La cifra è ufficiale: 270 miliardi di tasse non pagate ogni anno. «Un terzo della nostra economia è in nero, anche se tutti fanno finta di niente», denuncia Gian Maria Fara (Eurispes). Intanto gli autonomi contestano i nuovi «studi di settore». E la Guardia di Finanza rintraccia 21 miliardi. Ma lo Stato li incasserà mai?
di Mauro Suttora
Roma, 27 giugno 2007
Adesso è ufficiale: l’evasione fiscale in Italia ammonta all’astronomica cifra di 270 miliardi di euro annui. Quasi un terzo della nostra attività economica è in nero. E quindi chi paga le tasse è costretto a versare quasi il doppio rispetto a una situazione normale. Insomma, se tutti pagassero, l’aliquota massima dell’Irpef potrebbe scendere dal 49 per cento al sospirato 33.
La notizia non è nuova. Che gli evasori siano, assieme a mafia e disoccupazione, la principale piaga d’Italia, è arcinoto. Lo sappiamo tutti, da anni. Il 77 per cento degli italiani ammette, in un sondaggio della Banca d’Italia, che le dichiarazioni fiscali sono false. Ma questa volta non è un istituto di ricerca a stimare le tasse evase: lo fa l’Agenzia delle Entrate, cioè proprio l’ente che, dal suo grattacielo romano dell’Eur, dovrebbe far quadrare i conti pubblici.
«L’aspetto più incredibile è che questa rivelazione non ha avuto alcun seguito», denuncia il professore Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes, «perché la principale preoccupazione dei politici - sia di destra sia di sinistra, a seconda di chi è al governo - è quella di descrivere l’Italia o come un paradiso, o come un Paese nel quale tutti i problemi sono sul binario giusto per la loro soluzione».
L’Italia un paradiso? Sì, ma fiscale. Senza bisogno di fuggire a Montecarlo o alle isole Cayman e Bahamas. «La nostra economia sommersa, cioè esentasse, equivale a quella di quattro nazioni medio-grandi messe assieme: Finlandia, Portogallo, Romania e Ungheria», ricorda Fara.
Ora, a proposito dell’extragettito, si parla tanto di «tesoretto», dando l’impressione che le cose siano cambiate. Non è così: anche quest’anno lo Stato italiano sta spendendo più di quello che incassa. Il deficit annuo è calato dal quattro al due per cento, ma è una magra consolazione, visto che va ad aggravare un debito totale di 1.600 miliardi di euro. Sarebbe come se una famiglia indebitata per ventimila euro e che guadagna in un anno egualmente ventimila euro, ne spendesse 20.400 invece di risparmiare.
«Così i nostri governi riescono a farsi criticare contemporaneamente sia dagli evasori, sia da chi è costretto a pagare cifre insopportabili», ci spiega da Genova Victor Uckmar, decano dei fiscalisti italiani, «perché la media del 42 per cento del carico fiscale è come il pollo di Trilussa, non significa nulla. Guardiamo le tasse sui redditi, per esempio: quelli da capitale, cioè azioni, bot e quant’altro, pagano solo il dodici per cento, contro il 35 di quelli da impresa (cioè da attività industriale o commerciale) e addirittura il 49 di quelli da lavoro dipendente e autonomo. E tutto questo per finanziare gli sperperi della “casta” dei politici, in barba al principio della “giusta imposta per giusta spesa”».
Che fare, allora? La lotta all’evasione promessa un anno fa dal governo Prodi sembra procedere bene, visto che anche nei primi mesi del 2007 le entrate sono aumentate del sei per cento. Poi c’è la revisione dei cosiddetti «studi di settore», con cui lo Stato determina da una decina d’anni il reddito presunto di quattro milioni e mezzo di lavoratori autonomi. Dati certi parametri (tipo di attività, città, metratura), chi dichiara la cifra ritenuta «congrua» evita i controlli. Ma la rivalutazione di questa cifra per un totale di tre miliardi di maggiori entrate sta provocando la rivolta delle categorie interessate: «Ciascuno di noi dovrà pagare dai 1.500 ai tremila euro in più all’anno», calcola Giuseppe Bortolussi, segretario degli Artigiani di Mestre.
«Siamo intervenuti soprattutto sui costi detraibili, sulle giacenze in magazzino, sui valori aggiunti per addetto», rispondono al ministero dell’Economia, dove alle Finanze opera il viceministro Vincenzo Visco. Qualche esempio: i corniciai «congrui» denunciano una durata scorte di 632 giorni, quelli non congrui 7.597 (in pratica, questi ultimi terrebbero nel retrobottega cornici per venti anni e più). Oppure ristoranti e bar: il valore aggiunto per addetto (fatturato meno costi diviso per il numero di dipendenti) è 16,3 secondo il nuovo studio di settore, ma comunque la metà rispetto agli indici Istat del 29,8. Per gli alberghi: il ministero «presume» un rendimento per addetto del 15, contro l’Istat al 42.
Insomma, fra congrui e non congrui c’è una bella differenza, e lì sta intervenendo il ministero (vedi tabella sotto). I farmacisti in regola, per esempio, dichiarano 150 mila euro annui, mentre il 20 per cento di non congrui sono a 83 mila. I corniciai sono a 24 mila, ma c’è un 75 per cento che dichiara appena 6.700. Baristi e gelatai: 26 mila euro per quelli in regola, ma il 70 per cento dichiara 11 mila. Agenti immobiliari: i congrui sono a 37 mila, gli altri (52 per cento) a 9 mila.
Ma quanto sono importanti gli studi di settore per stanare gli evasori?
Per capirlo andiamo al Comando generale della Guardia di Finanza a Roma, dove il colonnello Umberto Sirico, capufficio della Tutela finanza pubblica, ci spiega: «Gli studi di settore sono solo uno dei vari strumenti per individuare situazioni patologiche. L’anno scorso la Guardia di Finanza ha accertato evasioni Iva per quattro miliardi di euro, la cifra maggiore degli ultimi dieci anni, e redditi non dichiarati per oltre 17 miliardi. Quest’anno stiamo aumentando gli interventi del 24 per cento rispetto al 2006. E i reparti speciali istituiti di recente a Roma, come quelli sulle entrate e sulla spesa pubblica, forniscono ai reparti territoriali tutte le indicazioni investigative e d’intelligence per agire con precisione chirurgica. Insomma, grazie agli incroci di dati ormai siamo in grado di intervenire quasi a colpo sicuro».
Esempi?
«Le ristrutturazioni edilizie: confrontando le richieste di detrazione del 36 per cento nelle dichiarazioni dei redditi con le fatture emesse, la Guardia di Finanza è in grado di individuare le imprese edili che evadono. E così gli agenti e rappresentanti di commercio che versano contributi Enasarco non combacianti con la realtà, le ditte di autotrasporto quando non dichiarano lavoratori che effettuano consegne per conto terzi, o le frodi sull’Iva comunitaria negli scambi con operatori di San Marino. È importante sfruttare l’effetto deterrenza: nei settori presi di mira l’evasione cala drasticamente».
Insomma, il «conflitto d’interessi», che è un problema in politica, nella lotta agli evasori è invece un ottimo metodo. Infatti, se i clienti possono scaricare le ricevute, smettono di essere complici dei fornitori nell’evadere l’Iva. Per fare «emergere il nero» pochi giorni fa Francesco Rutelli ha proposto di rendere detraibili anche gli affitti.
Quel che le Fiamme Gialle non possono dire, però, è che spesso gran parte del loro lavoro si perde negli arzigogoli della giustizia: fra condoni e ricorsi, il denaro recuperato alla fine è poco. Ma in questo campo decidono i politici. Che sono eletti da tutti noi. Evasori compresi...
Mauro Suttora
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