La revolucion cubana compie 51 anni. Ma anche il despota libico scala la classifica
di Mauro Suttora
Libero, 2 gennaio 2010
A Capodanno la revolucion cubana compie 51 anni, e Fidel Castro consolida la sua posizione in testa alla classifica dei dittatori più longevi del mondo. Certo, da due anni ha lasciato il potere al fratello Raul. Dispotismi dinastici, come nella Corea del Nord dei Kim padre e figlio, o nell’autoritaria Singapore. Ma Fidel è ancora presidente del partito comunista, e a 84 anni continua la sua serena vecchiaia, anche se qualche perfido lo chiama «coma andante». Spirerà tranquillo nel proprio letto. Come tutti i tiranni moderni tranne Hitler, Mussolini, Saddam Hussein e Ceausescu (eliminati dopo la sconfitta, però). Insomma, di tirannicidi nel mondo moderno neanche l’ombra.
Il 67enne Muammar Gheddafi, che imperversa in Libia da ben quattro decenni, è lanciatissimo in classifica: ha appena scavalcato l’albanese Hoxha e fra due anni supererà Bongo del Gabon, morto di tumore a giugno. Meglio di lui solo il sultano del Brunei, l’uomo più ricco del mondo che promette di durare a lungo, visto che ha 63 anni.
Dopo il crollo del comunismo nel 1989 sembrava che per gli stati totalitari di ogni colore i giorni fossero contati. Invece oggi non solo Amnesty International registra ben 80 dittature nel mondo (su 192 stati membri dell’Onu), ma la professione di tiranno resta una delle più sicure e fruttuose. Anche quando si viene cacciati e spediti in esilio. È capitato ai peggiori: Bokassa, Idi Amin, Pol Pot. Per non parlare di Stalin, Mao o Franco, accuditi e riveriti fino all’ultimo respiro.
Le dittature più coriacee rimangono quelle comuniste. La Cina ha appena condannato il dissidente Liu Xiaobo a undici anni per un semplice reato d’opinione. Vietnam e Laos, come Cuba, sono ancora oppressi da falce e martello. Ed è difficile definire ideologicamente i generali birmani che tengono prigioniera la Nobel della Pace Aung San Suu Kyi da vent’anni, quando vinse le elezioni. Però stanno in piedi grazie all’appoggio della Cina.
E pensare che quella del «dittatore» è un’invenzione italiana: sia 2.500 anni fa, sia con Mussolini che ha riproposto il duce contemporaneo. Aristotele individuò tre tipi di tiranno: il demagogo che esercita il potere in nome degli umili, l’eletto legittimamente che poi si avvinghia alla poltrona, e il monarca degenerato che aumenta i privilegi dei ricchi. Nel primo caso si può individuare il prototipo del moderno dittatore di sinistra (Lenin, Mao, oggi il venezuelano Chavez), nel secondo quello di destra (Mussolini, Hitler), e nell’ultimo figure come lo scià di Persia Reza Pahlevi (ottavo nella nostra classifica). Dove situare l’iraniano Ahmadinejad è più complicato: despota laico per conto di una teocrazia collettiva.
Non sempre la parola ‘dittatore’ ha avuto connotati negativi. Garibaldi, per esempio, nel 1860 di proclamò tale dopo aver conquistato le Due Sicilie, e mezza Italia applaudì. Ma anche oggi in alcuni ambienti desiderosi di «stabilità» (nonché di treni puntuali) risultano appetibili figure come quella del tiranno soft di Singapore Lee Kuan Yew e di suo figlio, celebrati perfino da Fareed Zakaria, direttore del settimanale americano Newsweek. Viceversa, secondo Freedom House le otto dittature peggiori sono: Birmania, Corea del Nord, Cuba, Libia, Somalia, Sudan, Turkmenistan e Uzbekistan.
«D’altra parte, due Paesi su cinque nel Consiglio di sicurezza dell’Onu – quello più vasto e quello più popolato, Russia e Cina – sono dittature, o almeno regimi autoritari», conclude sconsolato il professor Larry Diamond dell’università di Stanford (California). «E bloccano col veto quasi tutte le proposte di condanna per violazioni di diritti umani da parte delle Nazioni Unite». Tranquilli, quindi, comandante Fidel e colonnello Muammar: lunga vita a voi e ai vostri simili.
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