Wednesday, October 28, 2015

Elogio del riassunto

CONTRO LA PIAGA DEI LOGORROICI, RISCOPRIAMO LA VIRTU' DELLA SINTESI

Oggi, 21 ottobre 2015

di Mauro Suttora



Veni, vidi, vici. Il riassunto di Giulio Cesare su una battaglia vinta rimane insuperato, duemila anni dopo. E purtroppo non ci sono più politici come Giovanni Giolitti, che così spiegò cent’anni fa la propria laconicità: «Quando ho finito di dire quel che devo dire, ho finito anche di parlare».

Il problema è che proprio nell’era di Twitter e sms, i quali con il loro limite dei 140 caratteri ci dovrebbero costringere alla sintesi, scopriamo di non essere affatto capaci di riassumere. «Che non vuol dire solo essere brevi, ma anche saper cogliere il succo del discorso», avverte Ugo Cardinale, già docente di linguistica all’università di Trieste, autore del libro L’arte di riassumere (ed. Il Mulino).

I dati Ocse su lettura e comprensione sono tragici. Appena tre italiani su cento raggiungono i livelli più alti di competenza linguistica (rapporto fra lettura e comprensione), contro il 12% nella media dei 25 Paesi partecipanti.

«La prova che un testo è stato compreso sta nel saperlo riassumere», spiega a Oggi il professor Cardinale, «perché per riepilogare occorre non solo memoria, ma anche capacità di individuare le informazioni più importanti. Dobbiamo ricostruire mentalmente quel che abbiamo letto o ascoltato».

Ricordate i riassunti che si facevano a scuola? Negli ultimi decenni questa pratica è andata un po’ in disuso. Si privilegiano i dettati, sia alle elementari che alle medie. Per non parlare degli sciagurati test a scelta multipla, in cui basta piazzare una x sulla risposta giusta.
Così, quando arrivano alle scuole superiori, molti studenti si perdono di fronte a libri lunghi e complessi. «Non riescono a “scoprire il superfluo”», dice il professor Cardinale: applicare il setaccio della sintesi mentale per salvare i concetti-chiave.

L’incredibile caso di Pocahontas

Il resto dei danni lo fa la politica. Un esempio? «Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il capitano John Smith».
È la trama, in due parole, del cartone animato Disney Pocahontas. Ma Netflix, la piattaforma di film in streaming che il 22 ottobre sbarca in Italia, l’ha cambiata così: «Una giovane ragazza indiana d’America prova a seguire il suo cuore e a proteggere la sua tribù, quando i coloni arrivano e minacciano la terra che ama».

Entrambi i riassunti sono giusti. Ma sembrano due film diversi. Le femministe e i paladini degli indiani hanno tacciato la prima versione di sessismo e razzismo. Così è piombata la mannaia del “politicamente corretto”.

«Proprio per questo sostengo che il riassunto è una questione non solo cognitiva, ma anche etica», dice Cardinale, «perché dobbiamo avere un grande rispetto dell’autore. Non si può riassumere seguendo i propri schemi mentali, occorre immedesimarsi nel pensiero dell’altro».

«Per riassumere leggo tre volte il testo, trovo le cose fondamentali e le appunto», dice Filippo Bonomonte, 14 anni, primo anno al liceo milanese Virgilio. «È l’unico modo di imparare, non solo in italiano ma anche in storia e geografia. Il problema semmai è qualche prof, che ripete dieci volte la stessa cosa».

Nel 1982 Umberto Eco chiese a dodici scrittori di condensare in poche righe il loro romanzo preferito. Alberto Moravia si cimentò con Delitto e castigo, Piero Chiara con I promessi sposi. Ma anche questo esperimento provocò controversie. Italo Calvino bocciò Alberto Arbasino, accusandolo di avere infarcito il suo riassunto di Madame Bovary con commenti personali.
   
Insomma, le pillole di wikipedia ci sembrano facili. «Invece sono difficilissime da concepire», conclude il professor Cardinale, «e infatti Pascal così si scusò con un amico: “Ti mando una lettera lunga, perché non ho avuto il tempo di scriverne una breve”».

Soluzione: limare, ridurre all’osso. E, per i discorsi, sottoporre gli oratori al supplizio che il ministro Quintino Sella infliggeva ai suoi collaboratori, fra cui il giovane Giolitti: «Teneva le riunioni alle sette del mattino, tutti noi in piedi, col freddo che entrava dalle finestre spalancate. Così ci sbrigavamo».

Mauro Suttora  

3 comments:

Unknown said...

la Ridicola battaglia al Gender

"Non è che stiamo esagerando? È soltanto un’invasione mediatica, un’invenzione di stilisti e addetti stampa, esibizionismo, oppure la nostra società sta cambiando a una velocità impensabile?"

Gentile sig. Suttora,
a mio parere lei non si è posto, scrivendo il suo articolo, un quesito fondamentale. Lo deduco da quanto ha scritto e da come lo ha scritto, dalle parole che usa e dalle citazioni che riporta.
Il quesito a mio parere è questo: c'è davvero un'origine, un motivo scatenante, una ragione plausibile che giustifichi l'emersione comparsa di tutta questa varietà di genere?
A quanto sostiene, pare credere che l'attuale emersione dall'oscurità del proprio privato (superando perfino il sempre mal digerito "si fa ma non si dice" che concedeva una sottospecie di libertà individuale) di una molteplicità di sfumature dell'animo e delle pulsioni umane, o sia frutto di un "indottrinamento" o peggio ancora di una questione di "moda", o ancora peggio da un inspiegabile cambiamento della società che in qualche modo implode su se stessa.

Se si fosse posto la domanda se esiste davvero un punto d'origine, un motivo che giustifichi tutto ciò e avesse cercato una risposta con equilibrio e onestà intellettuale avrebbe avuto anche la risposta che tanto desiderava: no, non esiste.
I presupposti del suo articolo si fondano su una domanda che (guarda caso) a cui lei non sa o non vuole rispondere.
Se ragionasse più onestamente saprebbe che tutto ciò che la spaventa e vede non esiste solo perché ORA si vede ma semplicemente perché emerge dall'oscurità del non detto, del taciuto.
Così come nel corso della storia sono emersi altri importanti cambiamenti. Ad esempio (mi contraddica se dico il falso), quale scandalo e quali lotte comportò riconoscere che il piacere femminile non era qualità delle isteriche o delle poco di buono. Una donna che ammetteva di provare piacere o peggio, lo cercava sappiamo tutti quali conseguenze poteva avere per la malcapitata. E di emersioni dal torbido di cose non torbide sa anche lei che ne potremmo trovare mille altre.

La mia opinione in tutto ciò è che non ci siano 23 generi, ma infiniti quanti le singole persone che abitano la terra, e che la necessità di riconoscerne due mi pare più frutto del terrore di non sentirsi appartenenti ad un gruppo riconosciuto socialmente più che una realtà "naturale". Può negarlo? Crede sia frutto di perversione? E cosa ci sarebbe di perverso in un asessuale, che non desidera avere rapporti sessuali con chicchessia? Cosa ci sarebbe di perverso nell'astinenza? Sarebbe interessante girare la sua domanda al mondo monastico.
Potrei continuare a scrivere ancora molto snocciolando esempi su esempi che demoliscono i presupposti del suo articolo.
Apra il cuore, le orecchie e gli occhi e si guardi intorno al di là degli schemi e delle comodità. Indaghi dentro se stesso e nel suo animo e mi dica cosa trova. Mi aspetto che lei possa rispondere: mille sfumature, complessità.
Se rispondesse diversamente semplicemente non le crederei perché al di la di ogni opinione o convinzione, tutti sappiamo quanta ricchezza ci portiamo dentro. Perché quindi volere e desiderare un mondo povero?

Un saluto

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