e ha lasciato Berlusconi.
I radicali della Lista Pannella, infine: ricevono dallo Stato 1,6 milioni l’anno. Ma la loro Radio radicale, fra convenzione con il Parlamento e contributi per l’editoria, piglia 13 milioni annui. «Siamo un servizio pubblico», precisano, «trasmettiamo i congressi di tutti i partiti e le sedute delle Camere». È vero. Però ormai Senato e Camera hanno due canali Sky tutti loro, più il Gr Parlamento Rai. Spesa tripla per lo stesso servizio.
Mauro Suttora
FINANZIAMENTO AI 66 PARTITI NEL 2007
(fra parentesi quelli a giornali, radio, tv di partito)
1) Alleanza Nazionale 27,4 milioni (3)
2) Altern. Sociale A. Mussolini 628mila
3) Democratici di Sinistra 47,4 milioni (12,9)
4) Dc (Rotondi) 2,7 milioni (2,6)
5) Dem. Europea (D'Antoni) 2,4 milioni (2,3)
6)Forza Italia 46 milioni
7)Azione Sociale (Mussolini) 430mila
8)Italiani Mondo (De Gregorio) 1 milione
9)Riformatori Lib. (Della Vedova) 100mila
10)Rinascita Socialdem. (Preti) 15mila
11)Insieme Unione (Verdi+Pdci) 1,6 milioni
12)Partito consumatori italiani 165mila
13)Italia dei Valori (Di Pietro) 5,9 milioni (2)
14)L'Ulivo 16,1 milioni
15)L'Unione 741mila
16)La Casa delle Libertà 300mila
17)Lega Nord 14,1 (4,5)
18)Lista Pannella 14,6 milioni (13)
19)Margherita 28,7 milioni (3,6)
20)Repubblicani (Sbarbati) 242mila
21)Mov. Sociale Fiamma Tricolore 364mila
22)Nuovo Psi 2 milioni (472mila)
23)Partito Comunisti Italiani 5,2 milioni (0,9)
24)Pli (De Luca) 17.500
25)Partito Pensionati (Fatuzzo) 897mila
26)Pri (La Malfa) 754mila (624mila)
27)Rifondaz. Comunista 16,5 milioni (3,9)
28)Rosa nel Pugno 1,3 milioni
29)Socialisti Democratici-Sdi 2,7milioni
30)Udc 11,8 milioni (1)
31)Udeur 4 milioni (1,3)
32)Verdi 9,8 milioni (5,6)
LISTE REGIONALI
33)Alleanza Autonom. (V.d'Aosta) 180mila
34)Associaz. Marrazzo (Lazio) 321mila
35)Cittadini per Illy (Friuli V.G.) 85mila
36)Fortza Paris (Sardegna) 68mila
37)Gente della Liguria 64mila
38)Insieme per Bresso (Piemonte) 109mila
39)L'Aquilone (Cuffaro, Sicilia) 278mila
40)Leali al Trentino 11mila
41)Lista Civica per il Trentino 206mila
42)Lista Storace (Lazio) 338mila
43)Liste Civiche Nord-Est (Veneto) 5.600
44)Movimento Lid (Belluno) 5.600 euro
45)Mov. per l'Autonomia (Sicilia) 1 milione
46)Nuova Sicilia 86mila
47)Pace Diritti Insieme Sinistra (Bz) 15mila
48)Partito Auton. Trentino Tirolese 78mila
49)Per il Veneto con Carraro 185mila
50)Per la Liguria Sandro Biasotti 128mila
51)Primavera Pugliese 91mila
52)Puglia prima di tutto 324mila
53)Progetto Nordest (Veneto) 86mila
54)Repubblicani-Dem. (Campania) 74mila
55)Riformatori Sardi Liberaldem. 88mila
56)Sinistra Dem. Trentino per Ulivo 61mila
57)Sinistra Federalista Sarda 196mila
58)Stella Alpina (Val d'Aosta) 87mila
59)Sudtiroler Volkspartei 1,2 milioni
60)Union fur Sudtirol 26mila
61)Union Valdotaine 120mila
62)Unione Autonom. Alto Adige 14mila
63)Uniti per la Sicilia 255mila
64)Verdi-Verdi (Piemonte) 48mila
ESTERO
65)Associaz. Italiane Sudamerica 128mila
66)Italia nel Mondo con Tremaglia 77mila
Il finanziamento statale, abolito col 90% di no, è resuscitato. Fa sopravvivere decine di formazioni fantasma. E giornali, di destra e sinistra, che ci costano mille euro a copia
di Mauro Suttora
Oggi, 24 dicembre 2008
Il più simpatico è l’insegnante di ginnastica torinese Maurizio Lupi (solo omonimo del vicepresidente della Camera). Con appena 124 preferenze è riuscito a farsi eleggere consigliere regionale nel 2005 in Piemonte. Un burlone: il suo partito si chiama Verdi-verdi per distinguersi da quelli veri, giudicati troppo a sinistra («Verdi rossi»). La sua «Ambienta-lista per Ghigo» (il candidato del centrodestra) prese appena l’1,2% dei voti.
Eppure è stato eletto, e oltre allo stipendio mensile di 10.500 euro ora incassa 43mila euro l’anno come rimborso delle spese elettorali per il partito Verdi-verdi. Iscritti: nessuno. Insomma, l’elezione per il fortunato Lupi significa un affare da 845mila euro in cinque anni: ognuno dei suoi 124 elettori gli ha regalato quasi settemila euro. Record mondiale probabilmente, roba da Guinness.
Vita da Casta. Tutto regolare, per carità: dal 2005, anche i partiti che si presentano in una sola regione hanno diritto al finanziamento pubblico. Che era stato abolito a furor di popolo dal referendum radicale del ‘93 (90% di no), ma è stato resuscitato e ribattezzato pudicamente «rimborso elettorale». Quindi il buon Lupi non ruba niente.
Ricordate il libro La Casta, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella? E’ stato pubblicato solo un anno e mezzo fa, ma sembra passato un secolo. Suscitò fiumi d’indignazione, ha venduto un milione e 260mila copie. Ora la Rizzoli lo ripropone in edizione economica. Gli autori hanno aggiunto un capitolo, per capire se nel frattempo qualcosa è cambiato, se qualche spreco dei politici è diminuito. Niente: «Che fine hanno fatto le promesse lanciate per placare il grande fuoco purificatore? Chissenefrega, ormai le elezioni sono passate», accusano Rizzo e Stella.
I senatori ds Cesare Salvi e Massimo Villone tre anni fa denunciarono nel libro Il costo della democrazia i quattro miliardi annui spesi per mantenere mezzo milione di persone, fra politici di mestiere e consulenti. Non sono stati rieletti: la Casta espelle chi propone autoriforme. Sordina anche sul rumoroso fenomeno di Beppe Grillo, dopo la bocciatura dei suoi referendum.
Il problema però rimane. Soprattutto in questi tempi di crisi economica. Anche i politici stringono la cinghia? Macché. Nella pagina accanto pubblichiamo l’incredibile l’elenco dei 66 partiti che si sono spartiti il finanziamento pubblico nel 2007, con accanto la cifra incassata. La cifra vera: un quarto di miliardo, compresi i soldi per gli «organi di partito». Giornali, radio, tv: 57 milioni all’anno per testate assistite. Come il Secolo d’Italia di Alleanza Nazionale: vende solo tremila copie in edicola ma incassa dallo Stato tre milioni di euro. Il conto è presto fatto: ogni acquirente del Secolo costa mille euro ai contribuenti.
Ma è così per tutti, anche a sinistra: L’Unità incassa 6,5 milioni, e i Ds riescono a rimpinguare di parecchio i «rimborsi» elettorali (34 milioni) con i media: oltre al quotidiano prendono 1,9 milioni per radio Città Futura di Roma e 300mila euro per radio Galileo di Terni. Da quando poi la legge Gasparri concede soldi per tv satellitari di partito è iniziata la corsa alla nuova mammella di Stato: 4,2 milioni l’anno per l’ex Nessuno Tv (canale Sky 890), diventata dal 4 novembre la dalemiana Red. La corrente concorrente dei veltroniani non ha voluto essere da meno, e così ecco Youdem, su Sky 813. Totale per i Ds: 47 milioni.
Ds e Margherita si sono fusi nel Partito democratico, ma così non hanno fatto i loro giornali. Quindi il quotidiano Europa continua a percepire 3,6 milioni annui. Vende 1300 copie in edicola (2.769 euro a copia, quindi).
Ma anche i singoli deputati Pd sono preziosi, se hanno un partito personale. Così la tv Libera (Sky 924) si fa sponsorizzare dal partito Democrazia Europea di Sergio D’Antoni per ricevere 2,4 milioni. La sede del partito personale dell’ex segretario Cisl è in corso Vittorio Emanuele 326 a Roma. D’Antoni aveva fatto confluire Democrazia Europea nell’Udc nel 2002, ma poi è passato al centrosinistra. Il suo partito ha ricevuto 41mila euro nel 2007, redige regolare bilancio, paga 17mila euro per un dipendente. Ma cosa fa? «Non partecipiamo direttamente alle elezioni, però abbiamo organizzato iniziative e incontri per promuovere le politiche sociali nel Sud», assicura D’Antoni, che è appunto il responsabile delle politiche del Mezzogiorno nel Pd.
Il vero artista del contributo pubblico, però, è Gianfranco Rotondi. L’amabile ministro avellinese per l’Attuazione del programma (carica di per sè surreale), segretario di quel che resta della Democrazia cristiana, ha incassato 51mila euro di rimborsi e 10mila direttamente da Forza Italia in cambio dell’appoggio a Silvio Berlusconi. Ma sono briciole. La vera polpa sta negli «organi» di partito, ben due quotidiani: La Discussione, il glorioso giornale fondato da Alcide De Gasperi che piglia 2,3 milioni di euro, e Balena Bianca (300mila).
Forza Italia incassa 46 milioni. Ma nel 2007 ha distribuito soldi a vari partitini confluiti nel Popolo delle Libertà, oltre alla Dc di Rotondi: 430mila euro ad Azione Sociale di Alessandra Mussolini, un milione a Italiani nel Mondo dell’ex dipietrista napoletano Sergio De Gregorio, 100mila ai Riformatori Liberali (ex radicali) di Benedetto Della Vedova, e perfino 15mila a Rinascita Socialdemocratica di Luigi Preti, 94 anni.
E l’estrema sinistra? Desaparecida, dopo il disastro delle ultime elezioni? Neanche per sogno. Gli ex della Sinistra Arcobaleno continuano a ricevere una valanga di soldi. Infatti alle politiche 2008 è bastato arrivare all’uno per cento (anche senza eletti) per incassare contributi fino al 2013. In più, una leggina approvata alla chetichella ha esteso fino al 2011 i rimborsi della legislatura precedente, quella del 2006, anche se interrotta anticipatamente.
Altro che risparmi, quindi: la Casta raddoppia, cento milioni in più all’anno. «Un mese fa durante la Finanziaria abbiamo cercato di eliminare questo ulteriore regalo», dice a Oggi Silvana Mura, tesoriera di Italia dei Valori, «ma gli unici a votare con noi sono stati i radicali. I politici non possono chiedere sacrifici ai cittadini se si comportano così».
I Verdi nel 2007 hanno sfiorato i dieci milioni con due radio per 2,9 milioni, e 2,7 milioni per il giornale Notizie Verdi. Rifondazione comunista oltrepassa i 16 milioni, di cui 3,9 grazie al quotidiano Liberazione. Il quale però ne perde due milioni perché vende solo 6.600 copie. I Comunisti italiani di Oliviero Diliberto hanno ereditato il settimanale Rinascita: anch’esso glorioso, fondato da Palmiro Togliatti, riceve 900mila euro ma vende appena 2.400 copie.
All’estremo opposto, il Msi-Fiamma Tricolore dell’eurodeputato Luca Romagnoli si deve «accontentare» di 364mila euro del finanziamento per le europee, perché dopo la rottura con Pino Rauti non è riuscito a conservare il quotidiano Linea (1,5 milioni): «Ci siamo trasformati in cooperativa», spiegano i giornalisti. L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro incassa due milioni per il suo giornale. Quanto alla Lega Nord, riceve quattro milioni per il quotidiano La Padania (8mila copie) e mezzo milione per Radio Padania.
Il Nuovo Psi prende 472mila euro per il quotidiano Il socialista Lab, più 45mila euro arrivati da Forza Italia. I socialisti di sinistra dello Sdi, invece, hanno dovuto rinunciare allo storico quotidiano Avanti!, che riceve 2,5 milioni dallo stato ma è diventato pure quello coop spostandosi più a destra. Si consolano con 2,7 milioni annui di rimborsi.
Fra le vestigia del passato c’è anche il Pli, partito liberale mantenuto in vita dall’ex eurodeputato Fi Stefano De Luca con 17.500 euro frutto delle regionali in Veneto e Piemonte. E il Pri di Giorgio La Malfa figlio di Ugo, eletto nel Pdl, angustiato sia dai creditori, sia dalla concorrenza dei repubblicani di sinistra di Luciana Sbarbati, senatrice pd. Sopravvive grazie a 90mila euro ricevuti da Forza Italia, 40mila di rimborsi dalle regionali pugliesi, ma soprattutto con i 624mila euro del quotidiano Voce Repubblicana.
L’Udeur di Clemente Mastella ha incassato 1,3 per il giornale Campanile Nuovo. L’Udc di Pierferdinando Casini può contare sul milione del quotidiano Liberal: era nato un anno fa come organo di Forza Italia, ma nel frattempo il direttore Ferdinando Adornato ha compiuto un’altra giravolta e ha lasciato Berlusconi.
I radicali della Lista Pannella, infine: ricevono dallo Stato 1,6 milioni l’anno. Ma la loro Radio radicale, fra convenzione con il Parlamento e contributi per l’editoria, piglia 13 milioni annui. «Siamo un servizio pubblico», precisano, «trasmettiamo i congressi di tutti i partiti e le sedute delle Camere». È vero. Però ormai Senato e Camera hanno due canali Sky tutti loro, più il Gr Parlamento Rai. Spesa tripla per lo stesso servizio.
Mauro Suttora
FINANZIAMENTO AI 66 PARTITI NEL 2007
(fra parentesi quelli a giornali, radio, tv di partito)
1) Alleanza Nazionale 27,4 milioni (3)
2) Altern. Sociale A. Mussolini 628mila
3) Democratici di Sinistra 47,4 milioni (12,9)
4) Dc (Rotondi) 2,7 milioni (2,6)
5) Dem. Europea (D'Antoni) 2,4 milioni (2,3)
6)Forza Italia 46 milioni
7)Azione Sociale (Mussolini) 430mila
8)Italiani Mondo (De Gregorio) 1 milione
9)Riformatori Lib. (Della Vedova) 100mila
10)Rinascita Socialdem. (Preti) 15mila
11)Insieme Unione (Verdi+Pdci) 1,6 milioni
12)Partito consumatori italiani 165mila
13)Italia dei Valori (Di Pietro) 5,9 milioni (2)
14)L'Ulivo 16,1 milioni
15)L'Unione 741mila
16)La Casa delle Libertà 300mila
17)Lega Nord 14,1 (4,5)
18)Lista Pannella 14,6 milioni (13)
19)Margherita 28,7 milioni (3,6)
20)Repubblicani (Sbarbati) 242mila
21)Mov. Sociale Fiamma Tricolore 364mila
22)Nuovo Psi 2 milioni (472mila)
23)Partito Comunisti Italiani 5,2 milioni (0,9)
24)Pli (De Luca) 17.500
25)Partito Pensionati (Fatuzzo) 897mila
26)Pri (La Malfa) 754mila (624mila)
27)Rifondaz. Comunista 16,5 milioni (3,9)
28)Rosa nel Pugno 1,3 milioni
29)Socialisti Democratici-Sdi 2,7milioni
30)Udc 11,8 milioni (1)
31)Udeur 4 milioni (1,3)
32)Verdi 9,8 milioni (5,6)
LISTE REGIONALI
33)Alleanza Autonom. (V.d'Aosta) 180mila
34)Associaz. Marrazzo (Lazio) 321mila
35)Cittadini per Illy (Friuli V.G.) 85mila
36)Fortza Paris (Sardegna) 68mila
37)Gente della Liguria 64mila
38)Insieme per Bresso (Piemonte) 109mila
39)L'Aquilone (Cuffaro, Sicilia) 278mila
40)Leali al Trentino 11mila
41)Lista Civica per il Trentino 206mila
42)Lista Storace (Lazio) 338mila
43)Liste Civiche Nord-Est (Veneto) 5.600
44)Movimento Lid (Belluno) 5.600 euro
45)Mov. per l'Autonomia (Sicilia) 1 milione
46)Nuova Sicilia 86mila
47)Pace Diritti Insieme Sinistra (Bz) 15mila
48)Partito Auton. Trentino Tirolese 78mila
49)Per il Veneto con Carraro 185mila
50)Per la Liguria Sandro Biasotti 128mila
51)Primavera Pugliese 91mila
52)Puglia prima di tutto 324mila
53)Progetto Nordest (Veneto) 86mila
54)Repubblicani-Dem. (Campania) 74mila
55)Riformatori Sardi Liberaldem. 88mila
56)Sinistra Dem. Trentino per Ulivo 61mila
57)Sinistra Federalista Sarda 196mila
58)Stella Alpina (Val d'Aosta) 87mila
59)Sudtiroler Volkspartei 1,2 milioni
60)Union fur Sudtirol 26mila
61)Union Valdotaine 120mila
62)Unione Autonom. Alto Adige 14mila
63)Uniti per la Sicilia 255mila
64)Verdi-Verdi (Piemonte) 48mila
ESTERO
65)Associaz. Italiane Sudamerica 128mila
66)Italia nel Mondo con Tremaglia 77mila
Thursday, December 20, 2007
La casta non si mette a dieta
Avevano promesso di tagliare gli sprechi. L'hanno fatto?
Dopo tanti annunci, i politici hanno concluso poco. I risparmi rimangono una promessa, i tagli ai superstipendi subiscono troppe eccezioni. Anzi, molte spese crescono
di Mauro Suttora
Oggi, 26 dicembre 2007
Avevano promesso che avrebbero tagliato i costi della «Casta». Invece, facendo un bilancio di fine anno, poco o nulla è cambiato. Anzi, in alcuni casi gli sprechi dei politici sono addirittura aumentati.
«Cosa vuole che le dica? Qui in Parlamento le lobbies hanno sfondato», allarga le braccia sconsolato Massimo Villone, il senatore che due anni fa ha scritto assieme al collega Cesare Salvi (entrambi ex Ds, ora Sinistra democratica) il libro 'Il costo della democrazia', dando il via alla rivolta contro gli eccessi della nomenklatura. «L’unico nostro emendamento accolto in pieno è quello che riduce a dodici i ministri e a sessanta i membri del governo, contro gli attuali 102». Ottima cosa, ma la legge Bassanini da anni imponeva un dimagrimento.
Contro le altre due proposte di Villone e Salvi per la legge finanziaria appena approvata (riduzione spese per Camera, Senato, Quirinale e Corte costituzionale, e tetto ai superstipendi pubblici) si è alzato un fuoco di sbarramento. «Abbiamo ottenuto solo un impegno», spiega Villone, «da parte di Presidenza della Repubblica e Corte costituzionale a non aumentare le spese oltre l’inflazione programmata».
Il Quirinale però quest’anno ha speso 241 milioni di euro contro i 224 preventivati. Già quella cifra, sbertucciata nel libro 'La casta' di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, aveva suscitato indignazione: è il quadruplo di Buckingham Palace. Ma i duemila dipendenti hanno avuto aumenti perché i loro stipendi sono collegati a quelli del Senato. E anche per i prossimi tre anni sono previsti incrementi di oltre il due per cento.
Stesso discorso per la Camera dei deputati: quest’anno ci è costata un miliardo e 200 milioni di euro, il 2,4% in più del 2006. I rimborsi ai deputati, rivela il radicale Sergio D’Elia, sono addirittura raddoppiati rispetto all’anno scorso: 300 mila euro contro 185 mila. Le spese di viaggio degli onorevoli sono aumentate del 25%. Ma anche gli ex hanno diritto a sconti per tutta la vita, e quest’anno sono ammontati a un milione e 250 mila euro.
Unica sforbiciata: le pensioni dei parlamentari. Ora ci vorranno almeno due legislature per ottenerle. Ma anche qui c’è il trucco: solo quelle future. Chi è andato già in pensione può stare tranquillo, anche i deputati rimasti in carica solo un giorno che pigliano duemila euro al mese.
L’ultimo emendamento Salvi-Villone stabiliva un tetto di 274 mila euro per tutti gli stipendi pubblici. «È il compenso annuo del primo presidente di Corte di Cassazione», spiega Villone, «e viste le retribuzioni da fame di insegnanti e poliziotti ci pareva il minimo per ristabilire un po’ di equità». Più di diecimila euro netti al mese non sembra effettivamente poco, neppure per i dirigenti più alti.
Eppure, anche qui la Casta si è scatenata. Prima hanno imposto che il tetto non si applichi ai contratti di tipo privatistico già in essere. Poi sono stati esentati gli «artisti» Rai, con la scusa che altrimenti fuggirebbero tutti a Mediaset. Poi hanno ottenuto la grazia la Banca d’Italia e le «authorities» (antitust, comunicazioni, privacy, energia, ecc), proliferate negli ultimi anni al di là di ogni necessità, che assicurano ai fortunati assunti stipendi tripli rispetto a quelli dei poveri ministeriali.
Ancora: per proteggere proprio tutti, il governo ha ottenuto 25 «eccezioni» da applicare agli stipendi scandalosamente alti (alcuni esempi nella tabella nella pagina accanto). Così si potranno mantenere vistose incongruenze, come la retribuzione doppia del capo della Polizia (650 mila euro annui) rispetto al comandante dei Carabinieri (380 mila euro), nonostante le uguali responsabilità.
Infine, chi cumula vari incarichi (abitudine diffusissima nella Casta parastatale romana) vedrà la sua attuale retribuzione ridursi soltanto del 25 per cento annuo, fino a rientrare nel «tetto».
Ma il malcostume degli stipendi d’oro non è una prerogativa di Roma: l’avviso di garanzia e la richiesta di rimborso della Corte dei Conti arrivati al sindaco di Milano Letizia Moratti per le retribuzioni da 250 mila euro e oltre distribuiti ai propri dirigenti e consulenti dimostra che in tutta Italia ci si arricchisce a spese dei contribuenti.
Comunità montane e province si sono salvate, eppure molti le considerano enti inutili. Verranno solo tagliati un po’ di consiglieri, ma dal 2010. È sparito il limite altimetrico di 500 metri per essere considerati comuni di montagna: così rientrano Domodossola, Susa, Lanzo, Feltre, Vallombrosa.
Quanto alle Regioni, «il loro diritto allo spreco è costituzionalmente garantito», ironizza Villone: governo e Parlamento non possono toccarle, è ciascuna di loro a dover diminuire spese e posti. Campa cavallo. E anche per il taglio dei 950 parlamentari (gli Usa, con il quintuplo dei nostri abitanti, ne hanno 535) occorre una legge costituzionale, con tempi lunghissimi.
«Ormai, fra stipendiati e consulenti, in Italia campa di politica mezzo milione di persone», denuncia Villone. I consiglieri comunali strepitano contro l’intenzione di ridurre i loro stipendi mensili da 2.000 a 1.500 euro: «Perché non tagliate prima quelli dei consiglieri regionali, che arrivano a 14 mila euro?».
Dimenticano che fino a quindici anni fa quella di consigliere comunale non era una professione, ma un onore (e un onere) civico, che si espletava per una o due sere alla settimana in cambio di un semplice gettone di presenza da 50 mila lire. E le nostre città non erano governate peggio.
Insomma, dopo tanti annunci sui tagli agli sprechi, di concreto è stato fatto poco. Del disegno di legge Santagata si sono perse le tracce. Il decreto Lanzillotta limita a tre i consiglieri d’amministrazione nelle società a partecipazione pubblica. Ma anche qui una vasta esenzione: le società con più di due milioni di capitale possono averne cinque.
Sarà forse per questo che ora Beppe Grillo raccoglie un 57 per cento di simpatie, contro il 49% per Fini, il 48 per Veltroni, il 39 per Berlusconi e appena il 29 per Prodi. E che il libro La casta continua a vendere: ormai ha raggiunto un milione e 200 mila copie. Nessun saggio in Italia, neanche quelli di Oriana Fallaci o dei papi, ha mai ottenuto tanto successo in così poco tempo. Ora si è aggiunto anche 'Sprecopoli' di Mario Cervi e Nicola Porro. Ma i politici di professione sembrano non essersi ancora accorti che il vento è cambiato.
Mauro Suttora
Dopo tanti annunci, i politici hanno concluso poco. I risparmi rimangono una promessa, i tagli ai superstipendi subiscono troppe eccezioni. Anzi, molte spese crescono
di Mauro Suttora
Oggi, 26 dicembre 2007
Avevano promesso che avrebbero tagliato i costi della «Casta». Invece, facendo un bilancio di fine anno, poco o nulla è cambiato. Anzi, in alcuni casi gli sprechi dei politici sono addirittura aumentati.
«Cosa vuole che le dica? Qui in Parlamento le lobbies hanno sfondato», allarga le braccia sconsolato Massimo Villone, il senatore che due anni fa ha scritto assieme al collega Cesare Salvi (entrambi ex Ds, ora Sinistra democratica) il libro 'Il costo della democrazia', dando il via alla rivolta contro gli eccessi della nomenklatura. «L’unico nostro emendamento accolto in pieno è quello che riduce a dodici i ministri e a sessanta i membri del governo, contro gli attuali 102». Ottima cosa, ma la legge Bassanini da anni imponeva un dimagrimento.
Contro le altre due proposte di Villone e Salvi per la legge finanziaria appena approvata (riduzione spese per Camera, Senato, Quirinale e Corte costituzionale, e tetto ai superstipendi pubblici) si è alzato un fuoco di sbarramento. «Abbiamo ottenuto solo un impegno», spiega Villone, «da parte di Presidenza della Repubblica e Corte costituzionale a non aumentare le spese oltre l’inflazione programmata».
Il Quirinale però quest’anno ha speso 241 milioni di euro contro i 224 preventivati. Già quella cifra, sbertucciata nel libro 'La casta' di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, aveva suscitato indignazione: è il quadruplo di Buckingham Palace. Ma i duemila dipendenti hanno avuto aumenti perché i loro stipendi sono collegati a quelli del Senato. E anche per i prossimi tre anni sono previsti incrementi di oltre il due per cento.
Stesso discorso per la Camera dei deputati: quest’anno ci è costata un miliardo e 200 milioni di euro, il 2,4% in più del 2006. I rimborsi ai deputati, rivela il radicale Sergio D’Elia, sono addirittura raddoppiati rispetto all’anno scorso: 300 mila euro contro 185 mila. Le spese di viaggio degli onorevoli sono aumentate del 25%. Ma anche gli ex hanno diritto a sconti per tutta la vita, e quest’anno sono ammontati a un milione e 250 mila euro.
Unica sforbiciata: le pensioni dei parlamentari. Ora ci vorranno almeno due legislature per ottenerle. Ma anche qui c’è il trucco: solo quelle future. Chi è andato già in pensione può stare tranquillo, anche i deputati rimasti in carica solo un giorno che pigliano duemila euro al mese.
L’ultimo emendamento Salvi-Villone stabiliva un tetto di 274 mila euro per tutti gli stipendi pubblici. «È il compenso annuo del primo presidente di Corte di Cassazione», spiega Villone, «e viste le retribuzioni da fame di insegnanti e poliziotti ci pareva il minimo per ristabilire un po’ di equità». Più di diecimila euro netti al mese non sembra effettivamente poco, neppure per i dirigenti più alti.
Eppure, anche qui la Casta si è scatenata. Prima hanno imposto che il tetto non si applichi ai contratti di tipo privatistico già in essere. Poi sono stati esentati gli «artisti» Rai, con la scusa che altrimenti fuggirebbero tutti a Mediaset. Poi hanno ottenuto la grazia la Banca d’Italia e le «authorities» (antitust, comunicazioni, privacy, energia, ecc), proliferate negli ultimi anni al di là di ogni necessità, che assicurano ai fortunati assunti stipendi tripli rispetto a quelli dei poveri ministeriali.
Ancora: per proteggere proprio tutti, il governo ha ottenuto 25 «eccezioni» da applicare agli stipendi scandalosamente alti (alcuni esempi nella tabella nella pagina accanto). Così si potranno mantenere vistose incongruenze, come la retribuzione doppia del capo della Polizia (650 mila euro annui) rispetto al comandante dei Carabinieri (380 mila euro), nonostante le uguali responsabilità.
Infine, chi cumula vari incarichi (abitudine diffusissima nella Casta parastatale romana) vedrà la sua attuale retribuzione ridursi soltanto del 25 per cento annuo, fino a rientrare nel «tetto».
Ma il malcostume degli stipendi d’oro non è una prerogativa di Roma: l’avviso di garanzia e la richiesta di rimborso della Corte dei Conti arrivati al sindaco di Milano Letizia Moratti per le retribuzioni da 250 mila euro e oltre distribuiti ai propri dirigenti e consulenti dimostra che in tutta Italia ci si arricchisce a spese dei contribuenti.
Comunità montane e province si sono salvate, eppure molti le considerano enti inutili. Verranno solo tagliati un po’ di consiglieri, ma dal 2010. È sparito il limite altimetrico di 500 metri per essere considerati comuni di montagna: così rientrano Domodossola, Susa, Lanzo, Feltre, Vallombrosa.
Quanto alle Regioni, «il loro diritto allo spreco è costituzionalmente garantito», ironizza Villone: governo e Parlamento non possono toccarle, è ciascuna di loro a dover diminuire spese e posti. Campa cavallo. E anche per il taglio dei 950 parlamentari (gli Usa, con il quintuplo dei nostri abitanti, ne hanno 535) occorre una legge costituzionale, con tempi lunghissimi.
«Ormai, fra stipendiati e consulenti, in Italia campa di politica mezzo milione di persone», denuncia Villone. I consiglieri comunali strepitano contro l’intenzione di ridurre i loro stipendi mensili da 2.000 a 1.500 euro: «Perché non tagliate prima quelli dei consiglieri regionali, che arrivano a 14 mila euro?».
Dimenticano che fino a quindici anni fa quella di consigliere comunale non era una professione, ma un onore (e un onere) civico, che si espletava per una o due sere alla settimana in cambio di un semplice gettone di presenza da 50 mila lire. E le nostre città non erano governate peggio.
Insomma, dopo tanti annunci sui tagli agli sprechi, di concreto è stato fatto poco. Del disegno di legge Santagata si sono perse le tracce. Il decreto Lanzillotta limita a tre i consiglieri d’amministrazione nelle società a partecipazione pubblica. Ma anche qui una vasta esenzione: le società con più di due milioni di capitale possono averne cinque.
Sarà forse per questo che ora Beppe Grillo raccoglie un 57 per cento di simpatie, contro il 49% per Fini, il 48 per Veltroni, il 39 per Berlusconi e appena il 29 per Prodi. E che il libro La casta continua a vendere: ormai ha raggiunto un milione e 200 mila copie. Nessun saggio in Italia, neanche quelli di Oriana Fallaci o dei papi, ha mai ottenuto tanto successo in così poco tempo. Ora si è aggiunto anche 'Sprecopoli' di Mario Cervi e Nicola Porro. Ma i politici di professione sembrano non essersi ancora accorti che il vento è cambiato.
Mauro Suttora
Wednesday, May 23, 2007
Il nuovo sacco di Roma
Il centro della capitale soffocato dalle sedi dei politici
Venticinque anni fa il Senato aveva tre palazzi. Oggi ne occupa ben 13. Se si aggiungono quelli di Camera e presidenza del Consiglio si arriva a 46 edifici. E non è ancora finita. Ma ora la città si ribella, dicendo il primo «no»
di Mauro Suttora
Oggi, 23 maggio 2007
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è un palazzo di largo Toniolo, nel centro di Roma: il 4 maggio il Primo municipio della capitale ha negato all’unanimità il cambio di destinazione, da abitazioni a uffici, chiesto dal Senato. Non era mai successo che un ente pubblico si opponesse così platealmente alla seconda istituzione dello Stato. Ora la patata bollente finirà nelle mani del sindaco Walter Veltroni, ma questo clamoroso conflitto segna la fine di un’epoca.
Nel 1980 il Senato aveva tre palazzi (Madama, Giustiniani e Carpegna). Oggi ne ha tredici, tutti in centro, e vorrebbe ancora espandersi, espellendo famiglie (sono 11 solo in largo Toniolo) dalle loro case in affitto a prezzi popolari.
È solo l’ultimo capitolo di una «Sprecopoli» che coinvolge non solo il Senato, ma tutte le istituzioni italiane: Camera, presidenza della Repubblica, ministeri.
«Negli ultimi 20 anni i politici hanno fatto quel che hanno voluto», spiega Mario Staderini, il consigliere municipale radicale artefice della bocciatura, «occupando a man bassa palazzi e comprandoli col denaro dei contribuenti. Ventun milioni di euro è costato il palazzo di largo Toniolo assieme a quello di largo Chiavari, acquistati dal Senato tre anni fa. È ora di finirla: oggi, fra Parlamento e presidenza del Consiglio, sono 46 i palazzi del centro dai quali sono stati espulsi i residenti per far spazio ai politici. È un’invasione che sta stravolgendo Roma. L’esatto contrario di quello che si dovrebbe fare: decentrare gli uffici pubblici per decongestionare il centro».
Il numero dei parlamentari non è certo aumentato dall’inizio della Repubblica. Se l’Italia avesse, in proporzione ai nostri quasi 60 milioni di abitanti, la stessa quantità di senatori degli Stati Uniti (che ne hanno cento, su una popolazione di quasi 300 milioni), i seggi di palazzo Madama dovrebbero ridursi da 320 a... 20.
Invece, il sovraffollamento di politici si è tradotto in un vero e proprio «sacco» immobiliare: «Camera e Senato nel 1948 occupavano quattro edifici. Oggi ne hanno una trentina, più i sedici della presidenza del Consiglio», denunciano Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, autori di La Casta: così i politici italiani sono diventati intoccabili (Rizzoli), il nuovo libro che racconta gli sprechi della nomenklatura nostrana.
Sessant’anni fa Giulio Andreotti era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma il governo non aveva neppure una casa tutta sua: «Quanti edifici avevamo? Fatemi pensare...», riflette il senatore a vita. «Neanche uno, perché a palazzo Chigi stava il ministero degli Esteri, e noi dividevamo il Viminale con gli Interni».
Altri tempi. «Oggi le persone che vivono di politica in Italia, stipendiati come parlamentari, eletti negli enti locali o consulenti, sono un esercito di 427 mila persone», hanno calcolato i senatori Cesare Salvi e Massimo Villone, usciti dai Ds, nel libro Il costo della democrazia (Mondadori). Costo annuo totale: quattro miliardi di euro.
La pressione maggiore di questa nuova casta si esercita sulla capitale. «Che è soffocata dal traffico provocato dalle auto blu dei politici e delle loro scorte, spesso tanto inutili quanto arroganti, dall’aumento dei prezzi delle abitazioni ormai inavvicinabili in centro, provocato dall’ondata di acquisti da parte di enti pubblici, e quindi dal trasferimento forzoso dei suoi abitanti. Ormai parecchie vie sono frequentate soltanto da turisti e dai politici con i loro portaborse», spiega Staderini.
E pensare che negli anni Ottanta, proprio per evitare svuotamento e «museificazione» del centro di Roma, si era progettato lo Sdo (Sistema direzionale orientale), per spostare ministeri e istituzioni in periferia e alleggerire il traffico verso il centro. Da allora il Comune ha trasferito alcuni uffici all’Ostiense. Per il resto, zero. Anzi, l’espansione del «pubblico» è aumentata.
Con la scusa di sistemare i ministeri «senza portafoglio» in continuo aumento, la presidenza del Consiglio si è scatenata negli acquisti. Nel 2002 ha comprato un pezzo di galleria Colonna, nella piazza omonima: 34 milioni di euro più 7 per ristrutturarla. L’anno dopo altri 41 milioni per un palazzo in via della Mercede. Totale dal 2001 al 2005: 156 milioni di euro.
A piazza San Silvestro accade di peggio: la Camera sta spendendo 650 milioni di euro nell’affitto per 18 anni di quattro palazzi dall’immobiliarista Sergio Scarpellini. Il quale affitta pure al Senato (l’ex albergo Bologna per 3 milioni annui), mentre due milioni e mezzo li ricava dalla gestione di buvette e ristoranti sulla terrazza del palazzo San Macuto (Camera) e del Quirinale.
È un’elefantiasi di cui però soffre tutta la nostra politica, dal Capo dello Stato giù fino ai consiglieri comunali (119 mila) e di quartiere (12 mila). I quali fino a dieci anni fa ricevevano solo pochi gettoni di presenza per poche decine di migliaia di lire, mentre oggi incassano tutti uno stipendio fisso di almeno mille euro al mese.
Insomma, il «povero» Senato si trova in ottima e abbondante compagnia quanto a sprechi. Tanto più gravi se si ricorda che l’Italia ha un debito pubblico astronomico, il più alto d’Europa: oltre 1.500 miliardi di euro.
«Invece di risparmiare si aumentano spazi, posti, spese», dice Staderini. «Ogni parlamentare oggi ha a disposizione in media 80 metri quadri per l’ufficio personale. Non bastano? Ma cadono in fallo anche i più virtuosi. Il ministro dell’Economia Tomaso Padoa-Schioppa, per esempio, ora vuole un nuovo palazzo per il suo ministero. Decentrato? No, in pieno centro: via Sicilia, angolo via Veneto. E al Consiglio superiore della magistratura, abbiamo bocciato l’innalzamento del palazzo di piazza Indipendenza. Dicono che vogliono ricavarci “foresterie”. Ma per chi?».
Commenta il senatore Cesare Salvi: «Dodici anni dopo Mani pulite si riparla di questione morale e di costi eccessivi della politica. Ma la nuova questione morale oggi non si traduce più in violazione del Codice penale. Si trova piuttosto nella moltiplicazione degli incarichi e dei posti, nella lottizzazione a tutti i livelli, nei rapporti impropri fra politica e società civile. E proprio per queste sue caratteristiche è perfino più pericolosa». E quindi? «Serve una riforma radicale della gestione della cosa pubblica. La attendiamo invano dai tempi di Tangentopoli».
Mauro Suttora
Venticinque anni fa il Senato aveva tre palazzi. Oggi ne occupa ben 13. Se si aggiungono quelli di Camera e presidenza del Consiglio si arriva a 46 edifici. E non è ancora finita. Ma ora la città si ribella, dicendo il primo «no»
di Mauro Suttora
Oggi, 23 maggio 2007
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è un palazzo di largo Toniolo, nel centro di Roma: il 4 maggio il Primo municipio della capitale ha negato all’unanimità il cambio di destinazione, da abitazioni a uffici, chiesto dal Senato. Non era mai successo che un ente pubblico si opponesse così platealmente alla seconda istituzione dello Stato. Ora la patata bollente finirà nelle mani del sindaco Walter Veltroni, ma questo clamoroso conflitto segna la fine di un’epoca.
Nel 1980 il Senato aveva tre palazzi (Madama, Giustiniani e Carpegna). Oggi ne ha tredici, tutti in centro, e vorrebbe ancora espandersi, espellendo famiglie (sono 11 solo in largo Toniolo) dalle loro case in affitto a prezzi popolari.
È solo l’ultimo capitolo di una «Sprecopoli» che coinvolge non solo il Senato, ma tutte le istituzioni italiane: Camera, presidenza della Repubblica, ministeri.
«Negli ultimi 20 anni i politici hanno fatto quel che hanno voluto», spiega Mario Staderini, il consigliere municipale radicale artefice della bocciatura, «occupando a man bassa palazzi e comprandoli col denaro dei contribuenti. Ventun milioni di euro è costato il palazzo di largo Toniolo assieme a quello di largo Chiavari, acquistati dal Senato tre anni fa. È ora di finirla: oggi, fra Parlamento e presidenza del Consiglio, sono 46 i palazzi del centro dai quali sono stati espulsi i residenti per far spazio ai politici. È un’invasione che sta stravolgendo Roma. L’esatto contrario di quello che si dovrebbe fare: decentrare gli uffici pubblici per decongestionare il centro».
Il numero dei parlamentari non è certo aumentato dall’inizio della Repubblica. Se l’Italia avesse, in proporzione ai nostri quasi 60 milioni di abitanti, la stessa quantità di senatori degli Stati Uniti (che ne hanno cento, su una popolazione di quasi 300 milioni), i seggi di palazzo Madama dovrebbero ridursi da 320 a... 20.
Invece, il sovraffollamento di politici si è tradotto in un vero e proprio «sacco» immobiliare: «Camera e Senato nel 1948 occupavano quattro edifici. Oggi ne hanno una trentina, più i sedici della presidenza del Consiglio», denunciano Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, autori di La Casta: così i politici italiani sono diventati intoccabili (Rizzoli), il nuovo libro che racconta gli sprechi della nomenklatura nostrana.
Sessant’anni fa Giulio Andreotti era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma il governo non aveva neppure una casa tutta sua: «Quanti edifici avevamo? Fatemi pensare...», riflette il senatore a vita. «Neanche uno, perché a palazzo Chigi stava il ministero degli Esteri, e noi dividevamo il Viminale con gli Interni».
Altri tempi. «Oggi le persone che vivono di politica in Italia, stipendiati come parlamentari, eletti negli enti locali o consulenti, sono un esercito di 427 mila persone», hanno calcolato i senatori Cesare Salvi e Massimo Villone, usciti dai Ds, nel libro Il costo della democrazia (Mondadori). Costo annuo totale: quattro miliardi di euro.
La pressione maggiore di questa nuova casta si esercita sulla capitale. «Che è soffocata dal traffico provocato dalle auto blu dei politici e delle loro scorte, spesso tanto inutili quanto arroganti, dall’aumento dei prezzi delle abitazioni ormai inavvicinabili in centro, provocato dall’ondata di acquisti da parte di enti pubblici, e quindi dal trasferimento forzoso dei suoi abitanti. Ormai parecchie vie sono frequentate soltanto da turisti e dai politici con i loro portaborse», spiega Staderini.
E pensare che negli anni Ottanta, proprio per evitare svuotamento e «museificazione» del centro di Roma, si era progettato lo Sdo (Sistema direzionale orientale), per spostare ministeri e istituzioni in periferia e alleggerire il traffico verso il centro. Da allora il Comune ha trasferito alcuni uffici all’Ostiense. Per il resto, zero. Anzi, l’espansione del «pubblico» è aumentata.
Con la scusa di sistemare i ministeri «senza portafoglio» in continuo aumento, la presidenza del Consiglio si è scatenata negli acquisti. Nel 2002 ha comprato un pezzo di galleria Colonna, nella piazza omonima: 34 milioni di euro più 7 per ristrutturarla. L’anno dopo altri 41 milioni per un palazzo in via della Mercede. Totale dal 2001 al 2005: 156 milioni di euro.
A piazza San Silvestro accade di peggio: la Camera sta spendendo 650 milioni di euro nell’affitto per 18 anni di quattro palazzi dall’immobiliarista Sergio Scarpellini. Il quale affitta pure al Senato (l’ex albergo Bologna per 3 milioni annui), mentre due milioni e mezzo li ricava dalla gestione di buvette e ristoranti sulla terrazza del palazzo San Macuto (Camera) e del Quirinale.
È un’elefantiasi di cui però soffre tutta la nostra politica, dal Capo dello Stato giù fino ai consiglieri comunali (119 mila) e di quartiere (12 mila). I quali fino a dieci anni fa ricevevano solo pochi gettoni di presenza per poche decine di migliaia di lire, mentre oggi incassano tutti uno stipendio fisso di almeno mille euro al mese.
Insomma, il «povero» Senato si trova in ottima e abbondante compagnia quanto a sprechi. Tanto più gravi se si ricorda che l’Italia ha un debito pubblico astronomico, il più alto d’Europa: oltre 1.500 miliardi di euro.
«Invece di risparmiare si aumentano spazi, posti, spese», dice Staderini. «Ogni parlamentare oggi ha a disposizione in media 80 metri quadri per l’ufficio personale. Non bastano? Ma cadono in fallo anche i più virtuosi. Il ministro dell’Economia Tomaso Padoa-Schioppa, per esempio, ora vuole un nuovo palazzo per il suo ministero. Decentrato? No, in pieno centro: via Sicilia, angolo via Veneto. E al Consiglio superiore della magistratura, abbiamo bocciato l’innalzamento del palazzo di piazza Indipendenza. Dicono che vogliono ricavarci “foresterie”. Ma per chi?».
Commenta il senatore Cesare Salvi: «Dodici anni dopo Mani pulite si riparla di questione morale e di costi eccessivi della politica. Ma la nuova questione morale oggi non si traduce più in violazione del Codice penale. Si trova piuttosto nella moltiplicazione degli incarichi e dei posti, nella lottizzazione a tutti i livelli, nei rapporti impropri fra politica e società civile. E proprio per queste sue caratteristiche è perfino più pericolosa». E quindi? «Serve una riforma radicale della gestione della cosa pubblica. La attendiamo invano dai tempi di Tangentopoli».
Mauro Suttora
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