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Tuesday, October 01, 2013

Caligaris e Parenti su Forza Italia

LA CRISI DEL PARTITO DI BERLUSCONI
di Mauro Suttora
30 settembre 2013
Forza Italia resuscita, o abortisce? Appena una settimana dopo l’inaugurazione della nuova sede, le dimissioni imposte da Silvio Berlusconi ai suoi ministri fanno vacillare l’annunciata rinascita del partito. Che si era fuso con An nel 2008, con risultati catastrofici: sei milioni di voti persi dal Pdl alle ultime elezioni. Quindi ritorno alle origini, in un momento drammatico per il leader: condannato, espulso dal Parlamento.
Ma già si annunciano illustri defezioni: i ministri Angelino Alfano («Sarò diversamente berlusconiano»), Gaetano Quagliariello («Non sono un estremista da Lotta Continua»), Beatrice Lorenzin. Fabrizio Cicchitto mugugna sulla mancanza di democrazia interna.
Che succede? Che ne è del partito che dal 1994, al governo o all’opposizione, domina la politica italiana?
«Faccia quel che vuole, le do carta bianca». Esattamente vent’anni fa Berlusconi consegnò le chiavi della palazzina romana dove sarebbe nata Forza Italia al generale Luigi Caligaris. 
«Fu un’avventura entusiasmante», ricorda adesso il generale. «In quattro mesi costruimmo dal nulla un nuovo partito che divenne subito il primo della settima potenza industriale del mondo. Mai successo, nella storia».
Si ripeterà oggi il miracolo del 1993-94? «Impossibile», sentenzia Caligaris, tessera numero tre di Forza Italia (dopo il fondatore e l’ex ministro Antonio Martino). «Allora ci appoggiammo alle strutture Fininvest. Uomini d’impresa, legati da un rapporto di dipendenza a Berlusconi. Io, pur essendo abituato a obbedire, come militare, ero terrorizzato dal compito: creare un partito in poche settimane. Ma il clan dei fedelissimi mi rispose: “Nessun problema, siamo tutti bravi e il nostro capo è il più bravo di tutti”. Questo clima non è cambiato. Nessun dibattito interno. C’è più disciplina in Forza Italia che in una caserma. Berlusconi è sensibile solo alle opinioni dei fedeli».
Solo dei fedelissimi, pare, in questi giorni: i “falchi” Daniela Santanché e Denis Verdini.
«È la conferma che il modello dell'impresa privata non funziona in politica. I leader hanno bisogno di un sistema non autoritario, in cui ci sia uno scambio continuo di opinioni fra base e vertice, ma in entrambe le direzioni. La base non può limitarsi a eseguire quel che vuole il vertice».

Caligaris se ne andò nel ’97, quando gli eurodeputati di Fi passarono ai Popolari europei (Dc): «Nessuna coerenza. Dicevamo di essere liberali, finimmo democristiani. E l’ordine, come sempre, arrivò dall’alto. Inappellabile. Niente discussioni».
Un altro volto noto di quella stagione eroica era Tiziana Parenti. Titti la rossa, la pugnace magistrata pisana che contestò i colleghi milanesi (Di Pietro, Borrelli, D’Ambrosio): Tangentopoli a senso unico, Pci salvato.
Oggi lei non salva Forza Italia: «In realtà come forza politica non è mai esistita. È sempre stata un’illusione. Berlusconi si ritira ad Arcore con Confalonieri e i familiari, e decide. Eravamo commissariati dalla Fininvest, facevamo politica aziendale. Come oggi, con i deputati schierati contro la sentenza da 500 milioni per Mediaset».

La Parenti era uno dei deputati più popolari, simbolo di una giustizia non piegata a sinistra (eterna accusa forzista ai magistrati): «Berlusconi ripeteva sempre: il nostro partito si deve strutturare, io presto mi ritirerò. Per qualche anno gli ho creduto, ho aspettato. Poi mi sono sentita imbrogliata. Per essere eletta mi ero dimessa dalla magistratura, non ho preso aspettative come tanti altri. Nessun paracadute. Ma se osavo obiettare qualcosa, mi assalivano. C’è un clima di cortigianeria che rasenta il degrado umano».

La fede nel capo sembra essere il destino di molti partiti. Anche di quelli “contro”: Bossi, Di Pietro, Grillo.
«Grillo è differente da Berlusconi solo perché urla, invece di fare il borghese perbenista. Entrambi usano i parlamentari come marionette, Grillo li manda sul tetto. È drammatico che dopo vent’anni ci siano ancora persone adulte che rinunciano al senso critico».

La lista di quelli che hanno abbandonato Forza Italia è lunga: se ne potrebbe fare un altro partito.
«Ricordo i “professori”: usati come carta velina che si appallottola e si butta nel cestino. Ma tutti si legavano al carrozzone. Subivano il ricatto: “O con me o contro di me”. Non era permessa alcuna opinione alternativa. L’unico sfogo era sparlare alle spalle».

Insomma, altro che Dumas: nessun Vent’anni dopo per i moschettieri di Berlusconi? 
«Quelli di allora non ci sono più. È una ripetizione penosa, patetica. Chi trova il coraggio di criticare lo fa solo quando viene scaricato, come Fini. Non c’è futuro per Forza Italia. Berlusconi morirà senza eredi, i tanti pretendenti non hanno alcuna possibilità di crescita. È un danno anche per il Paese».

Non è che ha un po’ di odio dell’ex?
«Guardi, ero molto amareggiata quando sono uscita. Ma era il ’97. Ne è passato di tempo. Oggi faccio l’avvocato, e quel poco di passione politica che mi è rimasta lo spendo con il Psi. Brave persone. Il mio problema con Forza Italia era solo che volevo un minimo di dibattito interno. Poi potevo anche avere torto. Ma senza falangi precostituite. Per il resto, le mie idee non sono cambiate. Infatti ho sulle spalle una querela da Di Pietro per 250mila euro».
Mauro Suttora