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Monday, September 28, 2020

Donald Trump, uomo di successo sempre sull'orlo del baratro

Come un equilibrista, ha dichiarato più volte bancarotta quando i suoi palazzi e casinò rimanevano invenduti, e le banche rifiutavano di rifinanziare i fidi. Ma poi è sempre risorto. Idem nella sua incredibile carriera politica, al bivio del 3 novembre

di Mauro Suttora

Huffington Post, 28 settembre 2020
 

Nel 2017 un lavoratore single senza figli negli Usa con salario di 18mila dollari ne ha pagati 760 in imposte federali sul reddito. Più del suo presidente miliardario, Donald Trump, che in quell’anno ne ha versati 750. E che, stando ai documenti pubblicati dal New York Times, ha evaso o eluso ben 400 milioni di dollari negli ultimi vent’anni.

A stabilire se Trump abbia commesso reati e scorrettezze sanzionabili (con 200 milioni, stima il NYTimes) sarà il temibile Irs (Internal revenue service), l’Equitalia statunitense. Famoso per la sua velocità: negli Usa si dichiarano i redditi entro il 15 aprile, e dopo soli due mesi arriva a casa l’assegno se si risulta a credito, o la cifra da pagare se i controlli decidono che si è in debito. In Italia occorre un tempo trenta volte superiore: cinque anni. 

L’Irs è anche severo: gli evasori negli Usa finiscono in carcere, con condanne medie di 3-5 anni. Ogni anno sono circa 1.500 gli incriminati. Ma la via preferita è il patteggiamento (con multa). Su 3.500 miliardi di entrate, infatti, 14 milioni di furbetti ne evadono 130, un terzo rispetto all’Italia. Però quasi tutti preferiscono comporre amichevolmente.  

Trump invece, come al solito, preferisce la guerra. Il suo ‘audit’ (contenzioso) col fisco Usa dura da anni. Strano, data la rapidità che abbiamo illustrato. Un occhio di riguardo per il presidente? Il risultato dei favori fiscali repubblicani ai ricchi nell’era Bush junior?  

In ogni caso, è incredibile che il presidente abbia finora usato come scusa l’ispezione in corso per non rendere pubbliche le proprie dichiarazioni dei redditi. È la prima volta in mezzo secolo (dai tempi del gentiluomo Richard Nixon) che un presidente Usa si sottrae a questo elementare obbligo di trasparenza.

 “Ora si capisce perché”, è stato il commento quasi unanime ieri negli Usa, dopo le rivelazioni del NYTimes: per ben dieci anni su quindici prima di essere eletto, infatti, Trump non avrebbe pagato neanche un cent di imposte. E se lo si fosse saputo, non sarebbe stato eletto.

Può anche darsi che sia permesso spacciare 75mila dollari di parrucchiere per spese detraibili, perché Donald doveva apparire nel suo show tv “The Apprentice”. Ma come farà sua figlia Ivanka a giustificare i 747.622 dollari incassati da una società del padre, quando esattamente la stessa cifra risulta pagata a un consulente anonimo per il progetto di hotel a Vancouver e nelle Hawaii?

La verità è che per tutta la vita Trump è sempre stato in bilico fra successo e fallimento. Come un equilibrista, ha dichiarato più volte bancarotta quando i suoi palazzi e casinò rimanevano invenduti, e le banche rifiutavano di rifinanziare i fidi. Ma poi è sempre risorto, anche perché fallire negli Usa non è così grave come in Europa. 

Idem nella sua incredibile carriera politica, cominciata cinque anni fa. Sembra sempre sull’orlo del baratro, dell’impeachment, dello sputtanamento irreversibile. Invece poi rimbalza, e ce la fa a liquidare qualsiasi accusa come “fake news”. Anche perché non è escluso che quell’operaio o commessa single che paga più tasse di Trump nonostante guadagni in un anno 18mila dollari, ovvero quanto lui consuma in una sola settimana per il carburante del suo jet privato, fra un mese non voti di nuovo per lui.

Mauro Suttora

Wednesday, May 06, 2020

I presidenti Usa non usano le guerre per vincere le elezioni

Secondo un luogo comune abbastanza diffuso, i presidenti Usa userebbero le guerre per farsi eleggere.
Niente di più falso.
Dopo il jingoismo di Theodore Roosevelt di 120 anni fa, gli Usa sono sempre stati riluttanti a combattere.
L'isolazionismo e il pacifismo erano così diffusi che ci vollero l'incidente del Lusitania e Pearl Harbour a farli entrare nelle guerre mondiali, e sempre 2-3 anni dopo il loro inizio.

La guerra di Corea scoppiò nel 1950, quindi lontana dai voti presidenziali 1948 e 1952.
Idem per il Vietnam: Johnson cominciò l'escalation nel 1965, subito dopo essere stato eletto nel novembre 1964.
Per lui è vero il contrario: la trappola della guerra lo distrusse, tanto che neanche si ripresentò nel 1968.
Nixon, l'orrido Nixon, fece pure lui il contrario del guerrafondaio: per vincere il voto 1972 firmò gli accordi di pace a Parigi nel 71.

Reagan nonostante l'aumento delle spese militari non fece guerre, tranne la mini-invasione di Grenada.
Bush padre era lontano dal voto 1992 quando scatenò la prima guerra del Golfo nel 1990 (chiaramente voluta dal complesso militare industriale Usa per giustificare le spese belliche dopo il crollo del comunismo).
Infine Bush figlio: invase Afghanistan nel 2001 e Irak nel 2002, lontano dal voto del novembre 2004.
E negli ultimi 18 anni niente guerre 'boots on the ground': il periodo di pace più lungo dopo i 23 anni fra le due guerre mondiali