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Thursday, September 25, 2014
Quanti colpi di sole, dottoressa Lorenzin!
LA POLITICA DI PUNTA DELL'NCD TRA GAFFES E POLEMICHE
Scandalo Avastin, fecondazione eterologa, figli dei gay: sono tanti i terreni scivolosi per il ministro della Salute. Che dice di avere «il dono dell'obliquità». E dà consigli medici senza essere laureata
Oggi, 24 settembre 2014
di Mauro Suttora
Per carità, un lapsus può sempre scappare. Ma si sono guardati perplessi i senatori della commissione Salute quando il ministro Beatrice Lorenzin (Nuovo Centrodestra) ha detto testualmente, chiudendo il proprio cellulare che squillava: «Abbiamo il dono dell’obliquità», scambiandola con l’ubiquità (per vedere la gustosa scenetta, andate qui).
Quell’audizione era piuttosto delicata, perché la ministra doveva difendersi dalle accuse di inerzia di fronte allo scandalo Avastin/Lucentis: un farmaco contro la maculopatia degli occhi fatto pagare al servizio sanitario nazionale cento volte più dell’equivalente concorrente. C’è voluta una multa di 180 milioni di euro da parte dell’Antitrust per sanzionare la manovra di due multinazionali ai danni dell’erario: il ministero della Salute, retto dalla Lorenzin già dal 2013 nel governo Letta, non aveva bloccato la speculazione.
Non è l’unico terreno scivoloso che la giovane, simpatica e bella ministra Lorenzin (praticamente una sosia di Meg Ryan) ha affrontato negli ultimi tempi.
Francesca Vecchioni, figlia gay del cantautore Roberto, si è risentita perché la Lorenzin è contro le adozioni nelle coppie omosessuali. La ministra infatti ha detto: «La letteratura psichiatrica, da Freud in poi, riconosce l’importanza di avere un papà e una mamma per la formazione della personalità del bambino. Non aspettiamo che lo Stato ci risolva i problemi».
Ribatte la Vecchioni, senza infierire sulla confusione fra psichiatria e psicanalisi di Freud: «Per lei le mie bambine, figlie mie e della mia ex compagna, sono “problemi”».
Un altro episodio, per il quale la Lorenzin è stata accusata di non avere una laurea in Medicina, né una laurea purchessia, sono le rubriche di consigli medici (prevenzione delle smagliature comprese) che tiene sui settimanali Visto e Tutto: «Temi di competenza esclusivamente sanitaria», l’ha attaccata Melania Rizzoli, responsabile Sanità di Forza Italia, aggiungendo con perfida ironia: «Mi sento di escludere che sia così imprudente da tenere una rubrica specialistica».
Anche sulla fecondazione eterologa la Lorenzin è criticata: non ha preparato rapidamente una direttiva nazionale, lasciando così spazio a regole diverse in ogni Regione.
Insomma, bersagliata a destra e a manca, aveva proprio bisogno di un po’ di relax al mare.
Mauro Suttora
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Wednesday, March 19, 2014
Roche e Novartis condannate a 180 milioni di multa
DOPO LO SCANDALO AVASTIN/LUCENTIS: CHI DECIDE I PREZZI DEI MEDICINALI
di Mauro Suttora
Oggi, 10 marzo 2014
Truffa, disastro doloso, associazione a
delinquere: sono i reati su cui indagano i magistrati per lo scandalo
Avastin/Lucentis. Che ha già portato a un’astronomica multa (180 milioni di
euro) da parte dell’Agcom (Autorità garante della concorrenza e mercato, in
breve Antitrust) contro le multinazionali produttrici dei due farmaci: Roche e
Novartis.
Le case farmaceutiche avrebbero
collaborato per ostacolare l’utilizzo di un farmaco 50 volte più economico
(Avastin) a favore di uno molto più costoso (Lucentis) contro una grave malattia
della vista: la maculopatia senile degenerativa.
Ne soffrono 300mila pazienti in Italia:
la maculopatia è la prima causa di cecità dopo i 75 anni. «E sono 100mila i
malati che dal 2012 hanno subìto danni per il rallentamento delle cure», ci
spiega Matteo Piovella, presidente dei 5mila oculisti riuniti nella Soi (Società
oftalmologica italiana), che ha denunciato il caso due anni fa. «Non potendo
più praticare le iniezioni intravitreali di Avastin, infatti, i medici hanno
dovuto centellinare quelle del costosissimo Lucentis».
Com’è potuto accadere? Quali sono le
regole per stabilire i prezzi dei nuovi farmaci, controllandone l’immissione in
vendita? E che cosa non ha funzionato?
Ogni anno le medicine ci costano 26
miliardi di euro. Una cifra immensa, che fa gola a molti. Ciascuno di noi
spende in media, in farmacia, 300 euro. Ma, aggiungendo i farmaci dispensati da
Asl e ospedali, sono 434 euro a testa. Spesi bene?
«I prezzi delle medicine variano da un
euro a migliaia di euro», ci spiega Silvio Garattini, direttore dell’Istituto
Mario Negri di Milano e autore di Fa bene
o fa male? (ed. Sperling & Kupfer, 2013). «Dipendono dal costo della
materia prima? No. I principi attivi costituiscono solo una piccola frazione del
prezzo. E anche le spese per la ricerca farmaceutica sono sorprendentemente
basse. Infatti, nonostante vengano diffusi dati di grande impatto emozionale
come “sviluppare un nuovo farmaco costa un miliardo di euro!”, la ricerca in
realtà rappresenta solo l’8 per cento sul totale del fatturato delle aziende
farmaceutiche».
I prezzi dei farmaci sono almeno
proporzionali al loro beneficio? «Se fosse così, i prezzi dovrebbero essere
molto bassi», sostiene amaro Garattini. «Su 280 nuovi farmaci messi in
commercio negli ultimi dieci anni, il 51% incrementa una buona qualità della
vita di solo un mese. Solo nel 12% dei casi il miglioramento è di almeno un
anno. I farmaci antitumorali più recenti costano parecchie migliaia di euro per
ciclo ma, alla fin fine, aumentano la sopravvivenza di un paio di mesi».
Cosa condiziona allora il prezzo di un
medicinale? «La “promozione”, che incide per oltre un terzo del prezzo. Far
conoscere un farmaco costa parecchio. Bisogna organizzare congressi e meeting,
realizzare materiali stampati, e soprattutto occorre mettere in moto la giostra
degli informatori farmaceutici, che devono visitare i medici per persuaderli a
prescrivere i farmaci».
Infine, un altro terzo del prezzo al
pubblico va in spese di distribuzione: 3% ai grossisti, 30 alle farmacie.
L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco),
che dipende dal ministero della Salute, decide per ogni farmaco la classe di
rimborsabilità. Quelli senza obbligo di prescrizione (ricetta del medico) hanno
prezzo libero, a carico del paziente. L’Aifa controlla solo quelli non
rimborsati ma con obbligo di ricetta: aumenti permessi solo ogni due anni, e senza
superare l’inflazione programmata. Poi ci sono i medicinali rimborsati dal
Servizio sanitario nazionale: su questi l’Aifa negozia il prezzo con le aziende
produttrici. Anche perché sette miliardi di euro annui vengono spesi direttamente
da ospedali e Asl.
Proprio in ambito ospedaliero è
scoppiato il caso Avastin/Lucentis. Avastin
era stata registrata nel 2004 per la cura contro il cancro dalla Roche. Poi si
è scoperto che funzionava anche contro la maculopatia essudativa. Due anni dopo
Novartis ha brevettato un farmaco specifico contro la maculopatia: Lucentis.
Ora si scopre che le due aziende hanno favorito il secondo trattamento più
costoso a svantaggio del primo. In questo modo, grazie ai rapporti che legano
le due società, entrambe avrebbero ricevuto i propri guadagni.
Roche ha interesse a favorire le
vendite di Lucentis, perché ottiene così delle royalties: il farmaco è stato
infatti sviluppato dall’americana Genentech, controllata da Roche. E Novartis,
oltre a guadagnarci direttamente, lo fa anche indirettamente, attraverso la sua
partecipazione (il 30%) in Roche. La Guardia di Finanzia ha sequestrato e-mail
fra dirigenti italiani delle due società che si mettono d’accordo, utilizzando
anche articoli compiacenti della stampa specializzata e «pareri» favorevoli di
medici.
Nel 2007, infatti, proprio l’Aifa
permise l’utilizzo di Avastin per la cura delle maculopatie nella forma «off
label»: espressione che indica l’utilizzo di un farmaco al di fuori delle
indicazioni terapeutiche ufficiali. Si è andati avanti così fino al 2012,
quando l’Aifa decide di escludere Avastin dagli «off label». Da allora la
sanità pubblica ha passato solo il Lucentis, spendendo 45 milioni di euro in
più rispetto all’Avastin.
Non è certo la prima volta che una casa
farmaceutica (o due in combutta fra loro) favorisce un farmaco più remunerativo
a scapito di farmaci ugualmente efficaci e sicuri ma più economici. È successo
ad esempio per il gabapentin e il pregabalin, due principi attivi molto simili
che si usano contro il dolore neuropatico. Il primo è più vecchio: quando il
brevetto è scaduto il produttore, Pfizer, ha messo il secondo sul mercato con
un costo più alto, organizzando campagne per decantarne le proprietà
innovative.
Ed ecco un altro problema. Spiega Garattini:
«Ci sono molti farmaci, forse troppi, con le stesse indicazioni
terapeutiche. Degli antipertensivi, per esempio, si contano alcune centinaia di
confezioni. Come mai? Sono tutti necessari? Per l’approvazione di un nuovo
farmaco la legge europea richiede tre caratteristiche: qualità, efficacia,
sicurezza. “Qualità”: il farmaco deve possedere sempre la stessa composizione, essere
stabile per un certo periodo, così da fissarne la scadenza, e assorbibile per
poter penetrare nel sangue. “Efficacia”: capacità d’esercitare un effetto
benefico, mentre “sicurezza” significa conoscenza degli effetti collaterali.
Nulla da eccepire, senonché queste caratteristiche non sono valori assoluti: andrebbero
confrontati con quanto già esiste in terapia per le stesse indicazioni. Ma i confronti
non vengono richiesti dalla legge, quindi c’è la possibilità che un nuovo
farmaco sia meno attivo o più tossico di quelli già disponibili».
C’è, infine, un problema di buon senso. Avastin
costa 15 euro a iniezione, Lucentis 750. Quando fu introdotto, il suo prezzo
era addirittura 1.500. «Se il produttore si fosse accontentato di un prezzo superiore
ma accettabile, per esempio 200 euro, il caso non sarebbe nato», spiega il
dottor Piovella. Insomma, le case farmaceutiche hanno il diritto di guadagnare
dai farmaci che producono. Anche perché i loro brevetti scadono dopo vent’anni.
Ma con misura.
Mauro Suttora
Ha collaborato Valentina Arcovio
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