... E POI LEOLUCA ORLANDO, ANDREOTTI, REAGAN, KENNEDY: ECCO A CHI ASSOMIGLIA IL NUOVO CAPO RUSSO
Europeo, 30 agosto 1991
dal nostro inviato a Mosca Mauro Suttora
Tradotto in italiano, Boris Nicolaievich Eltsin è un misto fra Sandro Pertini, Marco Pannella e Leoluca Orlando. Insomma, ci siamo capiti: una bomba ambulante. Con lui lo spettacolo è sempre assicurato. La noia - principale caratteristica della politica, in Russia come in Italia - è eliminata.
Come Pertini, Eltsin capisce al volo l'umore della gente che ha di fronte, e trova sempre le parole giuste. Parole terra terra: è l'unico leader sovietico a non parlare in politichese. E come il nostro ex presidente, fa impazzire la scorta quando si immerge nella folla, il suo ambiente naturale.
In questo è differente da Michail Gorbaciov, i cui «colloqui col popolo» sono troppo spesso sapientemente filtrati dal servizio d'ordine. Inoltre, quando Boris si trova di fronte a un operaio, lo ascolta. Gorby invece lo affligge con un monologo prolisso pensando alla tv che inquadra la scena.
Come Pannella, il nuovo «zar della Russia» ama i gesti teatrali. Nei due anni in cui è stato segretario del partito comunista di Mosca (cioè sindaco) gli piaceva improvvisare incursioni nei negozi per scoprire di persona le magagne del mercato nero.
Una volta, nell'87, si mette in fila davanti a una macelleria e, arrivato al banco, ordina un chilo di vitello. «Non c'è», gli risponde stancamente il commesso. Allora Boris, sicuro del contrario, piomba in magazzino e blocca le fettine di vitello che stavano uscendo dal retro verso le dacie della nomenklatura.
Memorabile anche il suo abbandono pubblico del partito comunista in pieno congresso, l'anno scorso: ha attraversato l'immensa sala da solo, a passo lento, in mezzo a un silenzio glaciale e imbarazzato. «Beh», brontolò Gorbaciov, seccatissimo per la figuraccia in diretta tv davanti all'intera Unione Sovietica, «adesso possiamo continuare i lavori». E mezza Russia cambiò canale.
Anche il capo dei radicali russi, come quello italiano, si lamenta sempre per l'ostracismo dei giornalisti. In particolare nei primi mesi di quest'anno, quando i giornali ancora controllati dal partito comunista (quasi tutti, in barba alla glasnost) lo hanno bersagliato con una campagna diffamatoria.
Ma i russi, dopo settant'anni di «disinformazia», sanno leggere fra le righe: chi è attaccato dalla Pravda si guadagna automaticamente la reputazione di brav'uomo. Risultato: alle elezioni del 12 giugno 1991 Eltsin è diventato il primo presidente democraticamente eletto nella storia della Russia, con quasi il 60 per cento dei voti.
Come Leoluca Orlando, anche Corvo bianco (questo il suo soprannome) ha un ciuffo ribelle che gli casca sulla fronte. E pure lui è un ex sindaco estraneo all'apparato: quando fu nominato viveva solo da pochi mesi a Mosca, dove lo ha chiamato da Sverdlovsk Gorbaciov nell'85.
Anche lui è stato cacciato perché pestava i piedi dei potenti, ha abbandonato il suo partito (come Orlando la Dc) ed è stato rieletto trionfalmente dalla città che aveva cercato di ripulire: 89 per cento dei voti come deputato di Mosca nel marzo '89.
«Ho lottato contro la mafia, ma non sono riuscito a colpire i suoi collegamenti con la politica»: frase pronunciata da Eltsin, ma che a Palermo suona familiare. Nei suoi comizi Eltsin suda, ci mette foga e convinzione. Poca sostanza e nessuna concretezza, accusano all'unisono i critici di Boris e Leoluca. Tre parole magiche nella loro bocca: «Democrazia, libertà, pulizia».
Andiamo avanti con i paragoni. Come Ronald Reagan, Eltsin sbadiglia quando i suoi consulenti lo tediano con briefing sull'economia. «Però», si difende lui, «in un anno a Mosca sono riuscito a portare in tribunale 860 apparatchik accusati di corruzione: non è conreta economia, questa?»
Gorbaciov si lesse da cima a fondo le 400 pagine del piano Shatalin che l'anno scorso doveva riformare l'economia sovietica in 500 giorni. Ne discusse per sette ore con l'autore. Alla fine lo buttò nel cestino perché non piaceva ai conservatori. Eltsin invece ammette di non avere studiato il mattone. Però nella sua Russia il piano di liberalizzazione lo sta applicando.
Nei rapporti con le donne, Eltsin è paragonabile a John Kennedy: un mandrillo. Però più romantico: come tutti i russi, sommerge con innumerevoli mazzi di fiori le sue predilette. E poi è anche cardiopatico, ha 60 anni, non può permettersi grandi performances.
Naturalmente in pubblico giura eterno e fedele amore alla moglie Maia che gli ha dato due figlie. E che ha un grosso pregio, per un politico russo: è brutta. Molto più brutta di Raissa Gorbaciova, soprannominata con fastidio «la zarina» dalle invidiose matrone russe.
Per la sua capacità di risorgere sempre dopo sconfitte che avrebbero distrutto un toro, il paragone casereccio lo si può fare con Giulio Andreotti. Alla fine dell'87 fu cacciato non solo dalla poltrona di sindaco di Mosca, ma perse anche la sedia del Politburo. Fu allora che lo soprannominarono «kamikaze della perestroika».
Subì perfino l'umiliazione di vedere pubblicato sulla Pravda il resoconto dell'allucinante processo che gli fecero Gorbaciov e i gerarchi comunisti, in perfetto stile stalinista. Con tanto di autocritica estorta: «Sì è vero, mi ha rovinato l'ambizione».
Gorbaciov gliene ha fatte passare di tutti i colori. Adesso Eltsin si vendica. Ogni giorno lo bacchetta sulle dita, come prima Gorby faceva con lui. «In qualsiasi altro Paese del mondo Eltsin sarebbe da anni al governo. Ma l'Urss è un Paese particolare», ha scritto il Financial Times.
Eppure l'Ovest lo ha sempre snobbato. C'è un signore, in particolare, che adesso dovrebbe nascondersi per la vergogna. Si chiama Jean-Pierre Cot, francese, vicepresidente del parlamento europeo. Pochi mesi fa, quando Eltsin era già leader indiscusso della Russia, gli impedì di parlare di fronte all'Europarlamento. Lo trattò come un mendicante e un ubriacone.
Si dice che Eltsin non è amato dall'intellighenzia perché è un populista. Storie. Fior di intellettuali hanno abbandonato da mesi Gorbaciov per diventare suoi consiglieri: l'economista Oleg Bogomolov, la sociologa Tatiana Zaslavskaia e l'esperto di affari esteri Georgi Arbatov, tutti gorbacioviani schifati dagli alleati trogloditi che Gorby si era scelto.
«Il comunismo? Sì, in Unione sovietica c'è. Però funziona solo per venti persone: i membri del Politburo, quelli con la villa», ha scritto Eltsin nella sua autobiografia (Confessioni sul tema, tradotto in Italia dall'editore Leonardo).
«Quando mi hanno fatto entrare per la prima volta nella mia dacia a Mosca, nell'85, mi sono perso. Avevamo tre camerieri, tre cuochi, un giardiniere». L'ingegnere edile alto 1 e 88 calato dagli Urali ora si dovrà abituare a governare l'Urss (o almeno la Russia) tirandola fuori dal caos.
Mauro Suttora
Europeo, 30 agosto 1991
dal nostro inviato a Mosca Mauro Suttora
Tradotto in italiano, Boris Nicolaievich Eltsin è un misto fra Sandro Pertini, Marco Pannella e Leoluca Orlando. Insomma, ci siamo capiti: una bomba ambulante. Con lui lo spettacolo è sempre assicurato. La noia - principale caratteristica della politica, in Russia come in Italia - è eliminata.
Come Pertini, Eltsin capisce al volo l'umore della gente che ha di fronte, e trova sempre le parole giuste. Parole terra terra: è l'unico leader sovietico a non parlare in politichese. E come il nostro ex presidente, fa impazzire la scorta quando si immerge nella folla, il suo ambiente naturale.
In questo è differente da Michail Gorbaciov, i cui «colloqui col popolo» sono troppo spesso sapientemente filtrati dal servizio d'ordine. Inoltre, quando Boris si trova di fronte a un operaio, lo ascolta. Gorby invece lo affligge con un monologo prolisso pensando alla tv che inquadra la scena.
Come Pannella, il nuovo «zar della Russia» ama i gesti teatrali. Nei due anni in cui è stato segretario del partito comunista di Mosca (cioè sindaco) gli piaceva improvvisare incursioni nei negozi per scoprire di persona le magagne del mercato nero.
Una volta, nell'87, si mette in fila davanti a una macelleria e, arrivato al banco, ordina un chilo di vitello. «Non c'è», gli risponde stancamente il commesso. Allora Boris, sicuro del contrario, piomba in magazzino e blocca le fettine di vitello che stavano uscendo dal retro verso le dacie della nomenklatura.
Memorabile anche il suo abbandono pubblico del partito comunista in pieno congresso, l'anno scorso: ha attraversato l'immensa sala da solo, a passo lento, in mezzo a un silenzio glaciale e imbarazzato. «Beh», brontolò Gorbaciov, seccatissimo per la figuraccia in diretta tv davanti all'intera Unione Sovietica, «adesso possiamo continuare i lavori». E mezza Russia cambiò canale.
Anche il capo dei radicali russi, come quello italiano, si lamenta sempre per l'ostracismo dei giornalisti. In particolare nei primi mesi di quest'anno, quando i giornali ancora controllati dal partito comunista (quasi tutti, in barba alla glasnost) lo hanno bersagliato con una campagna diffamatoria.
Ma i russi, dopo settant'anni di «disinformazia», sanno leggere fra le righe: chi è attaccato dalla Pravda si guadagna automaticamente la reputazione di brav'uomo. Risultato: alle elezioni del 12 giugno 1991 Eltsin è diventato il primo presidente democraticamente eletto nella storia della Russia, con quasi il 60 per cento dei voti.
Come Leoluca Orlando, anche Corvo bianco (questo il suo soprannome) ha un ciuffo ribelle che gli casca sulla fronte. E pure lui è un ex sindaco estraneo all'apparato: quando fu nominato viveva solo da pochi mesi a Mosca, dove lo ha chiamato da Sverdlovsk Gorbaciov nell'85.
Anche lui è stato cacciato perché pestava i piedi dei potenti, ha abbandonato il suo partito (come Orlando la Dc) ed è stato rieletto trionfalmente dalla città che aveva cercato di ripulire: 89 per cento dei voti come deputato di Mosca nel marzo '89.
«Ho lottato contro la mafia, ma non sono riuscito a colpire i suoi collegamenti con la politica»: frase pronunciata da Eltsin, ma che a Palermo suona familiare. Nei suoi comizi Eltsin suda, ci mette foga e convinzione. Poca sostanza e nessuna concretezza, accusano all'unisono i critici di Boris e Leoluca. Tre parole magiche nella loro bocca: «Democrazia, libertà, pulizia».
Andiamo avanti con i paragoni. Come Ronald Reagan, Eltsin sbadiglia quando i suoi consulenti lo tediano con briefing sull'economia. «Però», si difende lui, «in un anno a Mosca sono riuscito a portare in tribunale 860 apparatchik accusati di corruzione: non è conreta economia, questa?»
Gorbaciov si lesse da cima a fondo le 400 pagine del piano Shatalin che l'anno scorso doveva riformare l'economia sovietica in 500 giorni. Ne discusse per sette ore con l'autore. Alla fine lo buttò nel cestino perché non piaceva ai conservatori. Eltsin invece ammette di non avere studiato il mattone. Però nella sua Russia il piano di liberalizzazione lo sta applicando.
Nei rapporti con le donne, Eltsin è paragonabile a John Kennedy: un mandrillo. Però più romantico: come tutti i russi, sommerge con innumerevoli mazzi di fiori le sue predilette. E poi è anche cardiopatico, ha 60 anni, non può permettersi grandi performances.
Naturalmente in pubblico giura eterno e fedele amore alla moglie Maia che gli ha dato due figlie. E che ha un grosso pregio, per un politico russo: è brutta. Molto più brutta di Raissa Gorbaciova, soprannominata con fastidio «la zarina» dalle invidiose matrone russe.
Per la sua capacità di risorgere sempre dopo sconfitte che avrebbero distrutto un toro, il paragone casereccio lo si può fare con Giulio Andreotti. Alla fine dell'87 fu cacciato non solo dalla poltrona di sindaco di Mosca, ma perse anche la sedia del Politburo. Fu allora che lo soprannominarono «kamikaze della perestroika».
Subì perfino l'umiliazione di vedere pubblicato sulla Pravda il resoconto dell'allucinante processo che gli fecero Gorbaciov e i gerarchi comunisti, in perfetto stile stalinista. Con tanto di autocritica estorta: «Sì è vero, mi ha rovinato l'ambizione».
Gorbaciov gliene ha fatte passare di tutti i colori. Adesso Eltsin si vendica. Ogni giorno lo bacchetta sulle dita, come prima Gorby faceva con lui. «In qualsiasi altro Paese del mondo Eltsin sarebbe da anni al governo. Ma l'Urss è un Paese particolare», ha scritto il Financial Times.
Eppure l'Ovest lo ha sempre snobbato. C'è un signore, in particolare, che adesso dovrebbe nascondersi per la vergogna. Si chiama Jean-Pierre Cot, francese, vicepresidente del parlamento europeo. Pochi mesi fa, quando Eltsin era già leader indiscusso della Russia, gli impedì di parlare di fronte all'Europarlamento. Lo trattò come un mendicante e un ubriacone.
Si dice che Eltsin non è amato dall'intellighenzia perché è un populista. Storie. Fior di intellettuali hanno abbandonato da mesi Gorbaciov per diventare suoi consiglieri: l'economista Oleg Bogomolov, la sociologa Tatiana Zaslavskaia e l'esperto di affari esteri Georgi Arbatov, tutti gorbacioviani schifati dagli alleati trogloditi che Gorby si era scelto.
«Il comunismo? Sì, in Unione sovietica c'è. Però funziona solo per venti persone: i membri del Politburo, quelli con la villa», ha scritto Eltsin nella sua autobiografia (Confessioni sul tema, tradotto in Italia dall'editore Leonardo).
«Quando mi hanno fatto entrare per la prima volta nella mia dacia a Mosca, nell'85, mi sono perso. Avevamo tre camerieri, tre cuochi, un giardiniere». L'ingegnere edile alto 1 e 88 calato dagli Urali ora si dovrà abituare a governare l'Urss (o almeno la Russia) tirandola fuori dal caos.
Mauro Suttora
5 comments:
A me è sempre stato molto antipatico.
Preferivo il vecchio Krusciov o anche Gorby.
Comunisti sì, ma bonaccioni (mica come Eltsin e Putin che...da noi si dice: "fanno sotto come le patate").
luca, sei il mio unico lettore, quindi ti ringrazio
Ahahahah....di nulla, figurati, ma non farti sentire da Lanfranco Palazzolo, altrimenti sai gli sfottò... :-D
Ringrazia anche me e la Madonna che ti ha concesso la Grazia di farti fare il giornalista.....
palazzolo! ci manchi
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