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Wednesday, July 12, 2023

La grande fortuna di non essere giudici in un caso di stupro

Ho seguito il processo al figlio di Beppe Grillo, e non vorrei essere nei panni di chi dovrà decidere se uno è stupratore o calunniato, l’altra vittima o calunniatrice, senza vie di mezzo. Storie andate di bevute in frasca e amori consumati sull’inglese dei Rolling Stones

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 12 luglio 2023

"Mi hai stuprato. Ti denuncio".


"Ieri sera alla festa? Ma dopo l'amore abbiamo parlato. Mi sembravi contenta".


"Ero ubriaca".


"Anch'io".


"Hai approfittato di me".


"Ma se mi hai mormorato 'Come on!'"


"Appunto".


"'Come on' vuol dire 'Dai, forza, vai avanti'"


"Neanche per sogno. Significa 'Dai, smettila, fermati'".

Nel 1976 frequentavo l'ultimo anno di liceo (high school) a Madison, Connecticut (Usa) grazie agli scambi Intercultura/Afs. "You raped me, I'll sue you", mi minacciò l'incantevole Cheryl, compagna di scuola. Eppure ero convinto che nella loro canzone "Come On" i Rolling Stones fossero stati chiari: si trattava di un esplicito invito. "And I don't mean maybe", aggiungeva Mick Jagger, "non voglio dire forse". La mia rudimentale conoscenza dell'inglese si basava sui testi rock, e comunque alla fine la graziosa mi graziò. Ma per qualche giorno fu un incubo. 

Per questo non vorrei mai essere un giudice che deve decidere su certe denunce di violenza sessuale assai scivolose. In cui si fronteggiano due versioni indimostrabili dell'intimità più intima, senza testimoni. La mia parola contro la tua.

Lo dimostra il processo surreale che si trascina da ben quattro anni a Tempio Pausania (Sassari) per lo stupro di gruppo di cui è accusato Ciro Grillo, figlio di Beppe. Lo seguo con acribia, è più complicato di un giallo di Agatha Christie. L'ultima udienza si è tenuta lunedì, la prossima il 22 settembre. Ormai ci siamo assuefatti, ci sembra normale che in Italia ogni volta le corti si aggiornino non a domani, come nei film, ma dopo due-tre mesi. La scusa è che "le parti e il collegio giudicante devono avere il tempo di studiare gli atti acquisiti". Eppure il processo Johnny Depp/Amber Heard si è risolto in un mese e mezzo. 

Invece fra registrazioni, video, foto, chat, testimonianze e relazioni, i consulenti hanno inondato i magistrati di Tempio con materiale informatico misurabile non in giga, ma in terabyte. Miliardi di bit, migliaia di pagine di trascrizioni. Un esercito di avvocati, perché i giovani imputati sono quattro e ognuno ne ha nominati due. I genitori dell'accusatrice hanno ingaggiato Giulia Bongiorno, senatrice leghista, ex ministra. A ogni udienza eccoli arrivare tutti in aereo a Olbia da Genova, Roma, Milano con i loro assistenti e valigie colme di hard disk, per poi trasferirsi nel cuore della Gallura fra i boschi di querce da sughero.

Tanto dispiegamento per accertare se in quella notte del luglio 2019 a Porto Cervo, dopo il Billionaire, la ragazza era abbastanza consenziente o troppo ubriaca per un rapporto sessuale. Così, avanti col filmato della telecamera di sorveglianza di un tabaccaio di Abbiadori dove la giovane andò in auto la mattina dopo accompagnata dagli stessi suoi presunti stupratori per comprare le sigarette. Che espressione aveva il suo volto? Tranquilla, disperata, arrabbiata? E poi il testimone istruttore di kitesurf a Porto Pollo con cui aveva appuntamento il giorno dopo per una lezione: "Era stordita, mi disse che aveva fatto una cazzata, aveva bisogno di parlarmi". I talk tv gli hanno offerto soldi per invitarlo, l'Arena di Massimo Giletti ha mostrato un suo video gratis in cui il 45enne geme: "Mi sento violentato anch'io da questo assedio mediatico".

Ai tre poveri giudici prima o poi toccherà emettere una sentenza. Che inevitabilmente trasformerà Ciro e i suoi amici in mostri o martiri, e la ragazza in vittima o calunniatrice. Niente vie di mezzo. Intanto però i loro genitori – tutti – sono accomunati dal salasso di centinaia di migliaia di euro in spese legali. Poi l'appello, poi la Cassazione. E ci si meraviglia che l'accusatrice di Grillo junior abbia fatto passare otto giorni prima di denunciarlo, e quella di Leonardo Apache La Russa 40 giorni?

Se io venissi violentato andrei in commissariato nel giro di due ore, subito dopo la perizia in ospedale. Ma è comprensibile che le ragazze ci mettano giorni prima di realizzare appieno, o che le famiglie ci pensino mille volte prima di imbarcarsi in un costoso calvario pluriennale. Forse la sfortuna di Ciro e Apache è stata quella di (far) finire a letto (con) figlie di benestanti. Perché là fuori, dopo ogni discoteca, in tutte le notti italiane, quante sono le ragazze stuprate o costrette al sesso da figli di papà, ma senza genitori con le spalle abbastanza larghe e le tasche così capienti da potersi permettere avvocati al livello della Bongiorno?

Noialtri provinciali, che siamo dovuti emigrare da Udine fino in America per fare l'amore a 17 anni, non correvamo questi rischi. Possiamo solo ringraziare le bottiglie di Verduzzo fatte bere alle nostre stupende coetanee friulane in osteria o in frasca. Ci hanno aperto varie porte verso il settimo cielo. Un mio amico calcolò scientificamente che occorreva arrivare a due-tre bicchieri per superare la riluttanza, ma mai oltrepassare il quarto perché subentrava il sonno. Era questo il nostro limite, il confine invalicabile fra disinibire e drogare che salvava l'innocenza: era inconcepibile far sesso con una ragazza a sua insaputa. 

D'altronde, quale gusto perverso può esserci nel possedere un corpo inerte, a parte ogni considerazione giuridica sulla mancanza di libero consenso? E chi cianciava di "vis grata puellae" era considerato burino, troglo. Sfigato, soprattutto, perché non riusciva a 'conquistare' con baci e carezze con-vincenti. Eravamo tutti belli brilli, certo, la mattina dopo qualcuna faceva finta di non ricordare bene se si era spinta troppo in là. Certi rimediavano fidanzandosi. Abbiamo cominciato a regalar soldi ad avvocati e a intasare tribunali solo molti anni più tardi, dopo sposati e separati.

Saturday, October 09, 2004

Zalmay Khalilzad

Se per la prima volta in 5 mila anni Kabul elegge il presidente, molto del merito va all'afghano d'America

di Mauro Suttora

Il Foglio, sabato 9 ottobre 2004

New York. Nel 1968 un afghano diciassettenne
sbarcò negli Stati Uniti con una
borsa di studio Afs (American Field Service).
Frequentò l’ultimo anno di high
school, giocò a pallacanestro, s’innamorò
dell’America, ma poi dovette tornare a Kabul
a finire il liceo. Zalmay Khalilzad però
era così fissato con gli Usa e il basket che
riuscì a convincere i genitori a iscriverlo a
un’università a stelle e strisce. Unico compromesso:
quella più vicina a casa. L’American
University di Beirut, quindi.

Intanto gli era cresciuta la barba, Nixon gli
era antipatico, contestava. Ma studiava,
era bravo, e quindi eccolo sbarcare all’università
di Chicago: dottorato in scienze
politiche. Basta basket, e amicizia con
Paul Wolfowitz fresco di Ph.D. Ma quando
nel ’79 ci arriva lui, al Ph.D., i sovietici invadono
l’Afghanistan. Così Zalmay agguanta
un posto di assistant professor alla
Columbia e rimane negli Usa. Diventa un
esperto prezioso per l’Amministrazione
Reagan, che negli anni 80 arma la resistenza
anticomunista dei mujaheddin.

Consulente del dipartimento di Stato, fonda
il Centro per gli studi mediorientali alla
Rand Corporation e diventa vicesegretario
alla Difesa nel ’91, quando Dick Cheney
è capo del Pentagono. Durante una cena
ufficiale del dicembre ’97, a Houston,
Khalilzad litiga con il ministro della Cultura
talebano. Spinto da sua moglie, la
scrittrice femminista austriaca Cheryl Benard,
gli contesta il carcere per le donne
senza burqa. Quello si mette a citare il Corano,
Zalmad alza la voce e cambia idea:
coi talebani non si può trattare, bisogna
combatterli. Peccato che Michael Moore,
che ha inserito nel suo “Fahrenheit 9/11”
immagini di quella delegazione afghana
invitata in Texas dalla Unocal per il progetto
di un oleodotto, non abbia filmato
anche lo storico alterco.

Intanto Khalilzad, insieme a Cheney, Rumsfeld, Fukuyama,
Forbes, Kagan, Podhoretz, Armitage, Bolton,
Kristol, Perle, Woolsey e tanti altri, firma
gli appelli del Pnac (Project for the
New American Century) per la promozione
delle libertà politiche nel mondo e il ripristino
della leadership militare degli
Stati Uniti. Con la vittoria di Bush torna al
Pentagono da consulente, e dopo l’11 settembre
2001 passa all’azione. Coordina la
parte politica della campagna d’Afghanistan,
poi si occupa anche un po’ d’Iraq, ma
alla fine si concentra su Kabul come plenipotenziario
presidenziale. Un anno fa
viene nominato ambasciatore. E oggi può
festeggiare: per la prima volta in cinquemila
anni, come scrive lui stesso in un editoriale
sul Wall Street Journal, i suoi compatrioti
eleggono direttamente il loro capo dello Stato.

“Su dieci miglia ne abbiamo percorse tre”

Raggiungiamo Khalilzad in videoconferenza
da New York. E’ ottimista, ma guardingo:
“Ci vorranno come minimo altri
cinque anni di nostra presenza qui per ricostruire
la nazione e lo stato di diritto.
Forse anche di più: direi che su un cammino
di dieci miglia ne abbiamo percorse
tre”. Il che vuol dire sette anni.

Non vuole fare propaganda, ammette: “I signori
della guerra, i potentati locali, l’oppio, il
controllo del territorio non completo: tutto
vero. Ma questa è una battaglia che
dobbiamo vincere, e resteremo qui tutto il
tempo che occorre per vincerla. I nostri
nemici non s’illudano. Tre milioni di profughi
sono tornati, altre centinaia di migliaia
parteciperanno alle elezioni, se ne
sono registrati 700 mila solo in Pakistan.
La stragrande maggioranza della gente è
felice della nostra presenza qui, sperano
in un futuro di tranquillità e prosperità
dopo un quarto di secolo di disastri. Questa
volta non li abbandoneremo. Non ripeteremo
l’errore della metà degli anni
90, quando ce ne andammo e lasciammo
che nel vuoto di potere s’installassero gli estremisti”.

Gli oppositori di Bush lo definiscono
vicerè e proconsole, dicono che
il presidente Hamid Karzai non conta, è
una sua marionetta, e che è lui il vero capo
dell’Afghanistan. “Saranno i dieci milioni
di afghani che si sono registrati e
che voteranno liberamente a scegliere il
loro presidente. Certo, in Afghanistan c’è
ancora bisogno dei soldati della Nato e
degli Stati Uniti per mantenere la pace.
Ma le cose migliorano. Capisco anche i nostri
nemici, capisco che ci vogliano attaccare
sanguinosamente in questo periodo,
perché se riusciamo a far funzionare le
cose qui sarà un fatto rivoluzionario per
tutta l’area dal Marocco al Pakistan. Avremo
ancora giorni difficilissimi davanti a
noi. Ma ce la faremo”.

Mauro Suttora

Saturday, July 19, 1986

I giovani Usa giudicano l'Italia

"Siete dei romantici razzisti"

Romantici come chi conosce il mestiere di vivere . Razzisti con il Sud peggio degli yankee con i negri . Scopriamo quale ritratto di noi riporta negli Usa un gruppo di ragazzi che ha vissuto un anno di scuola nel Bel Paese con i programmi di scambio Afs/Intercultura

di: Suttora Mauro

L'Europeo, 19 luglio 1986

I paninari ? Li odio , li odio tutti , sono stupidi , materialisti , vuoti . Quelli della mia scuola sono andati avanti per tre mesi a parlare delle loro scarpe , dei negozi dove era meglio andare a comprarle , dei vestiti , di Burghy . . . " .
A vederlo camminare per Milano , il diciassettenne Noah Elkin potrebbe essere un bellissimo paninaro . Paninaro doc : capelli corti , viso pulito e abbronzato , orologio colorato Swatch al polso . Ma doc soprattutto perche' Noah e' un americano purosangue del Massachusetts , con la mascella larga e gli occhi verdi . E invece no : questo tipico ragazzo dell' impero Usa disprezza i ragazzotti della provincia Italia che si dannano per assomigliare un po' di piu' agli americani .

Sono ritornati a casa all' inizio di luglio Noah e gli altri 50 giovani statunitensi che hanno passato quest' anno scolastico in Italia con una borsa di studio dell' associazione Intercultura . Eta' media 17 anni , hanno frequentato il terzo anno di scuole e licei sparsi in tutta la penisola , cosi' come piu' di 200 loro coetanei italiani hanno passato 12 mesi in famiglie e high school degli Stati Uniti .

Intercultura e , piu' in piccolo , Afsai (Associazione formazione scambi e attivita' interculturali) e Experiment international living sono le uniche organizzazioni che permettono a liceali di tutto il mondo di andare all' estero per dodici mesi senza perdere l' anno di scuola nel proprio paese (vedere il riquadro a pag . 28) .
Cosi' , ogni estate c' e' un andirivieni di migliaia di teenager che attraversano gli oceani (e in particolare l' Atlantico , perche' gli scambi Stati Uniti Europa occidentale rappresentano la grande maggioranza del totale) per andare a sperimentare un anno di vita normale all' estero , ospiti di scuole e famiglie .

È un momento particolare nei rapporti fra Italia e Stati Uniti . Nell' ottobre scorso l' Achille Lauro e il quasi scontro fra carabinieri e marines a Sigonella ; in dicembre l ' attentato a Fiumicino ; in marzo la " piccola guerra " della Sirte fra le navi americane e la Libia ; in aprile , infine , il bombardamento di Tripoli ordinato da Ronald Reagan . In mezzo , tante incomprensioni piccole e grandi fra i governi di Roma e Washington .
Risultato finale : l' ostracismo decretato dai turisti americani verso l' Italia e l' Europa , un po' per paura dei terroristi palestinesi , un po' per punire la " mollezza " degli alleati . Vacanze disdette , aerei semivuoti , accuse di opportunismo pacioso da una parte e controaccuse di rambismo sfrenato dall' altra .
Anche gli scambi culturali giovanili sono stati colpiti dalla " paura d' Europa " che pervade l' America : le universita' statunitensi hanno dovuto cancellare molti " stage " estivi a Roma , Venezia e Firenze per il forfeit dei partecipanti .

" Noi invece non abbiamo risentito di queste paure " , assicura Roberto Ruffino , segretario generale di Intercultura , " perche' i nostri programmi sono di durata piu' lunga , da due mesi a un anno , i partecipanti sono molto motivati , vivono in famiglia e ricevono un' adeguata preparazione e assistenza " .

Ma come hanno vissuto quest' anno un po' particolare i giovani americani ospitati in Italia ? " L' unica cosa che mi e' dispiaciuta " , rivela Noah , che a Milano e' stato ospitato dalla famiglia di un funzionario dei Cigahotels , " e' stato quando alcuni giovani hanno bruciato in piazza la bandiera americana durante la manifestazione dopo l' attacco di Tripoli " .
Fino ad allora Noah aveva partecipato con entusiasmo a tutti i cortei dei ragazzi dell' 85 : " E stata un' esperienza bellissima , sono andato anche alla dimostrazione di Roma in novembre . Negli Stati Uniti gli studenti non fanno piu' manifestazioni " . Pero' subito aggiunge , con concretezza americana : " Peccato che non abbiamo raggiunto alcun risultato : a gennaio era tutto gia' finito , e la Falcucci e' ancora li " .

Anche Sarah Riegle , come Noah , ha passato l' anno al liceo scientifico Vittorini di Milano , con tanto di occupazioni e cortei . E quella manifestazione di aprile contro Reagan e' stata l' unica a cui non e' voluta andare : " Era troppo sbilanciata , avrebbe dovuto essere contro tutti e due , Stati Uniti e Libia . Anch' io comunque ero molto arrabbiata con Reagan , e adesso che ritornero' a casa , a Flint nel Michigan , penso che litighero' con mio padre , che e' un repubblicano ultraconservatore . Lui non lo sapeva , ma il padre della famiglia che mi ha ospitato qui , un dirigente d' azienda , era comunista e portava sempre a casa l' Unita' , oltre al Corriere della Sera . Per chi voterei in Italia ? Mah , tutti questi partiti mi confondono . Forse a sinistra , ma non per i comunisti . Negli Stati Uniti sara' un problema : io sono d' accordo con Reagan per la politica interna , per quella estera no "

E' difficile trovare nelle high school americane ragazzi di buona cultura come quelli che abbiamo incontrato . Ma , in confronto con le degradate scuole italiane , quelle americane suscitano rimpianto , se non altro per le strutture : " Li' possiamo stare a scuola al pomeriggio e fare sport , teatro , musica " , spiega Eugenie Seifer , dal New Jersey a Milano . " Poi alla sera ci sono le ' ' high school dances' ' e gli spettacoli . Invece qui bisogna stare cinque ore tutti nella stessa aula al mattino e poi via , ognuno per conto suo a casa a fare i compiti . La scuola italiana e' pesantissima e non favorisce l' amicizia , non c' e' l' orgoglio di stare in una scuola e di fare il tifo per la propria squadra " .

" E un sistema arcaico " , rincara Noah , " per esempio in fisica non abbiamo imparato quasi niente perche' non abbiamo mai fatto esperimenti , e perche' per due mesi il prof ha continuato a interrogare , senza andare avanti col programma . Invece da noi un giorno si fa un test scritto , e basta . Certo , anche le interrogazioni hanno i loro pregi , insegnano a fare un discorso . Ma non bisogna esagerare " .

" Pero' qui si studia filosofia , da noi no " , dice Sarah . " Il mio professore era un dio , ho imparato moltissimo sulla Grecia e su Roma antica " .
Heidi Steinmetz , che viene dalla Silicon Valley californiana , culla dei computer , se la prende soprattutto con le cose da imparare a memoria : " E importante soprattutto esprimersi e pensare , perche' con l' invenzione del computer non serve piu' memorizzare per poi dimenticare i fatti e le date " .

L' immagine tipica dell' Italia , fra i giovani statunitensi , e' ancora quella portata in America dagli emigranti del Sud contadino . " Ma e' un problema reciproco : lo stereotipo dell' Italia per noi e' il Sud , mentre per molti di voi tutta l' America e' Dallas " , nota Mark Johnson , dal Connecticut a Biella .
Dice Noah : " Andare al Sud per me e' stata un' esperienza stupefacente : l' Italia e' veramente divisa in due , e il Sud rappresenta sul serio un altro mondo , totalmente diverso . Sono rimasto affascinato dalla varieta' dei dialetti , diversi dappertutto : dimostrano tutti i millenni di storia che si porta dietro l' Italia , e che ho studiato con enorme interesse . Ma il problema principale del vostro paese , secondo me , e' proprio la disparita' fra Nord e Sud , che andrebbe risolta al piu' presto " .
Sarah : " Appena arrivata l' anno scorso mi hanno portato due settimane in Puglia , e li' la vita e' veramente lenta come immaginavo che fosse in tutta Italia . E ho perfino incontrato qualche tipica mamma italiana che dice ai figli ' ' Mangia gli spaghetti' ' . . . " .

June Sample ha passato un anno a Treviso , e denuncia : " Per uno straniero che va a vivere nel Veneto la prima cosa che colpisce e' il clamoroso pregiudizio , a volte perfino l' odio , dimostrato da parte dei veneti contro le famiglie di immigrati dal Sud . C' e' una vera e propria separazione sociale , e qualsiasi contatto reciproco fra i gruppi e' scoraggiato , specialmente quando si tratta dei rapporti fra i giovani " .
Conferma Sarah : " E vero , al Nord c' e' molto razzismo verso i ' ' terroni' ' : quando la mia classe e' andata in gita scolastica in Umbria non abbiamo mai parlato con una classe di napoletani che stavano nello stesso albergo . Anche da me a Flint il 70 per cento della popolazione e' nera , ma i piu' simpatici e popolari a scuola sono proprio i giovani di colore".

I giovani Usa descrivono le abitudini degli italiani con distacco quasi antropologico . Un luogo comune che non e' stato intaccato , ma anzi e' uscito rafforzato dal loro anno in Italia , e' la " dolce vita " . Dice Heidi : " La vita qui e' molto piu' tranquilla . Non voglio dire che gli italiani non lavorino e siano pigri , ma danno molta importanza ai rapporti umani e al vivere senza fretta e furia . Per esempio , anche durante il lavoro scambiano spesso due parole su argomenti personali , sulla famiglia o sulla salute . Per voi sono importantissime anche le piccole cose quotidiane : bere un caffe' in un bar , leggere il giornale , comprare il pane , il latte , la verdura . . . Anche nel tempo libero vi accontentate di piccole cose : fare una passeggiata di sera in centro , mangiare e parlare con gli amici , riposare . Da noi e' molto diverso , perche' pensiamo che non fare cose importanti sia uno spreco di tempo .
" Questo vale soprattutto nello sport " , continua Heidi : " Gli italiani preferiscono vedere le partite piuttosto che giocarle . I giovani non fanno molto sport , soprattutto perche' sono molto impegnati con lo studio . Il tempo libero non lo trascorrono in attivita' organizzate : preferiscono stare con gli amici , e questo significa ' ' andare in giro' ' . In pizzeria , in un bar o in un posto fisso all' aperto si divertono molto anche senza far niente di preciso , a loro basta ridere e scherzare . Spesso neanche alle feste ci sono giochi o balli organizzati , ma i giovani si divertono lo stesso fra loro , senza alcol o droga come in America " .

" Si " , conferma Karla Shreckengaust , da Kansas City a Biella , " perche' da noi non si puo' bere fino a 21 anni , pero' i ragazzi bevono lo stesso e si ubriacano spesso . Qui e' meglio : si puo' bere , e non ci si ubriaca . Si puo' andare al bar anche solo per un cappuccino " . Negli Stati Uniti i giovani non possono bere , ma hanno la patente a 16 anni : " Cosi' ci sono tanti incidenti quando i ragazzi bevono e guidano . Ma con la macchina c' e' anche piu' responsabilita " , spiega Karla . " Infatti molti studenti americani lavorano e contemporaneamente vanno a scuola , che e' obbligatoria fino ai 18 anni . Per noi e' un orgoglio non dover chiedere soldi ai genitori . Paghiamo per tutto : vestiti , trucco , benzina , assicurazione , parte del costo dell' universita' . . . " .
Molti dei ragazzi che sono tornati a casa si preparano a un' estate di lavoro : chi in una banca , chi in un bar o in un fast food , chi in un negozio . Il lavoro part time li' non e' difficile da trovare .

Altra grande differenza , l' amore : " Per voi e' una cosa molto seria " , dice Heidi , " non e' insolito trovare un ragazzo e una ragazza che stanno assieme per un paio d' anni " . " I ragazzi italiani non sono cosi' ossessionati dal sesso come quelli americani " , sostiene Eugenie . " Come no ? , i miei amici lo erano eccome " , ribatte Noah . " Si' , ma solo a parole . Qui sono piu' calmi , parlano tanto ma non fanno niente . Invece in America c' e' l' usa e getta . No , qui siete piu' romantici " .
Karla in Italia si trova meglio perche' baciarsi e' piu' normale , meno impegnativo : " Io e i miei amici in America siamo molto affezionati , ci baciamo spesso , anche fra ragazze . Cosi' ci hanno accusato di essere lesbiche . Ma poi pensano che sia impossibile essere amica di un ragazzo e baciarlo senza starci assieme . Qui invece e' normale dare baci agli amici , anzi , se non lo si fa e' un' offesa . Adesso non so cosa faro' quando tornero' : mi comporto come un' italiana o come un' americana ? Vedremo ! " .

Ragazzi , qual e' la cosa che vi e' piaciuta di piu' durante quest' anno in Italia ? " I tortelloni " . " L' antichita' del paese " . " L' unita' della famiglia italiana . Negli Stati Uniti ci sono troppi divorzi " , afferma Wendy Poole , da Malibu in California a Modena . E le canzoni ? " La musica italiana non la conosco , perche' tutti i miei amici qui ascoltavano musica americana " , dice Noah . Sarah : " Pino Daniele " .
E la cosa che vi e' piaciuta di meno ? " I padri troppo severi " , si lamenta il biondissimo Brett Gradinger , che dal Missouri e' arrivato fino a Lecco , acquistando un perfetto accento lombardo . " Il nepotismo " , denuncia Sara Donaldson , da Washington a Torino , " qui si va avanti solo per conoscenze . Io all' universita' voglio fare ingegneria , e quando dico a qualche italiano che mio padre e' docente di ingegneria mi sento rispondere : ' ' Ah , adesso capisco perche' . . . ' ' " . Eugenie : " La lentezza di tutto , la burocrazia . Per esempio , una volta sono dovuta andare in un ufficio sanitario , quello con tre lettere . . . si' , la Usl . Dovevo fare una iniezione contro l' allergia , e mi hanno fatto fare file , riempire moduli e mettere timbri per due ore . E poi , qui a Milano stanno costruendo il metro' , no ? Quanti anni fa hanno cominciato ? E quando finiranno ? Fra due anni ? Mah . . . " . E per fortuna che Eugenie non conosce la storia dei metro' di Roma e di Napoli .

Alcuni vorrebbero che per prima cosa venisse restaurata Venezia , altri si preoccupano per i bimbi che chiedono l' elemosina di fronte alla stazione Termini a Roma . Ma nessuno , proprio nessuno , ha mai sentito contro di se' l' ombra di un antiamericanismo anche solo accennato . Eppure , dopo la strage di Fiumicino dello scorso Natale a molti di loro sono arrivate dagli Stati Uniti lettere o telefonate preoccupate dei genitori . " Non ho mai temuto niente " , assicura invece Brett , " anche perche' lo scontro Usa Libia non mi riguardava " . Come , Brett , non sei un patriota ? " Si' , si' , certo che lo sono " , si affretta a precisare , " ma io ero in Italia e non ci potevo fare assolutamente nulla " .

" Quando sono stata a Napoli " , racconta Wendy , " ho visto un gruppo di soldati americani assai grezzi , completamente ubriachi , che davano fastidio alla gente e che certo non hanno fatto fare una bella figura all' America . Il fatto e' che molti americani purtroppo pensano di essere superiori , i migliori " . " I soldati americani sono convinti che il loro compito e' quello di distruggere il comunismo nel mondo " , dice scettica Sarah . " Mio fratello e' andato volontario nella marina , adesso e' in Giappone . Io glielo dico sempre : mi raccomando , sta' attento a non fare la figura dell' ' ' Ugly american' ' , del cattivo americano " .

Adesso questi ragazzi americani sono tutti tornati a casa , e stanno raccontando il loro anno a parenti e amici : Sarah fra le macchine della General Motors di Flint , Noah fra i boschi del Massachusetts , Wendy sulla spiaggia di Malibu , Eugenie nel suo New Jersey , vicino a Bruce Springsteen , Brett e Karla sulle rive del Missouri . . . Racconteranno anche che l' Italia non brulica di terroristi , e che c' e' stato solo un piccolo cambiamento nel loro programma di quest' anno : sono ritornati a casa prendendo l' aereo a Milano invece che a Roma . Per non impressionare nessuno con il nome " Fiumicino " .

Mauro Suttora