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Monday, February 10, 2025

Giorno del Ricordo. L’autodafé di un esule

Un libro di Diego Zandel  racconta le fucilazioni degli antifascisti. “Mi pento di aver fatta mia la narrazione di un parte politica che ha infangato la sofferenza di un popolo”. Se una delle etnie istriana fosse stata di colore, “saremmo tutti mulatti”. Enorme complessità delle foibe

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 10 Febbraio 2025

Alle otto di mattina del 3 maggio 1945 il capo della polizia segreta di Fiume (Rijeka), Oskar Piškulić, irrompe nella casa dell’antifascista Giuseppe Sincich assieme alla sua compagna Avjanka Margetić e a quattro partigiani armati di mitra che lo trascinano via. Il cane lupo dei Sincich riconosce Avjanka, le va incontro e lei, in divisa di partigiana, gli fa una carezza.

"Ho visto allontanarsi mio papà", racconta Antonia, figlia di Sincich, "ma dopo alcuni passi è tornato indietro. Per salutarmi mi ha dato un bacio, freddo, pallido, per poi tornare sotto la scorta di quegli sgherri che gli dicevano in croato 'aide, aide', muoviti. Dopo un quarto d’ora ho sentito una sventagliata di mitra. Il suo cadavere, crivellato di colpi, fu poi trovato da mio fratello davanti all’entrata del cantiere navale di Cantrida, poco lontano da casa nostra".

Lo scrittore Diego Zandel racconta questo episodio nel suo ultimo libro, Autodafé di un esule (ed.Rubbettino): “È una filiazione del più dirompente memoir antitotalitario della nostra letteratura, Uscita di sicurezza di Ignazio Silone”, scrive Andrea Di Consoli nella prefazione.

Zandel, 76 anni, è uno dei non tanti esuli istriani di sinistra. I più noti: lo scrittore Fulvio Tomizza, il cantautore Sergio Endrigo, Livio Labor presidente Acli e senatore del Psi, Rossana Rossanda fondatrice de Il manifesto.

“Non mi pento di aver aderito al socialismo”, dice. “Le tradizioni operaie nelle nostre terre, nelle città portuali e cantieristiche come Fiume e Pola, erano radicate. Ma non impedirono ai fiumani e agli istriani di andarsene dopo la loro annessione alla Jugoslavia comunista. È fondamentale precisare ‘comunista’, perché probabilmente una Jugoslavia democratica, liberale, rispettosa delle libertà individuali, non avrebbe provocato il terremoto che c’è stato nel 1945-47, sconvolgendo equilibri secolari. Mi pento, invece, di aver fatto anche mia una narrazione messa in piedi da una parte politica che, avendo grandi responsabilità, non ha esitato a infangare le sofferenze e la tragedia di un intero popolo, dipingendo l’esodo come la reazione di una massa di furfanti fascisti che scappavano dalle maglie della giustizia socialista, messi in fuga dalla lotta popolare antifascista. Mentre era una messa in salvo dal terrore – foibe, intimidazioni, minacce, espropri, licenziamenti, sfratti – imposto dal maresciallo Tito”.

L’altra narrazione della sinistra italiana era, spiega Zandel, la giustificazione di quelle azioni: ritorsioni degli slavi per l’aggressione fascista dei Balcani nel 1941, le stragi, i campi di concentramento, l’italianizzazione forzata del ventennio. Tutte cose che ci possono stare. Ma che non sono da mettere in corrispondenza diretta con il popolo istriano, fiumano e dalmata, che aveva una secolare tradizione di convivenza tra etnie diverse, con incroci ad ogni livello. Zandel stesso è di famiglia mista. Dice il fiumano Andor Brakus, nato in un campo profughi pugliese nel 1952: “Se una delle etnie presenti sul nostro territorio fosse stata di colore, la stragrande maggioranza di noi sarebbe mulatta”.

Piškulić è stato processato dal 1994 al 2002 a Roma per tre omicidi di antifascisti italiani. Oltre a Sincich, Nevio Skull (colpo alla nuca) e Mario Blasich (strangolato nel suo letto): dirigenti autonomisti che si erano rifiutati, fin dai primi incontri nel 1944 con gli emissari di Tito, di accettare l’annessione di Fiume alla Jugoslavia.

Gli autonomisti propugnavano lo Stato libero di Fiume già a fine Ottocento, nei confronti del regno d’Ungheria di cui questa città cosmopolita era il porto; nel 1919 si opposero all’annessione sia alla neonata Jugoslavia sia all’Italia, mettendosi poi anche contro Gabriele D’Annunzio e la sua Reggenza del Carnaro. E finita l’avventura dannunziana nel Natale 1920, fu istituito lo Stato libero di Fiume con Riccardo Zanella presidente. Fino a quando un golpe guidato dal fascista triestino Francesco Giunta non rovesciò Zanella il quale, come altri capi autonomisti, scelse l’esilio.

Nel 1924 Fiume fu spartita fra Italia e Jugoslavia. Tuttavia gli autonomisti continuarono ad essere popolari in città, per cui nel 1944 Tito cercò di coinvolgerli nel suo progetto annessionistico. Quelli rifiutarono, e furono eliminati senza pietà. Oltre alle tre vittime di Piškulić, agghiacciante anche la fine di Angelo Adam: ebreo, antifascista, riparato a Parigi per sfuggire ai fascisti ma lì raggiunto dall’occupazione nazista nel 1940, internato a Dachau, commise l’errore di tornare a casa. Sparì. E con lui la figlia, che era andata a chiederne notizie alle autorità comuniste.

Seguirono anni di violenze con centinaia di omicidi: una stagione di terrore che fece scappare anche i genitori di Zandel, nonostante il padre fosse stato partigiano e l’etnia croata della madre.

“Fra maggio 1945 e dicembre 1947, in tempo di pace, solo a Fiume furono 543 le persone delle quali non si seppe più nulla”, denuncia Zandel. Nel 1946 cominciò l’emorragia dei fiumani. Se ne andarono in 32 mila, il 90 per cento degli abitanti italiani. La pulizia etnica fu completa.

Piškulić, ormai 70enne, è stato giudicato in contumacia dall’Italia dopo il crollo della Jugoslavia. Ma viene assolto per “difetto di giurisdizione”. Sentenza incredibile perché, quando commise i suoi crimini, Fiume era ancora de jure sotto l’Italia. Lui ha ricevuto la pensione Inps fino alla morte. Il 10 febbraio serva almeno per ricordare i nomi delle sue vittime.