L'ULTIMO PARTIGIANO DI DONGO: "VI RACCONTO COME HO ARRESTATO IL DUCE"
Il mitico "Bill" che bloccò Mussolini in fuga: "Su quella vicenda, mezzo secolo di menzogne. Io volevo la rappacificazione già nel '45"
dal nostro inviato Mauro Suttora
San Germano (Vercelli), 18 giugno 1997
Non capita spesso di arrestare e uccidere un dittatore. Anzi, non succede quasi mai: soltanto Benito Mussolini e Nicolae Ceausescu, fra tutti i (numerosi) tiranni del nostro secolo, sono stati giustiziati. Così, in questo paesino fra le risaie vicino a Vercelli, vive un pezzo di Storia. Quella con la S maiuscola, che rimarrà scritta nei libri anche fra duecento anni.
Nel nostro caso la Storia si chiama Urbano Lazzaro, ha 72 anni, e una faccia simpatica a metà tra Frank Sinatra e papa Wojtyla. È lui il famoso «partigiano Bill", che alle tre e mezzo del pomeriggio del 27 aprile 1945 salì su un camion di soldati tedeschi in fuga a Dongo, sul lago di Como, riconobbe Mussolini che indossava una divisa dell'esercito di Hitler, lo disarmò, lo strappò ai nazisti incaricati di proteggerlo e lo arrestò "in nome del popolo italiano".
Lazzaro è l'ultimo sopravvissuto di quegli eventi drammatici e ancora misteriosi. Perché in realtà nessuno sa bene cosa sia successo nelle ore successive, fino alla fucilazione del dittatore e della sua amante Claretta Petacci.
Soltanto nel gennaio dell'anno scorso, infatti, il Pds ha messo a disposizione degli storici le carte del cosiddetto "memoriale Lampredi" conservate negli archivi del Pci.
E sempre nel '96, poco prima di morire, lo storico del fascismo De Felice avanzò l'ipotesi che siano stati gli inglesi ad ammazzare Mussolini, perché temevano che rendesse pubbliche le lettere segrete di plauso che gli aveva mandato Winston Churchill.
È materia che scotta, quindi, sulla quale sono stati scritti decine di libri. Quattro portano la firma di Lazzaro: il primo negli anni '60, l'ultimo (Dongo, mezzo secolo di menzogne) pubblicato appena due mesi fa negli Oscar Mondadori.
Ma solo adesso, 52 anni dopo quei tragici giorni, gli animi si sono placati al punto che perfino i post-fascisti di Alleanza nazionale hanno chiamato il partigiano Bill a tenere una conferenza, venerdì 13 giugno, nella loro sede di Vercelli.
«Ho invitato Lazzaro", ci spiega Lodovico Ellena, 40 anni, dirigente di An, professore di filosofia e vicepreside di un liceo scientifico a Torino, "perché erano anni che volevamo sentire la sua voce. Per la verità non pensavamo che accettasse. Invece, eccolo qui. Sono emozionato nel vederlo per la prima volta in faccia".
Siamo stati noi di Oggi, infatti, a combinare il primo incontro fra Ellena e Lazzaro nella casa di quest'ultimo, prima dell'evento di Vercelli.
L'imbarazzo è palpabile. Soprattutto da parte di Ellena, il quale non rinnega di avere militato nel Msi fin dai caldi anni '70, quando la politica fra estremisti di destra e sinistra si faceva a colpi di spranga e manganello. E quando per i giovani neofascisti come lui Mussolini era un mito.
Ellena non nasconde che la decisione di invitare il partigiano che distrusse il Mito, impedendogli di scappare in Svizzera o in Germania, e comunque di salvare in qualche modo la pelle, è stata sofferta: "Non tutti i soci del nostro circolo erano d'accordo. Curiosamente, però, a opporsi non sono stati i più anziani, che ricordano direttamente quei giorni, ma alcuni dei più giovani. Però la maggioranza è d'accordo con quest'atto di riappacificazione..."
Il vecchio partigiano Bill interrompe Ellena sul divano di casa sua, lo guarda fisso negli occhi e gli dice: "Il primo che ha voluto la pace sono stato io. E sa quando? Nel maggio 1945. Al funerale di un mio compagno partigiano ucciso dai fascisti, del quale avevamo riesumato la salma per dargli una normale sepoltura, io dissi queste solenni parole: 'Adesso che la guerra è finita, di fronte al mio compagno morto per la libertà chiedo a tutti di perdonare'. Ma molti non furono d'accordo con me".
Non solo molti non furono d'accordo con Urbano Lazzaro, il quale a soli vent'anni era stato eletto vicecommissario della Cinquantaduesima brigata Garibaldi, ma per il partigiano Bill che non ha mai voluto conformarsi alle 'verità di partito' i guai cominciarono allora.
"Già quando mi portarono via Mussolini, che era sotto la mia custodia, sentii puzza di bruciato", dice Lazzaro. "L'avevamo arrestato noi, e assieme a lui avevamo preso anche un tale che diceva di essere console della Spagna, sua moglie, i due figlioletti e una donna che non conoscevo. Poi mi dissero che il 'console' era Marcello Petacci, e che la donna era sua sorella Claretta. Ma mentre noi eravamo occupati a controllare che la colonna di nazisti non aprisse il fuoco, e che non piombassero su di noi reparti di camicie nere, Mussolini e la sua amante furono portati via dal municipio di Dongo, prima a Germasino e poi a Bonzanigo, dove passarono l'ultima notte".
I partigiani avrebbero dovuto consegnare Mussolini agli alleati, per un pubblico processo. Ma i capi milanesi dei partiti di sinistra (Sandro Pertini per i socialisti, Luigi Longo per i comunisti e Leo Valiani per gli azionisti) temevano che così Mussolini l'avrebbe in qualche modo fatta franca, e decisero di portarlo a piazzale Loreto per fucilarlo.
A Milano, però, arrivò solo il cadavere del duce. Non solo, ma secondo alcuni Mussolini e la Petacci furono ammazzati prima dell'esecuzione ufficiale a Giulino di Mezzegra. Ormai, mezzo secolo dopo, questi possono sembrare particolari irrilevanti. Ma può darsi che i partigiani siano stati preceduti dagli inglesi. Oppure che abbiano voluto giustificare l'uccisione di una donna, la Petacci, che aveva l'unica colpa di amare Mussolini.
"In ogni caso", ribadisce Lazzaro, "l'alto dirigente del Pci giunto da Milano col nome di battaglia di 'colonnello Valerio' per eseguire la condanna a morte non era Walter Audisio, ma Luigi Longo. Io l'ho visto, e la sua faccia me la ricordo bene".
Longo non avrebbe potuto ammettere la sua partecipazione, perché questo avrebbe pregiudicato la sua carriera politica: fu segretario nazionale del Pci dal '64, dopo la morte di Palmiro Togliatti, al '72, quando gli subentrò Enrico Berlinguer.
L'altro grande mistero è quello dell'"oro di Dongo": l'equivalente di 60 miliardi di oggi che il duce e i gerarchi avevano con sé. Lazzaro ripete di avere depositato le borse sequestrate a Mussolini alla Cariplo di Domaso (Como), e d'altra parte sia lui sia altri accusati di avere trafugato il tesoro sono stati assolti in un processo a Padova nel '57.
Buona parte di quella cifra finì probabilmente nelle tasche del Pci, che la investì fra l'altro per acquistare palazzi come quello dove oggi sta il cinema Arlecchino in via San Pietro all'Orto a Milano, o la tipografia romana dell'Unità.
Adesso il partigiano Bill ha detto la sua verità anche agli ex nemici. Ma i libri di storia aspettano ancora la versione ufficiale.
Mauro Suttora