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Saturday, July 25, 2020

Cina-Usa, è fredda ma è guerra

Il discorso di Pompeo è storico, non si sentivano parole così dai tempi di Reagan. E le spese militari di Pechino sono quasi raddoppiate in dieci anni


Mauro Suttora

Huffington Post, 24 luglio 2020

Martedì 21 luglio a Roma sono ricomparsi i Falun Gong. Hanno manifestato davanti a Montecitorio contro la Cina, che accusano dal 1999 di far sparire i loro adepti per espiantarne gli organi. Denunce incredibili, quelle della setta spiritual-ginnica cinese. Ma confermate il 1 marzo da una sentenza del China Tribunal di Londra, organismo indipendente presieduto da Geoffrey Nice, già accusatore di Slobodan Milosevic alla Corte internazionale dell’Aia. Non hanno raccolto grande solidarietà dai nostri deputati, i Falun Gong: soltanto quella del forzista Lucio Malan e del leghista Vito Comencini, oltre che dei radicali Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri, ed Elisabetta Zamparutti di Nessuno Tocchi Caino.

Falun Gong è il tipico esempio della fine che fanno anche in occidente i perseguitati di Pechino, che siano uiguri, buddisti tibetani o studenti di Hong Kong: quasi nessuno crede loro, non fanno notizia, qualcuno li considera impostori. Eppure il giudizio del China Tribunal è stato onesto. Ha rigettato, ad esempio, l’accusa di espianto di organi anche sugli uiguri, per mancanza di prove.
 
Le stesse prove ritenute insufficienti anchee per i Falun Gong da Amnesty International. La quale però li difende dalle migliaia di carcerazioni arbitrarie con tortura. L’ultima, quella della professoressa di chimica Chen Yan, colpevole solo di aver distribuito materiale propagandistico in una strada di Pechino.

Il governo cinese ammette soltanto che siano stati espiantati organi dai corpi di condannati a morte giustiziati, ma che l’orrenda pratica sia terminata nel 2015. E dal 2013 ufficialmente sarebbero stati chiusi anche i famigerati laogai, campi di concentramento per la “rieducazione attraverso il lavoro”. 

Peccato che questi sinistri eredi di lager nazisti e gulag stalinisti siano stati riaperti ultimamente per disciplinare i musulmani uiguri dello Xinjiang. Ma ogni volta che una tv libera nel mondo trasmette le prove video e fotografiche della pulizia etnica, con tanto di sterilizzazione forzata per le donne, ecco che il locale ambasciatore cinese (poche sere fa quello a Londra, invitato al contraddittorio dalla Bbc) nega tutto.

È esattamente questa asimmetria informativa fra democrazie e dittature il punto sollevato dal segretario di stato Usa Mike Pompeo giovedì 23 in un discorso che rischia di diventare storico, nella biblioteca californiana di Yorba Linda dedicata a Nixon. Il presidente che quasi mezzo secolo fa aprì alla Cina, nella speranza che la distensione economica avrebbe prodotto anche diritti civili e politici per i cinesi.
“Ma Nixon stesso avvertì che il mondo non poteva essere sicuro finché la Cina non fosse cambiata”, ha detto Pompeo, “e che il nostro obiettivo era provocare questo cambiamento”.

Missione fallita, ammette oggi il capo della diplomazia Usa: “Abbiamo accolto i cittadini cinesi, ma solo per vedere il loro partito comunista sfruttare la nostra società libera e aperta. Hanno mandato propagandisti nelle nostre conferenze stampa, centri di ricerca, licei, università. Il prezzo dell’entrata in Cina per le società occidentali è il silenzio sui loro abusi contro i diritti umani. Perfino Hollywood si autocensura: nessun minimo riferimento sfavorevole alla Cina nei suoi film. Nixon temeva di avere creato un Frankenstein aprendo il mondo al partito comunista cinese. Beh, ci siamo: oggi la Cina è sempre più autoritaria a casa propria, e sempre più aggressiva all’estero”.

Parole di un’amministrazione che fra tredici settimane probabilmente perderà le elezioni presidenziali?
Sicuramente è nell’interesse di Trump drammatizzare e additare un nemico esterno per salvare il salvabile. Ma l’analisi dei democratici di Biden non può divergere troppo, sulla Cina.

Guardiamo i dati concreti. Le spese militari di Pechino sono quasi raddoppiate in dieci anni. Certo, sono a 240 miliardi di euro contro i 650 degli Usa. Ma l’America ha una proiezione internazionale inimmaginabile per la Cina. La quale perfino in un anno di crisi come questo annuncia il 6% in più per gli armamenti, con proclami bellicosi contro Taiwan.

“La Cina si è comprata il direttore dell’Oms”, ha accusato Pompeo incontrando a porte chiuse i deputati conservatori britannici. Sarà anche fredda, ma è sicuramente guerra. Sarà anche solo “posturing”, atteggiamento minaccioso a uso degli elettori di novembre. Ma è dai tempi di Reagan, 40 anni fa contro l’Urss, che non si sentivano parole simili. Le Borse se ne sono accorte.
Mauro Suttora

Wednesday, February 20, 2008

Raoul Bova: nessuno tocchi Caino!

Nel suo nuovo film, che aiuta l'associazione Nessuno Tocchi Caino, l'attore denuncia la barbarie della pena di morte. Perche' l'orrore continua, nonostante la moratoria

di Mauro Suttora

Oggi, 20 febbraio 2008

Dopo aver sbancato i botteghini con il film 'Scusa ma ti chiamo amore', Raoul Bova torna all’impegno politico. Sta finendo di girare un cortometraggio contro la pena di morte. Ha dichiarato Raoul: «Dopo l’approvazione da parte dell’Onu della moratoria internazionale, ritengo che sia importantissimo realizzare un film con forte potenziale civile, capace di offrire a ogni spettatore occasioni di dibattito».

Non è la prima volta che Bova contribuisce in prima persona alla lotta contro la pena capitale, assieme all’associazione «Nessuno tocchi Caino»: «È una questione che mi coinvolge come cittadino e uomo. Su questo tema prediligo film come 'Un condannato a morte è fuggito' di Robert Bresson, 'Porte aperte' di Gianni Amelio, con il quale vorrei tanto lavorare, 'Arrivederci ragazzi' di Louis Malle, 'Dead Man Walking' di Tim Robbins».

Oggi negli Stati Uniti la Corte suprema ha decretato che il metodo dell’iniezione letale è disumano. E per questo le esecuzioni sono ferme da mesi. Erano comunque calate a una sessantina all’anno, quasi tutte nel Texas. Il governo di Washington ha però annunciato di voler chiedere la pena di morte per sei detenuti nel carcere di Guantanamo, accusati di aver partecipato direttamente alle stragi dell’11 settembre 2001.

E nel resto del mondo, a che punto siamo nella lotta contro la pena di morte?
«La risoluzione per la moratoria universale è stata approvata dall’Assemblea generale dell’Onu lo scorso 18 dicembre con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti», spiega a Oggi Elisabetta Zamparutti, dirigente di «Nessuno tocchi Caino». «Prevede, oltre alla richiesta rivolta ai Paesi che ancora praticano la pena di morte di introdurre una moratoria in vista dell’abolizione, un altro punto molto importante: gli Stati devono fornire al segretario generale dell’Onu informazioni sull’uso della pena capitale, per redarre un rapporto sull’attuazione della risoluzione che verrà presentato alla prossima Assemblea generale».

Insomma, la moratoria proclamata dall’Onu è solo un invito, non un obbligo. Per questo la campagna continua: «La richiesta di informazioni è assai importante per gli stati totalitari e illiberali come Cina, Iran o Pakistan, in molti dei quali la pena di morte è segreto di Stato, e che sono responsabili per il 98 per cento delle esecuzioni nel mondo», aggiunge la Zamparutti.

In Cina le stime su quante siano le condanne ogni anno variano di molto: si va dalle quattro alle novemila. «In vista dei Giochi Olimpici in agosto verranno coinvolti atleti perché sostengano la moratoria e l’abolizione del segreto».

Un altro Paese dove le cose non vanno bene è l’Iran. Dopo l’approvazione della moratoria all’Onu il regime degli ayatollah ha addirittura aumentato le esecuzioni, compiacendosi di esibire pubblicamente le macabre impiccagioni dalle gru. Ed è addirittura ritornato in voga, lì come in Arabia Saudita e in altri Paesi islamici, il barbaro costume di lapidare con pietre le donne accusate di adulterio.

In Africa invece le cose procedono piuttosto bene: «In quel continente c’è il maggior numero di Paesi abolizionisti di fatto, ventuno stati su 33 non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni», dice Zamparutti, «quindi la situazione è matura per attuare la moratoria della pena di morte e, in alcuni casi, per abolirla completamente. Quest’anno condurremo una campagna per la moratoria nella Repubblica democratica del Congo e in altri Paesi dove l’evoluzione del processo democratico può portare all’abolizione della pena di morte. In Congo organizzeremo una conferenza a sostegno dell’abolizione, dopo che la pena capitale non è stata contemplata dalla nuova costituzione del 2005 e dopo l’impegno assunto - e mantenuto - dal presidente Joseph Kabila con Emma Bonino a non giustiziare nessuno, neppure gli assassini di suo padre, fino a che sulla questione non si fosse pronunciato il Parlamento.

E per quanto riguarda l’Asia, «Nessuno tocchi Caino» organizzerà un secondo seminario, dopo quello del 2006, in Kazakistan. Lì il presidente Nursultan Nazarbayev nel dicembre 2003 ha introdotto una moratoria sulla pena di morte, fino alla prevista abolizione».

Mauro Suttora