IL CONTRARIO DI BERLUSCONI
Oggi, 16 novembre 2011
di mauro Suttora
È l’esatto contrario di Silvio Berlusconi. Entrambi milanesi: Mario Monti è nato a Varese solo perché nel 1943 i suoi erano sfollati in fuga dai bombardamenti. Ma il nuovo premier e il suo predecessore sono agli antipodi. Il primo è timido e riservato, il secondo solare ed espansivo. «L’ultima volta che l’ho visto a Bruxelles a una riunione di bocconiani», racconta un ex studente del professor Monti, poi anche rettore e presidente (dal ’94, dopo Giovanni Spadolini) dell’università Bocconi, «dopo un po’ se n’è andato. “Scusatemi, devo correre a casa”, ci ha detto, “viene un fabbro a ripararmi la serratura”».
Non un simpaticone, insomma, anche se di humour è dotato. Berlusconi quella volta avrebbe fatto le ore piccole, soprattutto in presenza di studentesse. Il massimo della mondanità di Monti, invece, è accompagnare sua moglie Elsa alle serate di beneficenza per la Croce Rossa, di cui lei è attiva sostenitrice. Per il resto, solo privatissimi inviti a cena dagli amici economisti di lunga data, o da fidati conoscenti della ristretta haute milanese. Uno dei rari salotti frequentati: quello dell’editrice oggi 76enne Rosellina Archinto. Altro che Briatore e Billionaire.
L’understatement come religione. Sobrietà obbligatoria. Donne: sposato a 24 anni. Fine, nessuna distrazione. Dalla grigia Milano Monti si è spostato quattro volte: nel ‘66 per il master a Yale, nella noiosa New Haven invece che nella vicina sfolgorante New York; tre anni dopo la prima docenza a Trento dove studiavano il fondatore delle Brigate rosse Renato Curcio e i sessantottini, immaginate l’allegria; e poi nelle ancor più grigie Torino (cattedra di Economia politica, 1970-’85) e Bruxelles (commissario Ue 1994-2004). «Troppo milanese per Roma, troppo inglese per l’Italia», ha scritto Enrico Cisnetto.
Berlusconi esibisce orgoglioso a chiunque, da Clinton a Lavitola, da Putin alle Olgettine, le sue ville con cactus in Sardegna? Nessun estraneo è mai stato nell’appartamento di Monti, palazzo borghese in una delle vie più eleganti di zona Fiera. Il prof va in vacanza vicino a Saint Moritz. Lì incontrava Gianni Agnelli, estimatore delle sue battute taglienti e asciutte, altro che le barzellette cochon di Silvo. Ma l’occhiuto ufficio stampa Bocconi ridimensiona: «Valle Engadina».
Silvio è caduto per colpa dell’Europa che l’ha sempre osteggiato come corpo estraneo? Monti non corre questo rischio. Perché lui «è» l’Europa. Sette anni fa Berlusconi gli preferì Rocco Buttiglione a Bruxelles: il filosofo di Cl fu subito bocciato dall’Europarlamento. Invece il prof si prese subito la sua silenziosa rivincita fondando Bruegel, che in pochi anni è diventato il think tank più prestigioso del continente: «Il rapporto Monti del 2010 è considerato il vangelo della futura Unione europea», ci dice Gianfranco Dell’Alba, direttore Confindustria a Bruxelles, già eurodeputato.
Oscuri «poteri forti» internazionali speculano sullo spread italiano? Beh, se veramente esistono (ma non sono segreti, hanno perfino un sito web), Monti è socio di tutti gli spauracchi dei complottisti, dal club Aspen a Bilderberg; è advisor della banca Goldman Sachs; della Trilaterale è addirittura il presidente europeo.
Anche in Italia l’establishment economico ha sempre considerato Berlusconi un parvenu? Monti ne fa parte da sempre. Il padre, anch’egli bocconiano, era dirigente di grandi banche. Lui, liceo classico al Leone XIII dei gesuiti (con Massimo Moratti, l’ex sindaco Gabriele Albertini), esordì come assistente di Innocenzo Gasperini, poi rettore Bocconi. A soli 27 anni consulente Comit, di cui poi è vicepresidente (si dimette polemicamente nel ’90 contro la lottizzazione Dc e Psi). Colleziona i massimi consigli d’amministrazione: Generali, Ibm, Fiat (qui entra addirittura nel comitato esecutivo fino al ’93 con i fratelli Agnelli, Romiti e Grande Stevens).
«Ho conosciuto Monti quand’è venuto nel ’69 a Trento, dov’ero rettore», dice a Oggi Francesco Alberoni. «Serio, preciso. Poi ci ci vedevamo ai seminari Ambrosetti di Villa d’Este, a Cernobbio. Ogni anno Prodi moderava i lavori con stile ridanciano. In seguito gli subentrò Monti, anche lui brillante ma con più aplomb».
Nei primi anni 70 Berlusconi ancora trafficava con Milano 2 mentre l’enfant prodige Monti, già editorialista del Corriere della Sera, bacchettava Guido Carli, governatore della Banca d’Italia. Continuò con Carlo Azeglio Ciampi, lo chiamavano «governatore ombra». Negli anni 80 avvertiva: il debito pubblico (quello che ora ci strangola) aumenta troppo. Si beccò del «celebre somaro» dal ministro Bruno Visentini. «Demenziale», bollò invece il ministro del Tesoro Usa nel 2001 il divieto di Monti alla fusione da 42 miliardi Honeywell-General Electric, che violava l’antitrust europeo.
Berlusconi le maximulte le prende: 560 milioni per la Mondadori. Monti le dà: 497 milioni alla Microsoft perché non rispettava la concorrenza. Il professore liberista colpisce i capitalisti peggio di un comunista, se diventano monopolisti. Anche a Berlusconi piace la libertà, ma con un Monti all’antitrust difficilmente avrebbe potuto diventare monopolista della tv privata.
Il conflitto d’interessi, infine. Berlusconi ne è il simbolo. Monti invece ha litigato col figlio Giovanni perché studiasse economia a Pavia e non nella Bocconi che dirigeva: «Mi imbarazzi». Ha perso. Oggi Monti junior è alto dirigente Parmalat, dopo aver lavorato a Londra per Citigroup e Morgan Stanley. Per fortuna l’altra figlia Federica, 41 anni, non lo ha fatto soffrire: scienze politiche in Cattolica.
Mauro Suttora