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Friday, July 03, 2020

intervista a Ennio Doris

"Altro che Covid, il problema d'Italia è il fisco". Parla il fondatore di Banca Mediolanum: “Abbiamo le tasse più alte d’Europa. Per molti le imposte sono un mezzo per ridistribuire la ricchezza, ma è un concetto superato, novecentesco. La leva fiscale è fondamentale per favorire gli investimenti"

Mauro Suttora
3 luglio 2020, Huffington Post

“Questo virus ci ha cambiato la vita, non lascerà niente come prima. È una rivoluzione. Dobbiamo immaginare un’organizzazione nuova per le nostre aziende, ma anche per tutta la società. Bisogna cambiare mentalità”. 
Il 3 luglio Ennio Doris compie 80 anni. Quasi 40 anni fa ha fondato quella che oggi è Banca Mediolanum, 4 miliardi di fatturato, mezzo miliardo di utili. Lo incontriamo nella sua casa di Porto Rotondo (Olbia), dove è arrivato pochi giorni fa. I tre mesi di lockdown li ha passati in montagna: si trovava lì coi nipoti in settimana bianca all’inizio dell’epidemia.
 
“Fortunatamente noi eravamo preparati all’emergenza, perché siamo una banca senza sportelli. I nostri principali investimenti sono stati in laptop, visto che l′86% dei nostri 2.400 dipendenti ha lavorato da casa. Nella sede di Basiglio (Milano) sono rimasti in 300”.

Il trionfo dello smart working.
“Non lo chiamerei smart working, è diverso. Si può stare a casa, ma lavorare anche in sede, a seconda del lavoro e dei ruoli. Magari tre giorni a casa e due in ufficio. Quindi basta postazioni fisse e computer da tavolo, non spostabili”.

Ci saranno meno contatti personali.
“Al contrario, in questi tre mesi per noi incontri e riunioni si sono moltiplicati. Abbiamo parlato con 400mila clienti, vedendoci in faccia sugli schermi dei nostri telefonini e computer. Molti hanno scoperto programmi e app per le conversazioni che neanche sapevano di avere, sui propri cellulari. Siamo tutti collegati, meglio di prima, perché le distanze sono annullate: non occorre più che ci spostiamo. Eliminati gli sprechi di tempo in auto. La nostra struttura commerciale di 5mila persone in Italia, Germania e Spagna ora lavora tutta in remoto. Al ritorno della normalità prevediamo che almeno il 60% continui a farlo”.

È successo tutto molto in fretta.
“C’è stata un’enorme accelerazione. Aziende come la nostra hanno impiegato tre settimane a effettuare cambiamenti dell’organizzazione del lavoro per i quali normalmente ci sarebbero voluti tre anni. La spinta è venuta dai consumatori, che chiusi in casa avevano come unico mezzo la tecnologia, le videochiamate, zoom, facetime. È stato il mercato, spontaneamente, a provocare questa esplosione del digitale. Ormai noi lavoriamo al 95% così, solo il 5% è su carta. Abbiamo riorganizzato tutti gli spazi interni nei nostri uffici. Esperti e medici ci hanno consigliato non solo su come rispettare le distanze fra le scrivanie, ma soprattutto come ripensare i luoghi di passaggio. Ora con i sensi unici neanche ci sfioriamo”.

Quindi, paradossalmente, il virus ha avuto effetti positivi. 
“Per carità, questa pandemia ha provocato danni pazzeschi, morte, lutti. Anche noi abbiamo perso due dirigenti, di 50 e 60 anni. Uno stava guarendo, ma è morto per un’infezione contratta in ospedale. C’è stata una grande solidarietà dei colleghi per le famiglie, abbiamo assunto due loro figli”.

Però sulle prospettive economiche lei è ottimista.
“Per noi il lavoro è aumentato. All’inizio i clienti erano tutti spaventati, il mercato era crollato del 35%, c’era paura per i risparmi. Tv e giornali davano previsioni catastrofiche. Quando i clienti ci hanno contattato li abbiamo rassicurati, in alcuni casi abbiamo rovesciato il loro stato d’animo. Abbiamo spiegato che, così come si può tenere il virus fuori dalla porta, anche gli investimenti si possono proteggere. I nostri consulenti hanno fatto un lavoro straordinario, abbiamo organizzato tavole rotonde online con esperti. Il risultato è che, come raccolta totale, abbiamo già raggiunto i risultati dell’anno”.

Non va così bene a tutti. Crolleranno gli spazi per uffici e le attività connesse.
“Sì, ma aumenteranno i servizi a casa. Anche chi lavora dal proprio appartamento ha bisogno di assistenza logistica, e non solo per i computer. Nasceranno altri lavori, o si modificheranno. Il ristorante sotto la nostra sede si è convertito alle consegne a domicilio, al catering. Ma il vero problema è culturale”.

In che senso?
“Da sempre le crisi producono sferzate. Il problema dell’Italia è il fisco. Abbiamo le tasse più alte d’Europa sul lavoro e sulle imprese. Molti vedono ancora il fisco come un mezzo per ridistribuire la ricchezza. Ma è un concetto vecchio, superato, novecentesco: tassa e spendi, tassa la massa”.

E invece?
“Invece il fisco è lo strumento più efficace per la politica economica. È indispensabile per pagare i servizi, ma è fondamentale anche per indirizzare l’economia. Vuoi stimolarla? Abbassa le tasse sulle imprese. Vuoi aumentare i consumi? Abbassa l’Iva. Molti politici non si rendono conto di quanto è importante la leva fiscale per favorire gli investimenti a breve e medio termine”.

Il virus ha resuscitato lo statalismo. Tutti a chiedere sussidi, bonus e redditi di cittadinanza.
“Lo slogan ‘Nessuno deve restare indietro’ è giusto. Ma l’unico modo per farlo è creare lavoro. La gente vuole lavorare, non vivere di elemosina. E il lavoro lo creano le imprese”.

Invece i populisti amano lo stato che aiuta tutti. E hanno la maggioranza assoluta in Parlamento: grillini, leghisti, Fratelli d’Italia.
″È da sessant’anni che lavoro, ho visto l’Italia del boom, e la gente non è cambiata. Abbiamo sempre tanta voglia di fare. Non mi preoccuperei per le maggioranze parlamentari. In fondo, quando il Psi era filosovietico quanto il Pci e dall’altra parte c’era il Msi, le forze antisistema sfioravano il 50% anche allora. I partiti di governo hanno avuto sempre il problema di allargare la base democratica. Il Psi conservò una visione primitiva anti-imprese anche nel centrosinistra degli anni ’60. Il risultato fu che crollarono gli investimenti in Borsa”.

Non si sono mai granché ripresi, in Italia.
“Le imprese Usa si finanziano soltanto per il 30% con le banche, le italiane per il 90%. Non abbiamo mercato finanziario, siamo bancocentrici. Gli imprenditori americani quando investono fanno aumenti di capitale, agli italiani invece tocca andare a chiedere soldi in banca con le garanzie”.

Detto da un banchiere come lei...
“Le banche possono fare tante cose, oltre che prestar soldi alle imprese: collocare aumenti di capitale, gestire il risparmio. La principale banca Usa vale quanto le dieci più grandi banche europee”.

Il governo ha accusato le banche di essere lente nell’erogare i fondi previsti dai decreti.
“Per i finanziamenti da 25mila euro ci volevano cinque documenti. Se le aziende richiedenti ce li facevano avere in regola, noi ci mettevamo tre ore a evadere la pratica. Che poi però andava alla commissione governativa del Fondo di garanzia. La quale all’inizio si riuniva una volta al mese. E se c’era una virgola che non andava, la pratica tornava indietro. Poi la commissione si è riunita due volte al mese. Ora due volte a settimana, otto al mese. E le cose procedono”.

Lei è l’unico veneto favorevole al Ponte sullo Stretto.
“Il problema del Sud lo si risolve avvicinandolo al Nord. È assurdo che arrivando in Sicilia ci si metta ore per attraversare un piccolo braccio di mare. Il ponte può essere costruito con fondi privati, come il Tunnel sotto la Manica”.

Squilla il telefono. È don Davide Banzato, il prete presentatore tv vicino alla comunità Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante. “Don Davide, posso richiamarti fra un quarto d’ora?”, gli dice Doris. E conclude l’intervista raccontandomi la vita di Chiara Amirante, che non conoscevo. Ma questa è un’altra storia.
Mauro Suttora