Ipotesi sulle possibili conseguenze, per l'Italia e il resto del mondo, della rivolta popolare contro il regime di Gheddafi
Oggi, 2 marzo 2011
Nel Nordafrica è arrivata la libertà. E forse (speriamo) la democrazia. Ma i pericoli sono ancora tanti. Anche per noi
di Mauro Suttora
Evviva: dopo Tunisia ed Egitto, anche la Libia sembra quasi liberatada un regime e avviata verso la democrazia. Ma per noi italiani si aprono molti interrogativi. Ci sarà un'invasione di profughi? Un pericolo terrorismo? Il prezzo della benzina salirà? E le nostre commesse? «L'Unione Europea deve capire che il problema non è italiano, ma continentale», dice l'ex ministro dell'Interno Beppe Pisanu. «E questo per due motivi. Primo: l'Italia è il confine sud di tutta l'Europa, una volta entrati da qui c'è libertà di circolazione senza più barriere alle frontiere. Secondo: la stragrande maggioranza degli immigrati entrati ultimamente dalla Tunisia non vuole fermarsi in Italia, ma proseguire verso altri Paesi».
Le rivolte in Libia, Egitto e Tunisia provocheranno una valanga di arrivi? C'è chi parla addirittura di 300 mila profughi. Ma è un'esagerazione. Per gli africani che entrano nel sud di questi Paesi per imbarcarsi dalle loro coste, basta ripristinare con i nuovi governi i precedenti accordi di sorveglianza. Cosa che è stata già fatta con la Tunisia, e che potrà avvenire anche in Libia una volta che la situazione si sarà chiarita. Se invece si teme che una parte dei sei milioni di libici fugga da una guerra civile prolungata e sanguinosa, basterà che l'apposita agenzia Onu installi campi profughi alle frontiere con Egitto e Tunisia. Ma tutta la Libia tranne Tripoli ormai sembra libera, e la vita sta tornando alla normalità. Certo, la capitale ha tre milioni di abitanti, cioè metà della popolazione. Ma i giacimenti petroliferi sono soprattutto in Cirenaica, e la produzione (con relativi introiti) potrà continuare a sostenere i ricchi libici. I quali non pagano pochissime tasse, e hanno scuola e assitenza sanitaria gratuita: non sono certo poveracci in fuga.
TERRORISTI
Il figlio di Gheddafi, Saif el Islam, quando le cose iniziavano a mettersi male aveva sventolato la minaccia islamica: «A Bengasi Al Qaida ha già proclamato il califfato». Nulla di vero, anche se qualche sprovveduto - perfino ai piani alti delle diplomazie europee - ha abboccato. Il che non significa che il pericolo del fanatismo non esista. «Ma in Libia ha sempre prevalso la tradizione senussita », assicura il principe Idris al Senussi , nipote dell'ultimo re e pretendente al trono, «cioè una corrente islamica moderata e aperta alla modernità».
Come in tutte le rivoluzioni, non è la prima impressione quella che conta. Il fatto che adesso in Libia - ma anche in Egitto e Tunisia - non si vedano in giro barbette da fanatico e simboli religiosi, non significa che fra qualche mese possa farsi largo e prevalere una fazione estremista. Anche democraticamente: a Gaza le prime elezioni libere del 2006 sono state vinte da Hamas. Negli Anni 80 pure Gheddafi, come i sauditi e gli Stati Uniti, commise l'errore di finanziare e mandare in Afghanistan dei mujaheddin per combattere gli invasori sovietici. Finita la guerra, Osama Bin Laden e i talebani non deposero le armi. Alcuni guerriglieri di origine libica tornarono in patria, ma furono subito incarcerati da Gheddafi. In Libia quindi negli Anni 90 non si ebbe la lotta integralista che insanguinò l'Algeria. Ma ora gli estremisti sono stati scarcerati (apposta?) dal colonnello, e potrebbero ricominciare a fare proseliti.
LO SCENARIO PEGGIORE
Lo scenario peggiore è quello di una resistenza prolungata da parte di Gheddafi a Tripoli, e di una disintegrazione della Libia fra le diverse tribù e fazioni. In mancanza di un forte potere centrale avrebbero la meglio le bande di predoni del deserto nelle zone meno battute, e la Libia si trasformerebbe in una Somalia. Sarebbe il luogo ideale per l'installazione di cellule e basi di Al Qaeda, come avvenne in Afghanistan negli Anni 90.
BENZINA
La Libia produce 1,8 milioni di barili al giorno di petrolio. Sembra tanto, ma è solo il due per cento dell'estrazione mondiale. Quindi gli aumenti di prezzo sia del greggio, sia della benzina alla pompa, sono solo speculazioni, senza rapporto con la realtà. Sulle quotazioni mondiali non possiamo farci nulla, vengono decise nelle borse di Londra e New York. E scontano il clima generale d'incertezza: se le rivolte si propagassero ai Paesi grandi produttori (Arabia, 12 per cento, o Iran, 5), allora potremmo cominciare a preoccuparci. Vero è che un quarto del fabbisogno delle nostre raffinerie proviene dalla Libia. Ma le petroliere possono sostituire i loro punti di rifornimento.
Quanto alla benzina a 1,55 e il gasolio a 1,43, come sempre i petrolieri scaricano immediatamente gli aumenti sul costo finale. Ma il petrolio raffinato per quella benzina l'hanno comprato ai prezzi vecchi. Quindi ne stanno approfittando per ampliare i loro margini. Dovrebbe intervenire il mister Prezzi del ministero Attività produttive. Anche per il gas, niente paura: ci sono varie e valide alternative di approvvigionamento. E poi si va verso la bella stagione, niente più riscaldamento...
COMMESSE
Sono in ballo 12 miliardi di euro all'anno: la somma di import ed export tra Italia e Libia. Siamo il loro principale partner commerciale. Le nostre principali società coinvolte sono Eni, Unicredit, Prismian, Sirti, Ansaldo, Finmeccanica e Impregilo, e hanno tutte perso in Borsa. Il 2 per cento delle azioni Eni sono in mano a Gheddafi. Il quale possiede un'eguale quota in Finmeccanica (produttore di armi), e addirittura il 7 per cento nella Juventus e nella prima banca italiana, Unicredit. L'azienda di costruzioni Impregilo è impegnata in opere colossali, per un un miliardo di euro. Riuscirà a finirle solo se torna la pace.
Mauro Suttora
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