Nel suo nuovo film, che aiuta l'associazione Nessuno Tocchi Caino, l'attore denuncia la barbarie della pena di morte. Perche' l'orrore continua, nonostante la moratoria
di Mauro Suttora
Oggi, 20 febbraio 2008
Dopo aver sbancato i botteghini con il film 'Scusa ma ti chiamo amore', Raoul Bova torna all’impegno politico. Sta finendo di girare un cortometraggio contro la pena di morte. Ha dichiarato Raoul: «Dopo l’approvazione da parte dell’Onu della moratoria internazionale, ritengo che sia importantissimo realizzare un film con forte potenziale civile, capace di offrire a ogni spettatore occasioni di dibattito».
Non è la prima volta che Bova contribuisce in prima persona alla lotta contro la pena capitale, assieme all’associazione «Nessuno tocchi Caino»: «È una questione che mi coinvolge come cittadino e uomo. Su questo tema prediligo film come 'Un condannato a morte è fuggito' di Robert Bresson, 'Porte aperte' di Gianni Amelio, con il quale vorrei tanto lavorare, 'Arrivederci ragazzi' di Louis Malle, 'Dead Man Walking' di Tim Robbins».
Oggi negli Stati Uniti la Corte suprema ha decretato che il metodo dell’iniezione letale è disumano. E per questo le esecuzioni sono ferme da mesi. Erano comunque calate a una sessantina all’anno, quasi tutte nel Texas. Il governo di Washington ha però annunciato di voler chiedere la pena di morte per sei detenuti nel carcere di Guantanamo, accusati di aver partecipato direttamente alle stragi dell’11 settembre 2001.
E nel resto del mondo, a che punto siamo nella lotta contro la pena di morte?
«La risoluzione per la moratoria universale è stata approvata dall’Assemblea generale dell’Onu lo scorso 18 dicembre con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti», spiega a Oggi Elisabetta Zamparutti, dirigente di «Nessuno tocchi Caino». «Prevede, oltre alla richiesta rivolta ai Paesi che ancora praticano la pena di morte di introdurre una moratoria in vista dell’abolizione, un altro punto molto importante: gli Stati devono fornire al segretario generale dell’Onu informazioni sull’uso della pena capitale, per redarre un rapporto sull’attuazione della risoluzione che verrà presentato alla prossima Assemblea generale».
Insomma, la moratoria proclamata dall’Onu è solo un invito, non un obbligo. Per questo la campagna continua: «La richiesta di informazioni è assai importante per gli stati totalitari e illiberali come Cina, Iran o Pakistan, in molti dei quali la pena di morte è segreto di Stato, e che sono responsabili per il 98 per cento delle esecuzioni nel mondo», aggiunge la Zamparutti.
In Cina le stime su quante siano le condanne ogni anno variano di molto: si va dalle quattro alle novemila. «In vista dei Giochi Olimpici in agosto verranno coinvolti atleti perché sostengano la moratoria e l’abolizione del segreto».
Un altro Paese dove le cose non vanno bene è l’Iran. Dopo l’approvazione della moratoria all’Onu il regime degli ayatollah ha addirittura aumentato le esecuzioni, compiacendosi di esibire pubblicamente le macabre impiccagioni dalle gru. Ed è addirittura ritornato in voga, lì come in Arabia Saudita e in altri Paesi islamici, il barbaro costume di lapidare con pietre le donne accusate di adulterio.
In Africa invece le cose procedono piuttosto bene: «In quel continente c’è il maggior numero di Paesi abolizionisti di fatto, ventuno stati su 33 non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni», dice Zamparutti, «quindi la situazione è matura per attuare la moratoria della pena di morte e, in alcuni casi, per abolirla completamente. Quest’anno condurremo una campagna per la moratoria nella Repubblica democratica del Congo e in altri Paesi dove l’evoluzione del processo democratico può portare all’abolizione della pena di morte. In Congo organizzeremo una conferenza a sostegno dell’abolizione, dopo che la pena capitale non è stata contemplata dalla nuova costituzione del 2005 e dopo l’impegno assunto - e mantenuto - dal presidente Joseph Kabila con Emma Bonino a non giustiziare nessuno, neppure gli assassini di suo padre, fino a che sulla questione non si fosse pronunciato il Parlamento.
E per quanto riguarda l’Asia, «Nessuno tocchi Caino» organizzerà un secondo seminario, dopo quello del 2006, in Kazakistan. Lì il presidente Nursultan Nazarbayev nel dicembre 2003 ha introdotto una moratoria sulla pena di morte, fino alla prevista abolizione».
Mauro Suttora