AVEVANO PROMESSO DI VIVERE CON 2.500 EURO AL MESE. ALCUNI EURODEPUTATI OGGI POSSONO ARRIVARE A 40MILA. NON PUBBLICANO RENDICONTI. A MILANO IL M5S NASCONDE I RISULTATI DELLE PRIMARIE PER IL SINDACO. E A TRIESTE CANDIDANO LA MOGLIE DI UN EURODEPUTATO
di Mauro Suttora
Oggi, 9 dicembre 2015
All’inizio facevano a gara su chi restituiva di più. Due anni e mezzo fa i 163 neoparlamentari grillini (oggi fra espulsi e scappati sono rimasti in 127) rinunciavano con orgoglio a 5-6mila euro mensili, sui 14mila netti che spettano a ogni parlamentare italiano.
Oggi, invece, la media dei tagli di stipendi e rimborsi si è dimezzata a 2-3mila euro al mese. Sono sempre i migliori, intendiamoci: pubblicano sul sito www.rendiconto.it le distinte delle loro spese, e si vantano di versare i milioni di euro così risparmiati in un fondo ministeriale di garanzia per le piccole e medie imprese.
Ora vogliono abitare tutti nel centro di Roma
Ma l’entusiasmo del 2013 è svanito. Ora alcuni di loro riescono a spendere oltre 2mila euro per l’alloggio a Roma. Un tempo politici di alto livello come Togliatti, De Gasperi, Pertini o Nenni si accontentavano di affitti in periferia (Balduina, Garbatella). Oggi anche gli ex francescani 5 stelle, forse in omaggio al loro nome, pretendono di avere un “quartierino” di lusso in centro.
Quando si muovono, disprezzano i mezzi pubblici. Ogni mese spendono anche mille euro in trasporti. Poiché godono di aerei e treni gratis, sono spese per taxi e benzina.
Fino agli anni 80 i portaborse non esistevano. Poi i politici riuscirono a mettersi nello stipendio le spese per i segretari personali. Nanni Moretti denunciò questo simbolo della partitocrazia nel film Il Portaborse di Daniele Luchetti (1991). Niente da fare. Oggi anche gli antipolitici grillini spendono con allegria migliaia di euro in “assistenti”.
Quasi tutti ne hanno assunti due, nonostante la pletora di funzionari di Camera e Senato che forniscono assistenza a ottimi livelli. E malgrado le decine di milioni di euro che anche il Movimento 5 stelle incassa come finanziamento pubblico ai gruppi parlamentari, debordanti di personale.
Un altro modo per aggirare lo sbandierato rifiuto dei soldi statali sono le cosiddette “spese per attività ed eventi sul territorio”. Quasi tutti gli eletti grillini ormai mettono migliaia di euro in questa voce: stampa di “materiale informativo” per comizi e manifestazioni. Luigi Di Maio, per esempio, 1.900 euro solo nel mese di settembre.
Addio movimento dei cittadini, insomma: i 5 stelle si sono trasformati pure loro in un partito con 1.600 eletti e centinaia di burocrati stipendiati. Gli unici a rispettare la vecchia promessa di vivere con 2.500 euro al mese sono i cento consiglieri regionali. Ma anche loro cercano di svicolare, come dimostrano le recenti proteste degli attivisti in Emilia-Romagna.
700 euro di posacenere per un’eurodeputata
I più fortunati sono i 17 eurodeputati. Fra stipendio e rimborsi vari, dispongono di 41mila euro netti mensili: 21 mila solo per i portaborse. È uno dei tanti scandali di Bruxelles. E i grillini si sono adeguati: non tutti usano il totale dei rimborsi, ma si tagliano dallo stipendio solo mille euro mensili. L’unica virtuosa è la lombarda Eleonora Evi: rinuncia a 3.000 euro.
Contrariamente agli eletti nazionali, solo cinque rendicontano parzialmente le spese. Forse è meglio che non lo facciano, visto che una dichiara di aver comprato “posacenere tascabili ecologici” per 700 euro.
Cinque non hanno neppure una pagina web, in barba alla promessa di essere un movimento on line. Due hanno assunto sette portaborse ciascuno. Di questi, quattro sono “assistenti territoriali”: non stanno a Bruxelles, ma in Italia per curare il loro collegio elettorale.
Gli iscritti protestano. I sondaggi elettorali sono ottimi, «ma il Movimento 5 stelle sta diventando un Collocamento 5 stelle», denunciano su Facebook. Manca ancora mezzo anno alle comunali di giugno, ma i grillini già litigano.
A Torino è stato fatto fuori uno dei due consiglieri comunali uscenti, il pioniere Vittorio Bertola: considerato troppo vicino al dissidente Federico Pizzarotti, sindaco di Parma.
A Trieste un eurodeputato vorrebbe candidare sindaco sua moglie. A Bologna niente primarie: un fedelissimo di Gianroberto Casaleggio, Massimo Bugani, dopo avere eliminato due consiglieri regionali e una collega eletta al Comune (Federica Salsi, espulsa perché osò andare in tv, mentre ora ci vanno tutti) si è fatto proclamare candidato sindaco con lista bloccata.
Vette surreali a Milano. Alle primarie hanno votato solo 300 iscritti (su un totale sconosciuto, perché la società commerciale privata Casaleggio srl non divulga gli elenchi neanche ai parlamentari), e ha vinto Patrizia Bedori con 74 preferenze. Ma i risultati sono stati secretati «per evitare strumentalizzazioni». Dalla democrazia diretta a quella senza risultati.
Il (presunto) secondo classificato, pare a un solo voto dalla Bedori, si è disiscritto dal M5s. Un altro degli otto candidati chiede di annullare il voto.
A Livorno il sindaco Filippo Nogarin ha la città invasa dalla spazzatura. «L’azienda della nettezza urbana era in deficit», si giustifica. Anche Pizzarotti ha trovato Parma in rosso. Però lui sta sistemando i conti senza rivolte popolari.
La città più importante dove si voterà il 12 giugno è Roma. Qui i grillini sono in alto mare, anche se i sondaggi li danno in testa come partito (come singoli vincerebbero Giorgia Meloni o Alfio Marchini).
Alessandro Di Battista è popolare, ma non lo candidano per un’astrusa regola grillina che obbliga gli eletti a finire il proprio mandato. Se fosse applicata a tutti, non sarebbero stati eletti né Matteo Renzi né Sergio Mattarella. Ma Beppe Grillo ama divertirci.
Mauro Suttora
Mauro Suttora