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Monday, October 27, 2008

intervista al ministro Alfano

"Farò giustizia mettendo il turbo ai processi"

di Mauro Suttora

Oggi, 22 ottobre 2008

Cognome: Alfano. Nome: Lodo. Ministro, lo sa che rischia di passare alla storia così ?
"Ma io non pretendo di entrare nella storia. Mi accontenterei di riuscire a fare qualcosa di buono per questo Paese...".

Comunque vada, Angelino Alfano un record l' ha già conquistato: a 37 anni, è il più giovane ministro della Giustizia nella storia d' Italia. Mentre aspetto che torni dal fine settimana a Palermo, guardo i ritratti di tutti i suoi predecessori nel corridoio principale del ministero di via Arenula. Molti non hanno nome, ma alcuni si riconoscono: Palmiro Togliatti, Aldo Moro, Claudio Martelli. Il più buffo: Roberto Castelli, con sciarpone verde da leghista.
Alfano viene dalla punta opposta d' Italia: suo padre era vicesindaco dc di Agrigento. Appena nominato, a maggio, ha fatto imbestialire l' opposizione con il suo "lodo", che garantisce l' immunità (impunità, secondo gli avversari) al presidente del Consiglio Berlusconi e alle altre tre più alte cariche dello Stato: i presidenti di Camera, Senato e Repubblica.

Ministro, ammetta che questo "lodo" non è il massimo: altro che cittadini uguali di fronte alla legge, si torna ai tempi del sovrano assoluto, cioè ab solutus, sciolto dagli impicci dei tribunali.
Ma Alfano, placido come i democristiani che oggi quasi rimpiangiamo di fronte a certi isterici in Tv, risponde tranquillo, seduto sul divano: "No, guardi, è una buona legge che consente a chi governa di svolgere serenamente il proprio mandato, e di essere giudicato poi dagli elettori. Gli eventuali processi non si annullano, si sospendono".

Ma se Berlusconi rimane premier per tutta la legislatura e poi viene eletto al Quirinale, la sospensione dura dodici anni: fino al 2020. Perfino il presidente Clinton ha dovuto rispondere alle accuse di Monica, in Italia nulla ?
"Questo non sarà possibile: i mandati non sono cumulabili. E poi fino a 15 anni fa l' immunità copriva tutti i parlamentari, ma nessuno contestò i padri costituenti per avere introdotto questa garanzia".

Sul lodo Alfano deciderà la Corte costituzionale, e forse un referendum. Invece l' altra sua iniziativa, la riforma della giustizia, pare sia stata accolta bene.
"Sì, è già passata alla Camera e ora è al Senato. Serve ad accelerare il processo civile, e a smaltire i quattro milioni di procedimenti pendenti. Ora i tempi sono così da lumaca che si dice "fammi pure causa, poi vediamo". È più facile passare a miglior vita che ottenere una sentenza: le udienze oggi vengono fissate al 2012".

E quindi ?
"Introduciamo un massiccio uso di Internet. Puniamo chi gioca ad allungare i tempi. Vogliamo semplificare i rapporti, diminuendo i riti, eliminando una trentina di strade da percorrere per arrivare al giudizio".

Altre novità: la pausa estiva sarà di trenta giorni, e non più di un mese e mezzo. Il valore delle cause di competenza dei giudici di pace aumenterà a 7.500 euro, e a 25 mila per i risarcimenti su veicoli e barche. Le sentenze non verranno più pubblicate sui giornali, ma sul sito del ministero. Velocità e risparmi, insomma. Anche nel penale ?
"Certo. Subiamo condanne dell' Unione europea per la nostra lentezza, che in campo penale significa non certezza della pena. L' inefficienza tiene in carcere troppi detenuti in attesa di giudizio, con costi sia per i contribuenti, sia per gli imputati poi giudicati innocenti. E spesso il condannato la fa franca".

Che cosa farete, quindi ? Più giudici ? Fra togati e onorari, l' Italia ne conta 22 ogni 100 mila abitanti, contro i 68 della Germania...
"No, i magistrati italiani sono sufficienti. Ne stiamo assumendo 500 con un concorso a novembre. Il problema è restituire efficienza alle procedure, eliminando i tempi morti".

Anche perché i magistrati costano. I loro stipendi, tre anni dopo il concorso, sono già di 3.200 euro netti al mese. E arrivano automaticamente a seimila dopo 20 anni di carriera. Alfano ha accantonato, per ora, la riforma più spinosa promessa dal centrodestra: la separazione delle funzioni fra magistrati giudicanti e dell' accusa.
"Ci vuole parità fra accusa e difesa. I protagonisti del processo sono tre: pm, avvocati e giudici. Però se due di questi fanno il concorso assieme, hanno gli uffici vicini, frequentano lo stesso bar e magari nelle piccole città di provincia vanno pure a casa assieme, alla fine si danno del tu. Mentre l' avvocato deve dare del lei a entrambi. E lì finisce la parità".

Lei è andato a Bucarest con l' obiettivo di far scontare la pena nel loro Paese ai condannati stranieri. Quando succederà ?
"Un detenuto nelle carceri italiane costa parecchio allo Stato...".

Seimila euro al mese.
"A parte la cifra, il dato è che 38 carcerati su cento sono stranieri. Dobbiamo quindi trovare accordi bilaterali per trasferirli nei loro Paesi d' origine, a patto che scontino effettivamente la pena. È un problema che riguarda tutta l' Europa. Che sia quindi l' Unione europea a stringere accordi quadro con i Paesi in questione, come i nordafricani".

Altre novità ?
"Cè un' iniziativa cui tengo molto: i bimbi da zero a tre anni, figli delle detenute, non dovranno più stare in cella, ma in ambienti più accoglienti. Sempre custoditi, assieme alle loro mamme, ma senza dar loro l' impressione di stare in un carcere".

Intanto la vita è diventata un carcere per lei: scorta obbligata per un ministro della Giustizia, e per di più siciliano.
"Appena diventato ministro ho cambiato casa a Roma, quella di prima non era sorvegliabile senza bloccare mezzo quartiere. Mia moglie e i miei figli restano a Palermo, loro preferiscono così. Tiziana mi ha seguito prima a Milano all' università Cattolica, poi è tornata giù per seguire me". Quando ha chiesto di sposarla ? "Ricordo esattamente dove e quando: fu un momento magico. Eravamo a Londra".

Che passatempi avete ?
"Il mare, la musica. Avrò visto sei volte Guccini in concerto, anche se è di sinistra. Autogrill è una canzone straordinaria, ma ne so molte di sue a memoria".

Lei ha fama di secchione. Per diventare ministro, meglio far carriera da deputato o entrare nello staff di Berlusconi ?
"Io ho fatto entrambe le cose, dopo essere stato eletto consigliere provinciale e regionale, e deputato nazionale per Forza Italia. Ma, soprattutto, ho studiato, studiato, studiato...".

Com' è Berlusconi da vicino ?
"Un lavoratore incredibile. Comincia alle 7 del mattino, e a quell' ora ha già letto tutti i giornali. Quelli che non ha scorso alle due di notte, appena stampati".

Se non avesse fatto politica ?
"Mi sarebbe piaciuto il giornalismo".

Sempre stato democristiano ?
"Mio padre. Io ho avuto una militanza giovanile da ragazzino, ma ho messo piede nelle istituzioni con Forza Italia, cui ho aderito nel 1994. Quando Leoluca Orlando era sindaco di Palermo per la Dc, noi giovani eravamo molto attratti da lui".

Oggi Orlando è un durissimo avversario di Berlusconi.
"Sì, ma quella stagione ci segnò tutti. Avevo 12 anni quando ammazzarono Dalla Chiesa, 22 ai tempi degli omicidi Falcone e Borsellino. Siamo una generazione naturalmente antimafiosa. Il nostro eroe è Rosario Livatino, il "giudice ragazzino".
Parola di "ministro ragazzino".

Mauro Suttora

Friday, August 30, 1991

Boris Eltsin, un po' Pertini un po' Pannella

... E POI LEOLUCA ORLANDO, ANDREOTTI, REAGAN, KENNEDY: ECCO A CHI ASSOMIGLIA IL NUOVO CAPO RUSSO

Europeo, 30 agosto 1991

dal nostro inviato a Mosca Mauro Suttora



Tradotto in italiano, Boris Nicolaievich Eltsin è un misto fra Sandro Pertini, Marco Pannella e Leoluca Orlando. Insomma, ci siamo capiti: una bomba ambulante. Con lui lo spettacolo è sempre assicurato. La noia - principale caratteristica della politica, in Russia come in Italia - è eliminata.

Come Pertini, Eltsin capisce al volo l'umore della gente che ha di fronte, e trova sempre le parole giuste. Parole terra terra: è l'unico leader sovietico a non parlare in politichese. E come il nostro ex presidente, fa impazzire la scorta quando si immerge nella folla, il suo ambiente naturale.

In questo è differente da Michail Gorbaciov, i cui «colloqui col popolo» sono troppo spesso sapientemente filtrati dal servizio d'ordine. Inoltre, quando Boris si trova di fronte a un operaio, lo ascolta. Gorby invece lo affligge con un monologo prolisso pensando alla tv che inquadra la scena.

Come Pannella, il nuovo «zar della Russia» ama i gesti teatrali. Nei due anni in cui è stato segretario del partito comunista di Mosca (cioè sindaco) gli piaceva improvvisare incursioni nei negozi per scoprire di persona le magagne del mercato nero.

Una volta, nell'87, si mette in fila davanti a una macelleria e, arrivato al banco, ordina un chilo di vitello. «Non c'è», gli risponde stancamente il commesso. Allora Boris, sicuro del contrario, piomba in magazzino e blocca le fettine di vitello che stavano uscendo dal retro verso le dacie della nomenklatura.

Memorabile anche il suo abbandono pubblico del partito comunista in pieno congresso, l'anno scorso: ha attraversato l'immensa sala da solo, a passo lento, in mezzo a un silenzio glaciale e imbarazzato. «Beh», brontolò Gorbaciov, seccatissimo per la figuraccia in diretta tv davanti all'intera Unione Sovietica, «adesso possiamo continuare i lavori». E mezza Russia cambiò canale.

Anche il capo dei radicali russi, come quello italiano, si lamenta sempre per l'ostracismo dei giornalisti. In particolare nei primi mesi di quest'anno, quando i giornali ancora controllati dal partito comunista (quasi tutti, in barba alla glasnost) lo hanno bersagliato con una campagna diffamatoria.

Ma i russi, dopo settant'anni di «disinformazia», sanno leggere fra le righe: chi è attaccato dalla Pravda si guadagna automaticamente la reputazione di brav'uomo. Risultato: alle elezioni del 12 giugno 1991 Eltsin è diventato il primo presidente democraticamente eletto nella storia della Russia, con quasi il 60 per cento dei voti.

Come Leoluca Orlando, anche Corvo bianco (questo il suo soprannome) ha un ciuffo ribelle che gli casca sulla fronte. E pure lui è un ex sindaco estraneo all'apparato: quando fu nominato viveva solo da pochi mesi a Mosca, dove lo ha chiamato da Sverdlovsk Gorbaciov nell'85.

Anche lui è stato cacciato perché pestava i piedi dei potenti, ha abbandonato il suo partito (come Orlando la Dc) ed è stato rieletto trionfalmente dalla città che aveva cercato di ripulire: 89 per cento dei voti come deputato di Mosca nel marzo '89.

«Ho lottato contro la mafia, ma non sono riuscito a colpire i suoi collegamenti con la politica»: frase pronunciata da Eltsin, ma che a Palermo suona familiare. Nei suoi comizi Eltsin suda, ci mette foga e convinzione. Poca sostanza e nessuna concretezza, accusano all'unisono i critici di Boris e Leoluca. Tre parole magiche nella loro bocca: «Democrazia, libertà, pulizia».

Andiamo avanti con i paragoni. Come Ronald Reagan, Eltsin sbadiglia quando i suoi consulenti lo tediano con briefing sull'economia. «Però», si difende lui, «in un anno a Mosca sono riuscito a portare in tribunale 860 apparatchik accusati di corruzione: non è conreta economia, questa?»

Gorbaciov si lesse da cima a fondo le 400 pagine del piano Shatalin che l'anno scorso doveva riformare l'economia sovietica in 500 giorni. Ne discusse per sette ore con l'autore. Alla fine lo buttò nel cestino perché non piaceva ai conservatori. Eltsin invece ammette di non avere studiato il mattone. Però nella sua Russia il piano di liberalizzazione lo sta applicando.

Nei rapporti con le donne, Eltsin è paragonabile a John Kennedy: un mandrillo. Però più romantico: come tutti i russi, sommerge con innumerevoli mazzi di fiori le sue predilette. E poi è anche cardiopatico, ha 60 anni, non può permettersi grandi performances.

Naturalmente in pubblico giura eterno e fedele amore alla moglie Maia che gli ha dato due figlie. E che ha un grosso pregio, per un politico russo: è brutta. Molto più brutta di Raissa Gorbaciova, soprannominata con fastidio «la zarina» dalle invidiose matrone russe.

Per la sua capacità di risorgere sempre dopo sconfitte che avrebbero distrutto un toro, il paragone casereccio lo si può fare con Giulio Andreotti. Alla fine dell'87 fu cacciato non solo dalla poltrona di sindaco di Mosca, ma perse anche la sedia del Politburo. Fu allora che lo soprannominarono «kamikaze della perestroika».

Subì perfino l'umiliazione di vedere pubblicato sulla Pravda il resoconto dell'allucinante processo che gli fecero Gorbaciov e i gerarchi comunisti, in perfetto stile stalinista. Con tanto di autocritica estorta: «Sì è vero, mi ha rovinato l'ambizione».

Gorbaciov gliene ha fatte passare di tutti i colori. Adesso Eltsin si vendica. Ogni giorno lo bacchetta sulle dita, come prima Gorby faceva con lui. «In qualsiasi altro Paese del mondo Eltsin sarebbe da anni al governo. Ma l'Urss è un Paese particolare», ha scritto il Financial Times.

Eppure l'Ovest lo ha sempre snobbato. C'è un signore, in particolare, che adesso dovrebbe nascondersi per la vergogna. Si chiama Jean-Pierre Cot, francese, vicepresidente del parlamento europeo. Pochi mesi fa, quando Eltsin era già leader indiscusso della Russia, gli impedì di parlare di fronte all'Europarlamento. Lo trattò come un mendicante e un ubriacone.

Si dice che Eltsin non è amato dall'intellighenzia perché è un populista. Storie. Fior di intellettuali hanno abbandonato da mesi Gorbaciov per diventare suoi consiglieri: l'economista Oleg Bogomolov, la sociologa Tatiana Zaslavskaia e l'esperto di affari esteri Georgi Arbatov, tutti gorbacioviani schifati dagli alleati trogloditi che Gorby si era scelto.

«Il comunismo? Sì, in Unione sovietica c'è. Però funziona solo per venti persone: i membri del Politburo, quelli con la villa», ha scritto Eltsin nella sua autobiografia (Confessioni sul tema, tradotto in Italia dall'editore Leonardo).

«Quando mi hanno fatto entrare per la prima volta nella mia dacia a Mosca, nell'85, mi sono perso. Avevamo tre camerieri, tre cuochi, un giardiniere». L'ingegnere edile alto 1 e 88 calato dagli Urali ora si dovrà abituare a governare l'Urss (o almeno la Russia) tirandola fuori dal caos.

Mauro Suttora