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Thursday, March 16, 2023

Sequestratori, piromani, usurai: cosa ci insegnano sugli scafisti



Come spezzare il legame perverso che rende complici i trafficanti e le loro vittime? Per affrontare pragmaticamente la questione possono soccorrerci alcuni esempi

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 16 marzo 2023


Davanti al dramma dell'immigrazione irregolare sono inutili gli opposti estremismi (accogliamoli, blocchiamoli tutti), e le reciproche retoriche. Neanche Matteo Salvini parla più di rimpatri: troppo costosi, complicati, crudeli. E Giorgia Meloni ha abbandonato i proclami sui respingimenti. Ma il problema resta: come spezzare il legame perverso che rende complici i trafficanti e le loro vittime? Per affrontare pragmaticamente la questione possono soccorrerci alcuni esempi.

Negli anni '70-'80 vennero sequestrati 700 italiani, e pagati riscatti per circa 800 miliardi di lire. Una vera e propria industria, fiorente soprattutto in Calabria e Sardegna. Che però finì dopo che una legge del 1991 bloccò i beni alle famiglie dei sequestrati, impedendo loro di pagare i riscatti. Fu così spezzato l'interesse comune che univa estorsori e ricattati. 

Anche allora, come oggi, la priorità spontanea, immediata, era quella di "salvare vite umane". Quindi in molti protestarono per la drastica misura. Ma la terribile regola "non si tratta con i banditi" finì per annientarli, così come i brigatisti rossi furono sconfitti dopo il "non si tratta con i terroristi" che sacrificò Aldo Moro.

E allora: come si fa oggi a non sottostare ai ricatti dei mafiosi libici, turchi, tunisini? Bloccandoli alla partenza. Una volta che barche e barconi sono in mare, è già troppo tardi. Ma per avere l'energia di farlo bisogna innanzitutto divincolarsi mentalmente dal cosiddetto "trucco del piromane". Ecco il secondo esempio. Perché è evidente che l'urgenza assoluta, di fronte a incendi appiccati per i più vari motivi (rendere edificabili zone verdi, coltivabili zone boschive), è quella di spengerli. 

Tuttavia, per non trasformare i pompieri in forzati di Sisifo, nonché ong e guardie costiere in operatori eterni sulla seconda tratta della tratta, occorre anche qui agire alla radice. Quindi a Tripoli, Bengasi, Smirne, Sfax. Non in mare, dove possiamo soltanto trasbordare e salvare. E importa poco che si tratti di emergenze artificiali, create a bella posta dai trafficanti.

Terza similitudine: le vittime dell'usura. Anche loro spesso spinti dalla disperazione. In mancanza di banche che prestino soldi, si affidano ai mafiosi. Così come i migranti, i quali scelgono la via clandestina in mancanza di consolati che concedano visti. Esistono però i reati di usura e di immigrazione clandestina, proprio per colpire chi approfitta di queste disperazioni.

La differenza è che i taglieggiati dagli strozzini non vengono puniti, così come le prostitute sfruttate dai protettori o i drogati avvelenati dagli spacciatori; mentre i clandestini diventano tali nel momento in cui mettono piede in Italia (reato bipartisan, perché introdotto dalla legge di sinistra Turco-Napolitano nel 1998 e solo aggravato con la misura dell'arresto dalla legge di destra Bossi-Fini nel 2002).

Anche qui, però, il problema sostanziale rimane: come spezzare la complicità diabolica fra strozzini e strozzati, così simile a quella fra migranti e trafficanti? Non illudiamoci che la soluzione stia nella parola magica "corridoi umanitari", ora tanto amata e pronunciata in automatico dai politici. 

Le associazioni antiusura vi dimostreranno che anche allargando le maglie dei fidi bancari ci sarà sempre qualcuno in cerca di prestiti. Così come anche con quote più generose di immigrazione legale ci saranno sempre esclusi che correranno il rischio di quella illegale.