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Wednesday, September 03, 2014

I segreti dei capolavori

QUANTO EROTISMO IN QUESTA VENERE!

Li abbiamo visti mille volte. Ma siamo sicuri di conoscerli? Philippe Daverio, nei nuovi fascicoli del Corriere della Sera, spiega i particolari nascosti di 35 grandi opere

di Mauro Suttora

Oggi, 27 agosto 2014

Lo sapevate che la Nascita di Venere di Sandro Botticelli è il primo dipinto su tela di grandi dimensioni nella storia? Che il Tondo Doni di Michelangelo fu la prova generale della Cappella Sistina? E che il Moulin de la Galette di Renoir, a Montmartre, nel 1814 fu l’ultima trincea contro i soldati russi che sconfissero Napoleone? Queste e altre curiosità vengono svelate nei fascicoli di Philippe Daverio sui Capolavori dell’arte allegati al Corriere della Sera dal 28 agosto.

Botticelli, quante allusioni
Nonostante la bionda nuda sul conchiglione sia fra le immagini più celebri dell’arte di tutti i tempi, la sua storia viene raccontata da Giorgio Vasari soltanto 50 anni dopo. «La Nascita di Venere viene appesa in pendant nel 1486 accanto alla Primavera nella villa di Lorenzo de’ Medici, cugino minore di Lorenzo il Magnifico», scrive Daverio. «In Botticelli le allusioni erotiche non mancano. la Venere riprende con i capelli sciolti un mantello tenuto con la mano sinistra, mentre le signore già sposate tengono il loro a mo’ di fiocco aperto per far capire che ciò che la fanciulla promette, loro l’hanno già vissuto. L’eleganza degli equivoci».

Caravaggio, i simboli nella Canestra di frutta
Il minuscolo olio su tela del 1599, conservato nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano, rappresenta il debutto delle nature morte nella pittura italiana. Caravaggio ne aveva già dipinte, ma all’interno di quadri con umani, come il Bacco o il Giovane con canestra di frutta. Qui, invece, per la prima volta la natura morta è il soggetto principale, e finisce nella collezione del cardinale Federico Borromeo. 
«La frutta è rappresentata con straordinario realismo, come mai prima di allora: un leggero pulviscolo copre gli acini d’uva, un verme ha bacato la mela, insetti hanno smangiucchiato le foglie della pesca». 
Ogni particolare è simbolico: le foglie della vite, secche e accartocciate, evocano l’inesorabile scorrere dell’esistenza umana, destinata a fine certa.

Renoir, i dipinti e la salute
Spiega Daverio: «Sosteneva con la sua sottile ironia Alberto Savinio che l’Impressionismo è nato quando i pittori di Parigi s’accorsero ch’era più proficuo per la salute dipingere all’aria aperta piuttosto che in quella viziata degli studi. 
C’è del vero in questa battuta: fu di grande utilità nell’ultimo trentennio dell’800 l’invenzione dei tubetti di colore, che permisero un’agilità fino ad allora insperata per la pittura da cavalletto». Pierre-Auguste Renoir è, con Monet e Manet, il più famoso degli impressionisti, e il Bal au Moulin de la Galette è la sua opera più nota.

Michelangelo vince su tutti
È l’unico dipinto di cavalletto di Michelangelo, l’unico esibito nel museo degli Uffizi a Firenze. Non piacque al committente, che lo criticò, tirò sul prezzo e alla fine non pagò la cifra pattuita. Stendhal lo detestava: «Un Ercole non può ridursi a cucire sottane». Ma fra tanti immensi affreschi, statue gigantesche e capolavori architettonici, Daverio sceglie il Tondo Doni come il non plus ultra di Michelangelo. 

Eseguito nel 1504 dall’artista 29enne, dopo la Pietà e prima del Mosè, secondo Daverio rappresentò una scommessa: «Dipingere per il ricco banchiere Agnolo Doni, sposato con una Strozzi, un’opera in grado di competere con quelle del concorrente Banco dei Medici, spazzati dalla scena finanziaria ed entrati in politica».

Ma la competizione fu duplice: «Quella con Sandro Botticelli, concorrente giovanile, eroe mondano della generazione precedente a quella di Michelangelo, suo opposto». E insuperato “tondista”, con «i personaggi adagiati nel cerchio del dipinto seguendone le linee curve»: come nella Madonna del Magnificat del 1480, anch’essa agli Uffizi. Michelangelo, 25 anni dopo, vince il confronto con Botticelli grazie alla modernità dei colori: intensi, squillanti, perfino stridenti, come l’arancione di San Giuseppe accanto al rosa della Madonna.
Mauro Suttora

Wednesday, December 05, 2012

Daverio: Il museo immaginato


MUSEO IMMAGINATO: IL SECOLO LUNGO DELLA MODERNITA'

di Mauro Suttora

Oggi, 5 dicembre 2012

«Eugene Delacroix racconta la Rivoluzione parigina del 1830 con un dipinto che diventa un’icona mondiale della libertà dei popoli. Delacroix era allora considerato il capofila dei romantici. Il gesto vigoroso e convinto delle pennellate è travolgente».
Così Philippe Daverio descrive il quadro 28 luglio: la Libertà guida il popolo che celebra la rivoluzione “borghese” di Luigi Filippo nel suo nuovo libro: Museo immaginato, il secolo lungo della modernità (Rizzoli).

Un anno fa il poliedrico critico d’arte, professore universitario (ordinario di Disegno industriale ad Architettura a Firenze), conduttore tv (Passepartout su Rai3, Emporio Daverio su Rai5) ed ex politico (assessore leghista  alla Cultura a Milano negli anni ’90) aveva ottenuto un enorme successo con Il museo immaginato: 100mila copie vendute.

Intreccio di arte, politica e storia

Ora Daverio torna in libreria con il seguito di quel libro, scritto con lo stesso stile vivace ed eccentrico in cui mescola indissolubilmente arte, politica e storia. E immagina di dover riempire un museo di opere dal 1800 al 1914.

Ecco, per esempio, come descrive un altro quadro-simbolo: Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo: «Nel 1901 il cammino dei lavoratori sembra avere intrapreso una strada gloriosa. Gli equilibri dell’Italia postunitaria si sono rotti; il partito socialista fondato a Genova nel 1892 è diventato Psi nel 1895. A Milano le fortissime tensioni del 1898 si conclusero con le cannonate sparate sulle barricate dal generale Bava Beccaris. Oltre trecento i morti. Turati e i politici di sinistra vengono arrestati. Il dipinto di Pellizza è la risposta solida e matura alla situazione in corso. Nel vasto giro dei postimpressionisti non v’è dubbio che il gruppo dei divisionisti occupi l’area più attraente e innovativa».

Il gioco di Daverio, nel suo museo personale di fantasia, è quello di proporre coppie ardite come quella fra Delacroix e Pellizza. Seguono le Demoiselles d’Avignon, con cui Pablo Picasso nel 1907 inaugura il cubismo, accanto alla Morte di Sardanapalo di Delacroix di 80 anni prima: «I due dipinti hanno un’intrigante assonanza. Sono ambedue opere di rottura. Non le troverete mai vicine in un museo tradizionale, dove le categorie sono state stabilite definitivamente un secolo fa».

Fra le tante Veneri nude da accostare alla celeberrima di Ingres del 1848, Daverio  sceglie Il sonno con «le due amiche, considerate sconce, che Gustave Courbet avrebbe dipinto nel tepore baudelairiano stile Fleurs du mal d’una stanza chiusa, ragffigurando la sua amante irlandese in una compagnia più dolce di quella che egli stesso le poteva fornire».

Daverio documenta anche casi di vero e proprio plagio, che tuttavia lui definisce educatamente “citazione”: «La Statua della Libertà di New York è senza dubbio alcuno la più nota del secolo XIX, anche se non necessariamente la più bella. Fu offerta dalla Francia agli Stati Uniti per celebrare i cent’anni della loro indipendenza nel 1876, e inaugurata dieci anni dopo. Il progetto fu affidato allo scultore Auguste Bartholdi. Strutturista fu l’ingegnere Gustave Eiffel, quello della futura torre.
Evidente è la citazione del balcone nuovo del Duomo di Milano. Sulla sinistra vi è la scultura La legge nuova di Camillo Pacetti realizzata nel 1810, che regge la fiaccola della Fede. Sulla destra c’è la Legge vecchia di Luigi Acquisti, sua contemporanea, che regge nella mano sinistra le Tavole mosaiche.
Se si sommano le due statue ne viene fuori automaticamente, come per incanto, la Statua della Libertà».

Daverio non calca la mano contro Bartholdi, forse perché lo scultore era alsaziano come lui e nel 1870, quando Alsazia e Lorena furono cedute dalla Francia alla Germania, si ritrovò senza patria d’origine.

da Milano a New York

Anzi, lo giustifica: «Era assai comprensibile che un patriota francese ritrovasse le sue origini nella Milano  ancora francese (nel 1810) e retta dal Beauharnais. In fondo la Statua della Libertà non è altro che la nuova e romantica versione della Legge nuova combinata con quella antica ebraica, a New York».

E così via. In ogni pagina di questo stupendo libro di Daverio c’è una curiosità, un ragionamento sottile, un paradosso che ne rendono la lettura un piacere.
Mauro Suttora