DIASPORE SOCIALISTE USA (E CONTORNO DI RADICALI)
Il Foglio, 20 ottobre 2005
di Mauro Suttora
E' morto Kemble, neocon dal volto umano e capo dei Social democrats, con il pallino della democrazia
New York. E' morto Penn Kemble. Leader socialdemocratico americano, era dirigente della Freedom House, del Consiglio delle Democrazie, e negli otto anni di Bill Clinton era stato vicedirettore dell'Usia (United States Information Agency). Intellettuale stimato e bipartisan, nel 2002 anche l'amministrazione Bush gli aveva dato un incarico, in una commissione sul Sudan. Nello stesso anno ha firmato un appello per la protezione della libertà a Hong Kong del Pnac (Project for a New American Century), il cuore dell'iniziativa politica neocon. E l'anno scorso è stato tra i promotori dell'appello bipartisan del Foglio per l'invio di soldati Nato in Iraq, firmato fra gli altri da Gianfranco Fini, Umberto Ranieri, Franco Marini e Piero Ostellino.
Strani tipi, i socialdemocratici statunitensi. Nella gioventù socialista Usa, fra gli anni Sessanta e Settanta, sono passati personaggi poi famosi come Jeane Kirkpatrick (ambasciatrice di Ronald Reagan all'Onu) e Paul Wolfowitz. Dirigente dell'organizzazione, con Kemble, è stato Joshua Muravchik, oggi colonna dell'Aei (American Enterprise Institute), il think tank neocon. Del gruppo fa parte anche il quotato saggista Paul Berman, che ha appoggiato la guerra in Iraq ma l'anno scorso ha votato John Kerry. Il socialdemocratico con la posizione di governo più importante, anch'egli impermeabile ai cambi di amministrazione, è Carl Gershman, presidente da ben 21 anni del Ned (National Endowment for Democracy), voluto da Ronald Reagan per combattere l’Impero del Male (l’Urss), e oggi impegnato ad assistere finanziariamente i Paesi in transizione verso la democrazia (all'attivo le rivoluzioni nonviolente in Serbia, Georgia e Ucraina).
La lotta per la democrazia. Questa è la principale mission che si sono dati i Social democrats statunitensi. E non da ieri: il congresso della diaspora socialista Usa risale infatti al 1972, un terzo di secolo fa. Allora l'onusto Socialist Party of America si spaccò in tre proprio perchè all'ex trotszkysta Max Shachtman non andava giù la tolleranza per l'Unione Sovietica. La sua corrente vinse il congresso, e gli "equivalentisti" (quelli che mettevano Usa e Urss sullo stesso livello) se ne andarono. Quei "compagni" esistono ancora, anche se ridotti a poche centinaia: stanno nel Socialist Party Usa e nei Democratic socialists. L'Internazionale socialista riconosce come propri membri americani solo questi ultimi, oltre ai Social democrats.
Il legame con i radicali italiani
Contrariamente all'Italia, non c'è alcuna possibilità di riunificazione fra i socialisti e socialdemocratici statunitensi. I Democratic socialists, infatti, sono il classico partitino la cui settarietà e faziosità è inversamente proporzionale alla propria dimensione. Si accontentano di essere una piccola corrente all'interno del partito democratici. I Social democrats, al contrario, hanno da tempo abbandonato la forma partito e operano esclusivamente come club di liberi pensatori. Sulla politica interna ed economica ci sarebbero diversi punti di contatto, ma la politica estera li divide irrimediabilmente: si accusano reciprocamente di essere falchi e molli pacifisti.
Curiosamente, anche negli Usa come in Italia nelle vicende socialiste appaiono i radicali di Marco Pannella. Un pannelliano fiorentino di 30 anni, Matteo Mecacci, rappresentante del partito all'Onu, ha avuto infatti l'onore due settimane fa di essere invitato a parlare dal palco del Ned nello stesso giorno del presidente degli Stati Uniti. Al mattino George Bush ha tenuto un importante discorso nella sede del Ned di Washington, e nel pomeriggio Mecacci ha dibattuto gli stessi temi a New York con il numero due dell’Onu, Mark Malloch Brown, potente capo di gabinetto del segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan.
Mecacci è stato presentato con parole lusinghiere da Gershman, il presidente socialdemocratico del Ned, all’auditorium del palazzo McGraw-Hill del Rockefeller Center, di fronte a una qualificata platea di ambasciatori ed esperti di politica estera: «Il partito radicale transnazionale di Emma Bonino si batte per una riforma dell’Onu, in cui le democrazie contino di più e non vengano ostacolate dalle dittature, che sono ormai soltanto una minoranza fra gli stati rappresentati al Palazzo di vetro». Mecacci ha scritto anche vari editoriali con il segretario radicale Daniele Capezzone sul Washington Times, il quotidiano legato al Pentagono. Destra, sinistra, nonviolenza, guerra? Socialdemocratici americani e radicali italiani non vedono contraddizioni e spargono il loro verbo democratizzatore ovunque.
Mauro Suttora
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