www.Dagospia.com 29 maggio 2002
INTERVISTA A RODOLFO MIRRI
Nel suo ultimo film, "C’era un cinese in coma", Carlo Verdone svela il misero sottobosco del mondo dello spettacolo, fatto di agenti senza scrupoli (come il personaggio da lui interpretato), produttori avidi e «showgirl» disposte a tutto pur di «sfondare». Lo stesso tema è stato affrontato da Luca Barbareschi nel suo spettacolo teatrale più recente, La grande truffa. Ma com’è realmente il «dietro le quinte» di televisione, cinema e musica, quel magico mondo di paillettes e lustrini, applausi e miliardi che dà tanto a chi agguanta il successo, ma poco a chi rimane comparsa per tutta la vita?
Lo abbiamo chiesto a Rodolfo (Rody) Mirri, 48 anni, agente e produttore televisivo che due anni fa si è innamorato di una bella modella spagnola, ha mollato tutto, si è trasferito a Madrid e adesso fa avanti e indietro con le Canarie, dove a Fuerteventura gestisce un agriturismo di lusso. È una delle pochissime persone, forse l’unico oggi in Italia, che può permettersi di dire pubblicamente la verità su questo mondo, perché lo ha conosciuto a fondo per un quarto di secolo, ma non deve più sottostare ai ricatti e alle omertà di chi, bene o male, deve ancora viverci (e lavorarci) dentro. Mirri è insomma un prepensionato volontario, che ha accettato di farci da cicerone in questo ambiente, allo stesso tempo splendido e squallido.
«Quando in Spagna ho letto di rimbalzo sui giornali italiani che la Bbc aveva creato uno scandalo nel mondo della moda a Milano, svelando i ricatti a base di droga e di sesso cui sono sottoposte le modelle, mi è venuto da sorridere. Tutti infatti nell’ambiente sanno che non c’è nulla di strano in questo, e che anche nell’àmbito dello spettacolo centinaia di belle ragazze si presentano ai “casting”, cioè alle selezioni, con le cosiddette “mutandine in mano”, come si dice con una battutaccia. Che però non è tanto lontana dal vero, perché la maggior parte di queste giovani sono in realtà determinatissime, e disposte a qualunque compromesso pur di farsi notare. I loro genitori, poi, sono ancora peggio: nei concorsi di bellezza le mamme arrivavano a crearti degli imbarazzi...»
Mirri, lei stesso negli ultimi 15 anni è finito non poche volte sulla stampa scandalistica, sempre fotografato accanto a bellissime donne: Veronica Castro, Katharina Miroslawa, la «Valentina» Demetra Hampton, l’ex fidanzata di Jovanotti Carla Liotto, la futura moglie di Eros Ramazzotti Michelle Hunziker...
«Sì, e questo mi creò la fama di seduttore. Quando facevo il produttore tv per programmi che andavano in onda su Mediaset, Rai o Telemontecarlo, alla sera con la scusa di parlarmi di lavoro tutti mi invitavano, sapendo che attorno a me c’erano sempre belle donne E io non avevo difficoltà a trovarle, perché nei camerini e nei corridoi degli studi televisivi c’è sempre una marea di ragazze carine e... disposte a essere disponibili, tanto per capirci. Niente affatto sprovvedute, però: perché al posto del cuore hanno una calcolatrice. Altro che vittime, quindi. Ma guai a chi lo racconta fuori, guai a chi sgarra: se muovi un dito, tutti ti scacciano e ti schiacciano».
Mamma mia, lei ci offre un quadro che potrebbe essere un misto fra Sodoma e Gomorra e il regno delle vendette mafiose.
«Beh, senza scomodare la mafia, i ricatti piccoli e grandi sono un po’ gli stessi. Vi racconto solo uno dei tanti episodi che racconterò in un libro. Un importante capostruttura di una televisione adocchia una ragazza, e ci sussurra la frase tipica: “Ho un programma in ballo, quella voglio vederla da solo, così la conosco meglio”. Lo riferiamo a lei. La ragazza, imperturbabile, sta al gioco, fa finta di niente, gli telefona e si autoinvita a cena casa del tipo. Era un personaggio vecchio, brutto, ma importante. Si fa trovare in vestaglia, le parla un po’, poi si sdraia sul letto. Sotto era nudo. A questo punto la ragazza ha un soprassalto di dignità, si alza, si allontana e gli urla: “Ma tu hai moglie, due figli, non ti fai schifo?” E quello gli risponde tranquillo: “Se non vuoi, prendi il taxi e vai”. Ovviamente il giorno dopo la ragazza perse le chances per essere candidata a quel posto. Ma siccome non era Santa Maria Goretti, quindici giorni dopo si pentì. Andò a trovare il tizio, e quello le dice: “Ma guarda che combinazione, sto proprio partendo per Montecarlo! Vuoi accompagnarmi?” Sono stati assieme una settimana. Poi, ognuno per la sua strada. Quella ragazza oggi è una quotata showgirl e presentatrice televisiva, sia per Rai che per Mediaset».
Beh, è da un secolo che a Hollywood si raccontano episodi su certi leggendari divani dei produttori...
«Sì, ma la cosa più impressionante è l’“effetto Ava”».
Prego?
«“Ava come lava”, lo slogan di quella pubblicità del detersivo. È incredibile come nessuno osi più parlare degli inizi di certe cosiddette “donne di spettacolo” dopo che sono sbocciate e hanno fatto un minimo di carriera. Allora diventano improvvisamente tutte buone, tutte sante, tutte vergini, tutte rispettabili. Eppure tutti noi nell’ambiente ci ricordiamo perfettamente quello che hanno dovuto e voluto fare per arrivare dove sono arrivate. Ma lo sa che noi agenti, quando prendiamo una ragazza a contratto, le organizziamo tutto, scientificamente? Dobbiamo occuparci anche di prepararle gli scoop, farla “fidanzare” con il personaggio giusto, farla fotografare in certi locali...»
Fuori i nomi, Mirri.
«Figurarsi, così poi mi querelano. Posso dire i peccati ma non i peccatori, e le peccatrici. Anche perché ho lavorato pure con dei veri professionisti che sono al di sopra di ogni sospetto».
Per esempio?
«Beh, Alessia Marcuzzi, una ragazza seria come poche. Era già abbastanza famosa perché aveva fatto il Gioco dell’oca con Gigi Sabani. Dovevamo girare il numero zero di una nuova trasmissione, Night fever, un viaggio fra i mestieri della notte. Rimase al freddo all’aperto a Como fino alle sei del mattino, senza lamentarsi.
«Un altro eccellente personaggio che ricordo con grande ammirazione e rispetto è Lorella Cuccarini. Era il 1991, e stavamo preparando Bellezze sulla neve a Madonna di Campiglio. Dopo avere provato fino a mezzanotte i balletti, si alzava alle sei e mezzo del mattino perché alle otto voleva andare a lezione di pattinaggio, per perfezionarsi: una serietà eccezionale. Confesso che le feci anche un po’ la corte, siamo stati per tre mesi nello stesso albergo e due o tre volte le mandai un mazzo di fiori in camera. Lei con molta classe e nonchalance mi ringraziò per i fiori, ma non mi concesse mai un sorriso in più del dovuto. Poi capii che era già impegnata con il suo attuale marito, ma allora nessuno sapeva ancora nulla.
«Di quel periodo ho anche un altro ricordo, pittoresco: a mezzanotte andavo a mangiare con Marco Columbro, ma siccome lui è vegetariano mi toccavano solo le verdure... Insomma, poi mi toccava raggiungere gli altri e lì potevo abbuffarmi. Anche Columbro è una persona seria, che non dà spazio a confidenze».
Lei divenne famoso nella prima metà degli anni Ottanta come manager della regina delle telenovelas Veronica Castro.
«Sì, fu un periodo incredibile. Ma anche di recente, quando Veronica è tornata in Italia per partecipare alla trasmissione di Paolo Limiti, mi hanno detto che l’Auditel ha registrato un picco di audience. Allora venne in Italia per registrare la prima telenovela europea, Felicità dove sei, che però andò malissimo: il produttore Peruzzo ci rimise un paio di miliardi. Invece Anche i ricchi piangono fu un successone: quando andò in onda la puntata finale le strade al Sud erano deserte, perché le prime telenovele erano un fatto sociale. Veronica era famosa in tutto il mondo, non solo in Spagna e America Latina: anche in Russia era una star. Una volta andammo insieme ad Acerra per ritirare un premio, e all’aeroporto di Napoli c’erano cinquemila persone ad aspettarci. Ricordo che scappammo in ambulanza dal retro. Lei visse tre anni gloriosi qui in Italia, prima di tornare nel suo Messico: partecipò a un’edizione di Premiatissima con Nino Manfredi e Johnny Dorelli. Con me era gelosa, possessiva e diffidente».
Poi, nel 1986, lei fece notizia perché diventò il manager di Katharina Miroslawa, la ballerina polacca che è stata riacciuffata un mese fa a Vienna dall’Interpol. Allora era stata appena accusata di aver ucciso il suo amante, il ricco industrialotto emiliano Mazza. Come riuscì a trasformare un’imputata di omicidio in un pruriginoso successo commerciale?
«Ricordo perfettamente che un giorno mi trovavo negli studi tv di Cologno Monzese, e mi telefonò un amico fotografo dell’agenzia Olympia. “Corri qui a Parma”, mi disse, avvertendomi che nell’appartamento dove la Miroslawa era stata confinata agli arresti domiciliari erano già arrivati due o tre manager che volevano accaparrarsela. Io mi precipitai, parlai con l’avvocato Ugolini che la difendeva, mi presentai, le parlai e fu lei a scegliermi. Non perché fossi il più bravo: simpatia, fortuna, chissà. Cominciarono così otto mesi indimenticabili. Per prima cosa dovetti andare in procura, al palazzo di Giustizia, per farle avere il permesso di lavorare. Poteva lasciare l’appartamento di Parma soltanto per andare nei locali di tutta l’Italia settentrionale dove si esibiva, e nelle tv dove la intervistavano...»
Secondo lei è colpevole o innocente?
«Innocente, assolutamente. D’altra parte l’unico possibile movente erano i soldi dell’assicurazione, ma quel miliardo in questi 14 anni lei non lo ha mai incassato. Però era molto scaltra. Ed era anche bellissima, sensuale, faceva impazzire tutti. Ma amava anche divertirsi. Confesso di avere avuto una relazione con lei. Dopo che avevamo fatto l’amore la prima volta le chiesi, un po’ stupito: “Ma come riesci a farlo, lui è stato assassinato soltanto pochi giorni fa e tu dici che lo amavi. Non sei imbarazzata?” Lei mi rispose, gelida: “Voi italiani siete tutti uguali, il lutto io lo porto dentro di me. Nessuno può sapere cosa c’è dentro la mia testa”.
«Il momento più drammatico fu l’incontro col suo marito polacco. Era sospettato anche lui per il delitto, dicevano che l’aveva aiutata a uccidere Mazza. Dopo due mesi di galera lo rilasciarono, e io avevo un po’ paura perché ormai era noto che fra me e Kataharina non c’erano soltanto rapporti di lavoro. E infatti la mattina dopo la segretaria mi telefona: “Guardi che è passato il marito che la cercava”. Io mi guardo bene dall’andare in corso Buenos Aires a Milano, dove avevo il mio ufficio, e quello torna a cercarmi per ben tre volte in un’ora. Io dovevo andare lì, non sapevo che fare. “Cazzarola, adesso chiamo la polizia per farmi proteggere”, pensavo. Alla fine, mentre cammino sul marciapiede del corso, una mano mi afferra sulla spalla. Mi viene un brivido, mi volto, e me lo trovo di fronte. Aveva un grosso cappello. Mi guarda con quei suoi occhietti freddi da polacco e mormora: “Non ho un soldo in tasca...” Aveva solo bisogno di lavorare, poverino. Katharina intanto aveva un successo enorme, c’era il tutto esaurito in ogni locale dove si esibiva. Ma dopo qualche mese se ne andò, e non l’ho più rivista né sentita».
In quella stessa estate ’86 lei curava una rubrica di moda all’interno di un tour di cantanti, fra i quali c’era Umberto Tozzi.
«Sì, era Incontri d’estate: fu proprio lì che Umberto conobbe la sua attuale moglie, Monica Michelotto, che gli ha dato due figli. Lei faceva l’indossatrice per la sfilata che mettevamo in scena ogni sera, lui era uno dei ‘big’. La prima volta che glielo presentai lei mi confidò: “Non mi piace, è simpatico ma è tutto rosso, ha troppe lentiggini...” Tra i due scoppiò subito una simpatia, e si misero assieme. Ma era imbarazzante, perché Tozzi aveva già una compagna, che ogni tanto veniva a trovarlo. Tutti sapevano, c’era un gelo...
«Nelle tournées è consuetudine che gli artisti non si portino appresso mogli e fidanzate. Anche perché così si risparmia : infatti, se all’inizio ci vogliono cento stanze, dopo due settimane basta prenotarne 50, visto che quasi tutti si sono già più o meno accoppiati. Quella storia di Tozzi però non finì bene: dai giornali seppi che la sua ex compagna combinò dei casini per una storia di assegni. Lui non la denunciò perché era la madre di suo figlio, ma i rapporti fra loro rimasero pessimi per anni. Comunque lui rimane un grande».
Poi ci fu lo scandalo con la moglie di Ruud Gullit.
«Ah, sì, Yvonne. Ci fotografarono assieme, ma era uno scoop preparato. Lei era già in crisi col marito, voleva andarsene da Milano perché lui aveva una storia con una giornalista di un importante quotidiano. Quando pubblicarono gli articoli con le nostre foto ci fu un putiferio. Cesare Cadeo, che era consigliere d’amministrazione del Milan, mi chiamò avvertendomi che i tifosi erano incazzatissimi, perché in quel periodo Gullit non giocava bene, e loro davano tutta la colpa alla moglie. Quello che fece imbestialire Gullit fu soprattutto il fatto che nelle foto comparivano anche i suoi figli, e ammetto che non aveva torto».
Lei conosce bene anche il mondo del calcio?
«Lo sport ormai è contiguo con l’ambiente dello spettacolo, tutti frequentano gli stessi locali la sera. Alcune show-girl televisive hanno preso il posto di quelle che un tempo erano le attricette nel cuore dei campioni. Questi ogni tanto perdono la testa, e le prestazioni sportive ne risentono. Leggendaria, per esempio, rimane la sbandata di Walter Zenga per Marina Perzy: lui la mollò da un giorno all’altro nella casa milanese di corso Garibaldi, perché Bearzot lo aveva richiamato in nazionale e il presidente dell’Inter Pellegrini gli ordinò, letteralmente, di tornare a casa dalla moglie. Oppure Alberto Tomba, che prima di mettersi con Martina Colombari si esaurì in una strepitosa notte d’amore con la valletta di un noto programma sportivo: il giorno dopo perse per la prima volta, a Madonna di Campiglio. Il problema con alcune mogli, e non solo di calciatori, è che tutti ci ricordiamo di quando, prima di conoscerli, non disdegnavano di farsi invitare per lussuosi week-end a Montecarlo o a Porto Cervo in cambio magari di un simpatico “regalino”».
Le ripeto: fuori i nomi, Mirri.
«Le ripeto: neanche per sogno. Magari nel libro seminerò qualche indizio in più. Ma se raccontassi tutto quello che ho visto con i miei occhi, mi strangolerebbero».
Allora ci riveli qualche peccato senza il nome del peccatore.
«Nell’ambiente tutti sanno di quella cantante-presentatrice che si faceva zompare dai macchinisti dietro ai camion nel parcheggio degli studi televisivi. E noi lì, che non credevamo ai nostri occhi mentre la vedevamo tornare calma sul piazzale, riaggiustandosi il tailleur. La nota conduttrice tv che, sposata con due figli, ci fa aspettare fino a mezzanotte mentre stiamo registrando una sit-com: “Vado un attimo a prendere il caffè”, ci aveva detto alle sei del pomeriggio, prima di scomparire in auto con un aitante giovanotto. La notissima presentatrice bionda che aveva il vezzo di tenere in borsetta un vibratore di colore oro, e si arrabbiò come una matta quando per scherzo glielo tirarono fuori sul tavolo al ristorante...
«Ci sono personaggi, poi, che spendono decine di milioni per far scomparire foto compromettenti di se stessi o delle proprie fidanzate. Un celebre presentatore tv sposato fu beccato una notte avvinghiato a una bellezza a Riccione uscendo da un pub in viale Ceccarini: si agitò come un matto per non fare pubblicare nulla. E dopo che feci fare delle foto a Ramona Badescu, sempre a Riccione, il suo marito avvocato le ritirò. E questo ‘sequestro preventivo’ si è ripetuto: “Grazie a te ho guadagnato una cifra, l’avvocato di ... mi ha comprato tutti i rullini per far sparire ogni foto”, mi ha confessato un mio amico fotografo che mi aveva immortalato in un locale di Cortina assieme a ...»
E la droga?
«Tutti sanno che gira, e anche chi la usa. Magari qualcuno di questi lo ritrovi in tv che predica bene. Una decina d’anni fa eravamo in una discoteca di Riccione, buttarono dell’extasy nel bicchiere di un capostruttura Rai ignaro di tutto. Cominciò a ballare sui cubi scatenato, non la smetteva più. Un tizio che ora, ho scoperto, si è riciclato come autore di programmi tv, spacciava le pillole di extasy a 30-40 mila lire l’una. E adesso lo rispettano pure».
Quali sono le attrici o soubrettes che lei può veramente vantarsi di avere scoperto e lanciato?
«Il mio lavoro era quello di produttore tv, però ho contribuito a lanciare diversi personaggi. Sono stato il primo, ad esempio, a mettere sotto contratto Vittoria Belvedere, che iniziò la carriera in Piazza di Spagna assieme alla Cuccarini. Aveva 18 anni quando la notai in un casting, posò per delle foto di un libro di Bruno Oliviero che poi finirono su Sette. Io prima di firmare un contratto con una ragazza molto giovane voglio conoscere i genitori, così andammo a Vimercate dove suo padre faceva il muratore. Una famiglia umile ma di grande dignità, e la cosa più bella era che lei non si vergognava affatto delle sue origini, a differenza di molte altre. Poi Vittoria passò ad un’altra agenzia senza dirmi nulla, ma io non le feci causa, perché in effetti non la seguivo bene.
«Posso dire anche che ho aiutato Carla Liotto, attuale moglie del calciatore Simone. Faceva parte della claque della Buona Domenica presentata da Jerry Scotti e dalla Cuccarini. Ero andato lì per salutare Lorella, e intravidi subito questa fanciulla molto carina. Allora seguivo Superclassifica Show presentata da Seymandi su Canale 5. Gliela presentai e gli piacque molto, le dedicò perfino delle poesie e le fece presentare sei-sette puntate. Carla era un vero fenomeno: sapeva esattamente quello che voleva, culturalmente era quasi zero, ma in compenso era molto carina, e soprattutto scaltra come poche. I giornali parlarono di una sua storia con Jovanotti: io so di certo che abitavano nello stesso palazzo. Poi cominciò a esibirsi da Costanzo, riuscì a passare alla storia recitando la parte della tipa che voleva sposare un miliardario».
Con alcune di queste ragazze ha avuto delle relazioni.
«A volte capita. È quasi naturale, vivendo gomito a gomito per mesi, in una vita disordinata, piena di viaggi e di glamour, ma anche di tanta malinconia quando ci si ritrova da soli la sera in una stanza d’albergo. E allora è facile avere bisogno di qualcuno. Però ci si divertiva e si rideva. Una volta accompagnavo su un’Alfa 90 aziendale con autista una showgirl oggi famosissima che doveva presentare una serata a Pordenone. Eravamo sull’autostrada, e fra Verona e Padova abbiamo fatto l’amore. L’autista guardava nello specchietto retrovisore, e mi sembrava di essere come Richard Gere che lo fa in quel film, su una limousine a Washington...»
Fu fotografato anche con Demetra Hampton.
«Dopo la sua storia con Armanini, l’assessore finito in prigione per Tangentopoli, la prendemmo per un programma. Dovevamo fare due numeri zero, uno a Santa Margherita Ligure e uno in Sardegna. Ma era un momento molto difficile per lei, nelle prove non era in grado di condurre e a un certo punto scoppiò a piangere, lanciò una bottiglia contro il muro e se ne andò. Poi riuscimmo a convincerla a tornare. Il copione prevedeva che dovesse spogliare un ballerino, ma lei mi chiese di sostituirlo nelle prove. Il problema era che in quel periodo beveva vodka dal mattino alla sera. Era una bella ragazza, ma si lamentava: “Costanzo mi chiama soltanto per il mio sedere nel giorno di San Valentino”».
Quali altre ragazze ricorda?
«Tante, forse troppe. Con una di loro organizzammo un finto scoop con i fiocchi, si fece fotografare con Alberto di Monaco e per un po’ passò per la sua fidanzata. Ho visto anche ultimamente che questa è una scorciatoia ancora molto utilizzata per raccattare un po’ di pubblicità. Lei però era bene introdotta nel Principato, voleva tradurre in italiano una canzone appena incisa dalla principessa Stéphanie. Ricordo dopo una serata a Mantova, finimmo in un albergo dove mi avevano dato una stanza separata da quella vicina soltanto con una porta, era una suite divisa in due. Non dormii per ore, perché nell’altra stanza c’era una famosa cantante che lanciava rantoli rumorosi mentre faceva l’amore. Un’altra sera andai con quest’attrice al Vogue di corso Buenos Aires, allora era un locale che tirava, e incontrai un mio amico grosso industriale che mi chiese: “Quella mi fa impazzire, sta con te?” E io gli risposi: “Sì e no, vai pure, non c’è problema”. Una settimana dopo mi telefonò: “Ce l’ho fatta. Sai come l’ho conquistata? Un Cartier con brillantini e un biglietto”».
Capitava spesso?
«Negli anni Ottanta a Milano era così, c’erano questi industrialotti carichi di soldi che si illudevano di poter comprare tutto. I grossi personaggi non si sputtanavano per una donna, ma nel demi-monde circostante certi ricconi laidi accumulavano figuracce su figuracce. Una ragazza poi diventata famosissima fu convocata per un casting alle otto di sera nella suite di uno che si spacciava per un grande industriale svizzero, in un grande albergo nel centro di Milano. Lei era in minigonna, decolleté e tacchi a spillo. Lui chiuse la porta a chiave e le disse subito brutalmente, senza preamboli: “So che non disdegni i soldi, dimmi quanto vuoi”. Arroganza allo stato puro. Quella ovviamente protesta, si irrigidisce, vuole andarsene. E lui allora cosa fa? Non trova di meglio che aprire il cassetto e mostrarle una pistola. Lei inventa la scusa delle mestruazioni, e riesce a limitarsi a un rapporto orale. Poi corre in commissariato, vuole denunciarlo per violenza carnale, almeno per atti di libidine. Ma i poliziotti le dicono di riflettere, perché il tizio aveva una suite, ci poteva portare chi voleva, e lei era entrata spontaneamente. Per la pistola era a posto, aveva il porto d’armi. Così lei lo denunciò, ma non riuscì a dimostrare di non essere stata consenziente».
Lei ha lavorato anche in produzioni con i «grandi»: Morandi, Venier, Walter Chiari.
«Sì. Chiari e Franco Califano li ho conosciuti quand’ero agli inizi, nel 1977-78. C’era uno spettacolo con Dee Dee Jackson allo Studio 54 di Milano, l’attuale Rolling Stone. Due personaggi eccezionali, ma circondati da un corte di approfittatori. Walter era perennemente in ritardo, mentre di Califano ricordo la generosità: una volta, in via Sisto IV a Roma, regalò un motorino nuovo a un ragazzino che incontrammo piangente perché gliel’avevano appena rubato. Con Morandi e la Venier invece ho lavorato nel ’95, quand’ero responsabile delle location ad Andalo e a Molveno per La voce del cuore, quattro puntate su Canale 5. Niente aneddoti, persone serie. Ricordo che c’erano anche Andrea Roncato e una giovanissima e sconosciuta Claudia Pandolfi».
E Canelle?
«Pochi sanno che Canelle ha una figlia, Rebecca, oggi diciottenne molto bella, avuta da un fiorentino morto per infarto a Porto Cervo in circostanze misteriose. In Italia Canelle esplose come “ragazza delle Morositas” e poi a Sanremo, ma in Francia era già famosa. In Italia ebbe problemi con un grosso discografico che le aveva promesso mari e monti, ma che in realtà voleva soltanto quella cosa lì».
Altri ricordi?
«Federica Moro, abbiamo lavorato assieme due mesi a Tmc: è l’espressione più vera della donna mediterranea. Una seria professionista, ma allora era ancora un po’ insicura. Valentina Converso ebbe il suo quarto d’ora di celebrità come “amore segreto” di Zucchero. Rosita Celentano: una delle persone più simpatiche che esistano. Le feci condurre La canzone del cuore nell’estate ‘96, quando incise il suo primo disco che si intitolava FdM, cioè Faccia di Merda. Allora Rosita era fidanzata con Francesco, ex marito di Samantha de Grenet.
«Poi mi vengono in mente Lippi, Gigi e Andrea, Enrico Beruschi, Francesco Salvi, Loredana Berté... Sabrina Salerno invece la ricordo per un episodio preciso: a Premiatissima voleva cambiarsi spesso d’abito provocando ritardi, e quindi c’erano contrasti con la produzione. “Allora telefonerò a chi di dovere”, minacciò ad alta voce. Beh, ci credete? Il giorno dopo nessuno osò contraddirla, e finimmo di registrare alle quattro del mattino. Tutti compresero che Sabrina aveva un amico in alto. Molto in alto, si sussurrava».
Più in basso, invece, c’era Valerio Merola.
«Ah, Valerio, che simpatico il Merolone! Lui era veramente assatanato, e faceva di tutto per conoscere ragazze. Allora una sera gli giocammo uno scherzo atroce. Lo chiamammo e gli dicemmo di avvertire il portiere del suo residence milanese di fare entrare un bellissima donna che lui tornando, all’una di notte, avrebbe trovato nel suo letto. Così accadde, ma quella donna era una sua ammiratrice 48enne brutta e grassa. La mattina dopo ci chiamò protestando e insultandoci. Però la notte con quella ce la passò lo stesso».
Dulcis in fundo: Michelle Hunziker.
«Michelle è un dolcissimo ricordo. La scelsi a 16 anni in un casting per un programma tv. Volli conoscere subito sua madre, e dopo un’ora la incontrai a Riccione. Era vestita da svizzera-olandesina, studiava a Bologna, parlava quattro lingue, naturalmente era di una bellezza da mozzare il fiato. Ma la cosa che mi stupì di più era che, nonostante l’età, si rivelò determinatissima. Ricordo che la prima volta che la portai da Costanzo la avvertii: stai molto attenta, mostrati simpatica ma non volgare, non farti coinvolgere troppo, ti puoi anche bruciare. Beh, lei cosa fece nei tre giorni prima della registrazione? Si circondò di libri, e leggeva, leggeva... la Storia della confederazione elvetica! “Siccome sanno che sono svizzera, in questo periodo in cui si parla della Lega di Bossi mi faranno domande sul federalismo. E non voglio fare la figura dell’impreparata”, mi spiegò. Si capiva subito che voleva avere successo. Sfruttammo scientificamente la campagna pubblicitaria per le mutandine Roberta. Si era creata un’attesa così spasmodica che quell’estate, nella classifica dei paparazzi, lei era in testa col suo eventuale topless: chi fosse riuscito per primo a fotografarla, avrebbe guadagnato decine di milioni.
«Conobbe Eros Ramazzotti in una discoteca di Milano Marittima. Allora lei lavorava con me a Riccione. Lui si innamorò follemente, veniva a trovarla in Ferrari, le fece una corte spietata. Lei ne era felice e compiaciuta, perché quello era il cantante più famoso d’Italia. Per lei compose La più bella cosa. Io confesso che vedevo questa avventura un po’ con gli occhi del manager: tutta pubblicità gratuita, le quotazioni di Michelle si alzavano. Poi lui, era l’agosto ‘95, la invitò nella sua villa in Brianza. Lei accetto l’invito e la cosa divenne seria: si era innamorata anche lei. Ma, dato il carattere gelosissimo di Eros, naturalmente per me a quel punto non c’era più posto vicino a Michelle. Neanche per motivi professionali».
Poi, a soli 46 anni ha smesso gli abiti del Pigmalione.
«Sì. Anche perché ormai conosco il giochetto a memoria. E non mi diverto più tanto come una volta. Anzi, alla fine mi annoiavo. Arrivederci, ragazzi».
Mauro Suttora