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Sunday, October 20, 2024

Ghostbusters. Rizzo&Vannacci, acchiappafantasmi del politicamente corretto

Il Politicamente corretto, secondo la versione di Rizzo, è un manipolo di potenti dell'identità misteriosa ma dall'attività indefessa che ci impongono l'asterisco alla fine delle parole, il cappotto termico, e l'integrazione di milioni di immigrati che stanno demolendo pensioni, trasporti e sanità pubblica. Vannacci è ancora più apocalittico: "Il Politicamente corretto vuole distruggere la civiltà occidentale". Storia semiseria di una lotta esistenziale

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 20 ottobre 2024 

Dal Pci al Pc, l'ipercomunista Marco Rizzo è riuscito a trovare un terreno comune col generale Roberto Vannacci, ammiratore della Decima Mas fascista. Massimo nemico di entrambi ora è il Politicamente corretto, come ci hanno spiegato dal palchetto del teatro Rossini di Roma.

Invitati in strana coppia dall'associazione Meritocrazia Italia, si sono scagliati contro il "costrutto del Politicamente corretto", come lo chiama Vannacci, che impedirebbe a lui di definire "non rappresentativi dell'italianità" i cittadini di colore, e a Rizzo di protestare contro i vaccini obbligatori o gli aiuti all'Ucraina. 

Il Politicamente corretto, secondo la versione di Rizzo, è un manipolo di potenti dell'identità misteriosa ma dall'attività indefessa che ci impongono l'asterisco alla fine delle parole, il cappotto termico sulle nostre case, e l'integrazione di milioni di immigrati che stanno demolendo pensioni, trasporti e sanità pubblica. Vannacci è ancora più apocalittico: "Il Politicamente corretto vuole distruggere la civiltà occidentale". Nientepopodimeno. 

Ma "lui è generale mentre io solo caporalmaggiore", fa finta di schermirsi Rizzo, il quale invece si accontenterebbe umilmente di poter urlare libero e felice "viva la gnocca".

Per la verità questo simpatico filosovietico 65enne l'occidente lo vorrebbe distruggere pure lui da quasi mezzo secolo. Si iscrisse infatti alla corrente kabulista Pci di Armando Cossutta nel 1981 all'indomani dell'invasione dell'Afghanistan da parte dei tank di Leonid Breznev. E non ha mai smesso di prediligere l'esuberanza di Mosca nei confronti dei vicini, visto che oggi vuole smettere di difendere l'Ucraina. 

Pace, pace, invoca Rizzo. Si è eccitato ascoltando il generale filoPutin che l'ha chiesta pure lui nel suo primo discorso all'Europarlamento. Si è arrabbiato contro Carola Rackete, ora anch'essa eurodeputata ma di estrema sinistra, la quale invece vuole dare a Kiev il proprio cognome ('missile' in tedesco).

Questa degli alti ufficiali come Vannacci che vogliono la pace dopo che il nemico ti ha invaso e scaraventato i prigionieri in fosse comuni mi ha sempre incuriosito. Ricordo un certo generale Nino Pasti, gran pezzo di filosovietico e senatore Pci, che veniva con noi antimilitaristi a protestare contro i missili atomici Usa a Comiso, in Sicilia. Erano la risposta a quelli già installati dall'Urss, quindi noi per decenza chiedevamo pure a Mosca di toglierli. 

Invece certi generali Nato, che da pensionati diventano antiNato più dei preti spretati, sembrano odiare l'Occidente più del Politicamente corretto, e su Mosca zitti e mosca. Chissà quanto avranno sofferto nei loro decenni di servizio. O erano segretamente pronti all'alto tradimento in caso di guerra contro la "povera Russia circondata dai capitalisti"? 

"Noi militari siamo contro la guerra perché siamo gli unici a sapere cos'è", dice Vannacci con voce flautata e non marziale, quella che usa quando fa il pacifista. Ora, a parte che non si sa bene quali tremende guerre il nostro generalone abbia combattuto, perché ci risulta che grazie a Dio (e alla Nato) da quando lui è nato l'Italia non ne abbia avute; e ammesso che combattere è una triste necessità, e ovviamente anche i militari di carriera preferiscono evitare ogni screzio, come l'Unifil che in Libano si è fatta prendere per il naso da Hezbollah per 46 anni. Ma in ogni caso questa ci sembra una fallacia logica, come il netturbino che pretendesse di essere l'unico titolato a disquisire di spazzatura solo perché la tratta per professione.

Le due colombe della pace Rizzo e Vannacci hanno tubato assieme per mezz'ora a teatro, uno di quei teatrini d'avanspettacolo nel centro di Roma tipo Bagaglino. Poi il primo è tornato mesto alle sue percentuali da zero virgola che lo tormentano ogni volta che si presenta alle elezioni. Prima con la falce e il martello e ora, dopo aver litigato con tutti - Cossutta, Bertinotti, Diliberto - con Democrazia sovrana popolare. Mi raccomando il popolo, in rimpiazzo del defunto proletariato.

Il generale dei parac(adutisti?) è invece tornato nella sua trincea da 40mila netti al mese (lo stipendio di eurodeputato, fringe benefit compresi) a battersi contro il suo nuovo nemico: il Politicamente corretto. Entrambi hanno detto di contrapporre a questo sovrumano avversario, per giunta alleato col mainstream, concetti lieti e semplici come "buon senso" e "realtà". Sì, la stessa realtà che nel film 'La classe operaia va in paradiso' Gian Maria Volonté prendeva come scusa quando faceva cilecca con la povera Mariangela Melato rimasta insoddisfatta in auto: "Cosa pretendi? È la realtà".

Saturday, July 01, 2023

Rischio Gorizia per i giovani ucraini: quanti morti per ogni km liberato?

Un paragone con il prezzo pagato dall'Italia in vite umane dal maggio 1915 all'ottobre 1917. Che la loro superannunciata controffensiva si risolva in un'unica vittoriosa battaglia del Piave invece che in dodici dell'Isonzo

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 luglio 2023

Tre chilometri. Di tanto i soldati italiani riuscirono ad avanzare in due anni e mezzo della Grande guerra, dalle "radiose giornate" del maggio 1915 alla disfatta di Caporetto nell'ottobre 1917. Al prezzo atroce di 400mila morti e 300mila mutilati: una vittima ogni sette millimetri conquistati.

È questo l'incubo dei generali ucraini. Perché in cento anni le armi hanno fatto grandi progressi (chiamiamoli così): oggi ci sono tank, elettronica, droni. Ma alla fine, in tutte le guerre bisogna mettere gli stivali o i cingoli dei blindati nel fango. E i campi minati dai russi al di qua del fiume Dnipro sono più o meno gli stessi che gli austriaci minarono al di qua dell'Isonzo, e che falcidiarono una generazione di giovani italiani.

Soprattutto, attaccare costa molto più che difendersi. Allora come oggi. Agli ucraini è bastato giocare al tiro a bersaglio con i missili Javelin per distruggere le colonne di carri armati russi diretti a Kiev. Ma adesso per loro le strade verso Mariupol e Melitopol sono egualmente insidiose. Le parti si sono invertite, è arrivato il turno degli ucraini rischiare di fare la fine del piccione.

"Ogni metro, ogni giorno ci costa sangue", ammette con il Washington Post il generale Valery Zaluzhny, comandante in capo dell'esercito ucraino. Sa bene che ci vollero per esempio, nella Seconda guerra mondiale, due anni agli Alleati per liberare l'Italia nel 1943-45, ai sovietici per arrivare a Berlino; un anno dalla Normandia alla Germania.

Gorizia è un nome slavo, come quelli russi e ucraini. Significa "piccolo monte", collina. Per farla diventare italiana nell'agosto 1916 ci vollero sei offensive in un anno: sono le famose "battaglie dell'Isonzo" che ci hanno insegnato a scuola. In realtà carneficine che costarono ciascuna decine di migliaia di vittime all'Italia. I soldati austriaci erano la metà dei nostri ed ebbero metà dei morti. Non perché fossero più bravi, prudenti, coraggiosi o vigliacchi, ma perché appunto difendersi è più facile.

Subito dopo la conquista di Gorizia il comandante in capo Luigi Cadorna, dal suo tranquillo quartier generale nell'attuale liceo classico Stellini di Udine, lanciò altri centomila giovani militari alla conquista di Trieste. 
Non sapeva che il suo avversario generale Svetozar Borojević, serbo ma nato in Croazia e quindi cittadino austroungarico (Vienna era un impero modernamente multietnico, i nazionalisti allora eravamo noi), aveva costretto migliaia di suoi prigionieri di guerra russi a costruire fortificazioni invalicabili sul Carso. 

Gli austriaci, come i russi oggi, ricorsero anche all'allagamento: fecero esondare le acque dell'Isonzo captate dal canale Dottori a Sagrado (Gorizia), trasformando centinaia di ettari in acquitrini impraticabili per i fanti italiani. I quali uscivano dalle trincee solo per farsi falcidiare dalle mitragliatrici asburgiche. E se rifiutavano di andare verso la morte certa finivano giustiziati dai tribunali militari italiani. Così la nostra settima offensiva sull'Isonzo non riuscì a raggiungere neppure Duino. Al solito prezzo di 20mila morti.


Non ci credete? Guardate il film 'Uomini Contro' di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté, tratto dal libro 'Un anno sull'altipiano' di Emilio Lussu, padre della Repubblica. Oppure visitate il Parco tematico della Grande Guerra a Monfalcone (Gorizia) e il cimitero di Redipuglia, per comprendere la grande assurdità della guerra.
Perché dopo quelle sette battaglie dell'Isonzo ce ne furono altre cinque, tutte egualmente sanguinose e inutili. Due anni dopo invece ne bastò una, partita di slancio dal Piave nell'ottobre 1918, per vincere il conflitto.


Dopo l'effimera liberazione del 1916 Gorizia cambiò padrone ben sette volte nei successivi trent'anni (record mondiale): austriaci dopo Caporetto, italiani dopo il Piave, jugoslavi nel 1943, poi tedeschi, di nuovo jugoslavi, nel '45 angloamericani, infine divisa a metà nel '47 fra Italia e Jugoslavia (dal 1991 Slovenia).

Auguriamo agli ucraini che la loro superannunciata controffensiva si risolva in un'unica vittoriosa battaglia del Piave invece che in dodici dell'Isonzo. Auguriamo ogni male a Vladimir Putin, che con la sua aggressione ha riportato l'Europa indietro di cent'anni. Ma il rischio Gorizia per i giovani ucraini rimane.