Friday, March 23, 2007

Spedizioni militari italiane

TU CHIAMALE, SE VUOI, UMANITARIE

L’analisi del «decreto Afghanistan» fornisce dettagli a tratti grotteschi sulle nostre missioni all’estero. Con sottomarini che danno la caccia a Bin Laden e finanziamenti per cento semafori a Nassirya...

di Mauro Suttora

Diario, 23 marzo 2007

Otto milioni, 174 mila e 817 euro. Tanto costa al contribuente italiano l’operazione Active Endeavour per l’anno 2007. Cos’è? Stiamo dando la caccia a terroristi e pirati nel Mediterraneo con due navi e un sommergibile. Non si sa mai: che Osama mediti di attaccarci con qualche Mas? Che i discendenti dei saraceni vogliano assaltare le nostre coste? Le petroliere in rotta verso i porti italiani rischiano di essere silurate da Al Qaeda o abbordate da nuovi corsari berberi?

Bando agli scherzi. L’Operazione Sforzo Attivo (che tristezza dirla in italiano, perde ogni fascino da 007, suona come un rimedio contro la costipazione intestinale) è autorizzata dal comma tre, articolo tre del disegno di legge che converte il decreto 31 gennaio 2007 “recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali”. Già approvata dalla Camera con soli tre voti contrari su 630, martedì 27 marzo approda al Senato.

È ben nascosta nelle pieghe del famoso ‘decreto Afghanistan’, quello che ogni sei mesi fa venire il mal di pancia alla sinistra. Ma, per una volta, lasciamo perdere i tradimenti del senatore Turigliatto, i tentennamenti di Franca Rame o l’ottima salute di Rita Levi Montalcini. Immergiamoci nella lettura delle 300 pagine del decreto che periodicamente rischia di far cadere il governo Prodi.

La prima novità è che i militaristi nostrani hanno dimezzato le loro sofferenze. Sotto Berlusconi, infatti, le spedizioni armate al’estero dovevano essere finanziate ogni sei mesi. D’ora in poi, invece, i decreti di proroga durano un anno. Un piccolo sforzo, insomma, e poi fino al 2008 non se ne parla più.

Il titolo del decreto, poi: soave, nessuna traccia dell’aggettivo “militare”. Potrebbe trattarsi di un miliardo di euro donato a “missioni umanitarie” di Albert Schweitzer o madre Teresa. Le parole sono importanti. Ha voglia Nino Sergi, segretario generale di Intersos (volontari civili), a protestare: “Se un intervento è con le armi, non può essere ‘umanitario’. Chiamatelo di peace-keeping, peace-enforcing, sostegno alla pace, come volete. Ma non ‘umanitario’”.

Battaglia persa. È da un quarto di secolo (Libano 1982) che le nostre forze armate, tornate a organizzare spedizioni all’estero, spargono a piene mani parole profumate come “pace” e “umanitario”. Solo pochi cinici riottosi come Milan Kundera hanno smascherato l’impostura, bollando il tutto come “umanisteria”. Ma è almeno da Srebrenica (1995) e comunque dal Kosovo (1999) che i pacifisti hanno perso la loro guerra semantica. Sono stati spossessati perfino della loro ragion d’essere, del loro ‘brand’: la pace. Oggi sono i militari a “mantenere la pace”, dal Libano all’Afghanistan.

Per confondere le acque, quindi, i primi due articoli del decreto stanziano qualche briciola per la ‘cooperazione allo sviluppo’ (quella vera, la civile, che infatti compete al ministero degli Esteri): 30 milioni per l’Afghanistan, altri trenta al Libano, cinque e mezzo al Sudan. Anche dieci milioni all’Unione africana per la Somalia, figurarsi. Ci sono i 127mila euro per una conferenza sulla giustizia in Afghanistan da tenersi a Roma, e ne regaleremo altri 300mila ai libanesi sotto forma di rilevatori di mine.

Conquistata la simpatia delle Ong e quindi il voto della sinistra, con l’articolo tre si arriva al sodo. E infatti gli stanziamenti passano da otto a nove cifre: 386.680.214 euro per i 2.500 militari in Libano, 310 milioni per i 2.000 in Afghanistan e ad Abu Dhabi, 143 milioni per i 2.300 che ancora languono dimenticati dopo otto anni in Kosovo, trenta milioni per i 900 in Bosnia (ma questi ultimi solo per sei mesi, perché c’è la possibilità che dopo dodici anni finalmente rientrino).

E poi una miriade di altre microspedizioni: i 18 carabinieri a Hebron (un milione e mezzo), i 17 che dovrebbero sorvegliare la frontiera di Rafah fra Gaza ed Egitto se gli israeliani la tenessero aperta (1,4 milioni), fino ai quattro militari in Darfur (600mila euro), quattro in Congo, altri quattro a Cipro, e tre milioni per cento nostri addestratori, in Albania da dieci anni.

Soldi spesi bene? Dipende dai gusti politici di ciascuno di noi, ovviamente. “Mi sembra un miliardo stanziato secondo il principio ‘Se ci siamo, contiamo’”, dice Sergi. Show the flag, mostrare la bandiera ovunque possibile. Era la regola in voga130 anni fa, all’apice del colonialismo: l’Italietta crispina se ne entusiasmò. Poi però arrivò Adua. Volle sedersi a tavola anche Mussolini, per mangiarsi Nizza e Savoia, Corsica e Tunisia. “Siamo un grande Paese e una media potenza”, si limita a dire oggi D’Alema. “Facciamo parte del G8, dobbiamo avere senso di responsabilità”, ci ammaestra la gandhiana Emma Bonino.

Che lettura interessante, questo decreto. Pagina 109, tabelle di spesa per la missione Afghanistan. Indennità di contingente per due nostri ufficiali e quattro sottufficiali di collegamento (esercito e aeronautica) presso il comando Usa di Tampa in Florida. Ma non ci avevano detto che la missione afghana era a guida Nato, e non statunitense? E il quartier generale Nato non sta a Bruxelles?

L’operazione più attraente, come abbiamo anticipato, è la Active Endeavour. Questa è sicuramente una missione in cui gli americani non contano tantissimo, e l’indizio che ce lo fa capire è lo spelling di ‘endeavour’: in americano scrivono ‘endeavor’, come ‘humor’, quindi quella ‘u’ in più significa che c’è una predominanza europea.

Spiega la relazione che introduce il decreto: “Questa missione Nato, svolta da forze navali, è finalizzata a dare prevenzione e protezione contro azioni terroristiche e di pirateria marittima nell’area orientale del Mediterraneo, attraverso operazioni di contromisure mine, attività di controllo e sorveglianza marittima e servizi di scorta del naviglio mercantile”.

La Active Endeavour nacque il 12 settembre 2001, sull’onda dell’attentato alle Torri. Ma se pattugliare il mare europeo poteva essere un’idea compensibile in quelle settimane di orgasmo, in cui le forze armate di tutto il mondo occidentale facevano a gara ad autoassegnarsi nuovi compiti (e finanziamenti) antiterrorismo, a sei anni di distanza è lecito domandarsi: quanti terroristi sono stati scoperti grazie a questa sorveglianza? Quanti attentati sventati? La Nato fa mai un’analisi costi/benefici? A meno che l’unica vera mission dell’Alleanza, dopo il crollo del comunismo 18 anni fa, sia trovare e drammatizzare un nuovo nemico purchessia, per giustificare la mancata smobilitazione dopo la fine della guerra fredda. Certo, pare che Sheik Khaled Muhamad, numero tre di Al Qaeda arrestato nel 2003 in Pakistan e da allora prigioniero a Guantanamo, abbia alluso a petroliere Usa da far saltare a Gibilterra.

Fatto sta che l’Italia contribuisce ad Active Endeavour con 105 marinai imbarcati sulla fregata Maestrale, sul cacciamine Termoli e, dulcis in fundo, sul sommergibile Todaro nuovo di zecca: varato in febbraio, ha appena terminato l’8 marzo il suo primo mese di navigazione alla ricerca di Osama. Questo sottomarino appartiene alla nuova classe italo-tedesca U212-A, 130 milioni ad esemplare, un secondo gioiellino (lo Sciré) appena sfornato dalla Fincantieri in Liguria per la gioia delle maestranze (c’è lavoro), degli ammiragli (c’è prestigio) e anche del sottosegretario diessino (ma soprattutto spezzino, quindi cantieri) alla Difesa, Lorenzo Forcieri.

I militari in Libano sono pagati meglio che quelli in Afghanistan (pag.125). Ognuno di loro prende in media, grazie alle indennità di missione, 105 mila euro all’anno (180 euro al giorno oltre allo stipendio), contro i 78 mila degli sfortunati spediti a Kabul e Herat. Forse anche da questa disparità nasce la riluttanza verso compiti realmente “operativi” (traduzione: combattimento) in Afghanistan.

Le penne monarchiche

In realtà in Libano non è che i nostri abbiano un granché da fare. Ecco l’ultimo comunicato stampa del contingente Leonte (15 marzo): “Oggi, una tonnellata di aiuti umanitari sono stati distribuiti a un istituto scolastico per diversamente abili di Tiro. Gli aiuti, composti da pasta, riso, merendine, pelati ecc., sono stati distribuiti dai Lagunari del reggimento ‘Serenissima’. Sono stati affidati al Contingente Italiano da diverse associazioni tra cui: l’Associazione Internazionale Regina Elena, la Together Onlus, ‘Ci siamo anche noi’ di Cavallino Treporti (Ve), Associazione mestrina San Vincenzo, farmacia Ghezzi dell’isola della Giudecca di Venezia...”

L’associazione Regina Elena, che ha fornito anche “matite, penne e zainetti” distribuiti in una scuola elementare libanese dai nostri militari, è un gruppuscolo legittimista monarchico (vogliono ufficialmente il ritorno del re) guidato dal bisnipote di Elena, il principe Serge di Jugoslavia (figlio di Maria Pia di Savoia). Abbiamo quindi soldati della repubblica italiana che distribuiscono la beneficenza di chi vuole il ritorno della monarchia...

Ma per distribuire penne e matite ai bimbi libanesi non bastavano due operatori civili di una qualsiasi Ong? C’era bisogno di mandare un contingente militare di 2.500 soldati con carri armati? I quali peraltro finora non hanno sequestrato neanche una pistola ad acqua agli hezbollah: quindi non stanno eseguendo la loro missione ufficiale, che non è principalmente umanitaria o di sminamento, ma di disarmo degli hezbollah.

Poi ci sono i 75 mila euro stanziati per comprare cento semafori da mettere a Nassirya. Anche installando quattro semafori per incrocio, a Nassirya esistono 25 incroci con un tale traffico da giustificare semafori? E poi: 500 mila euro per la “mappatura satellitare” dei beni culturali irakeni... Oppure: un milione di euro per un corso di 45 giorni per sessanta tecnici del petrolio iracheni a Piacenza (alloggio nell’albergo Piacenza Ovest...), come se le compagnie petrolifere (compresa la nostra Eni) non fossero abbastanza ricche da poter pagar loro la formazione... Oppure due “esperti” da inviare in Curdistan per “facilitare la penetrazione commerciale italiana” (sic) al modico stipendio annuo di 180mila euro l’uno. Siamo sicuri che è di questo che c’è bisogno per pacificare l’Iraq, oggi?

Mauro Suttora

7 comments:

Anonymous said...

bravo bravo mille volte bravo!!!sono un ufficiale dell'esercito italiano pentito....purtroppo mi rimangono ancora 4 anni di ferma per poter scappare da questa porkeria...il tuo articolo dice cose fin troppo vere!anke io sono contraria alle missioni di pseudo pace da peacekeeper!!ke balle ke si raccontano ai popoli...belle parole per definire "SUBDOLI E MESKINI ATTI POLITICO-ECONOMICI DEI GOVERNI...E LEKKINAGGIO AGLI AMERICANI!!!" giuro di essere fedele alla repubblica italiana...e allora io ke sono terrona...di sicilia...mi diventa il fegato verde di bile a pensare ke la mia terra e il mio sud non hanno strade,,,autostrade,,,e neanke l'eurostar...e l'acqua d'estate...e l'italia regala soldi a quei popoli maledetti del medio oriente....vergogna!!!!

Mauro Suttora said...

contattami in privato, per favore. L'e-mail e' qui accanto. Discrezione garantita

Anonymous said...

Credo faresti bene a leggere attentamente la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, perché il disarmo di Hezbollah non è mai stato inserito (grazie all'ipocrisia dei politici italiani e non solo, e ti ricordo che all'epoca c'era la sinistra al governo...) tra i compiti di UNIFIL 2.
Se poi ti avanza del tempo, anziché snocciolare le tue cifre per far credere ai pochi gonzi che ti danno retta che sei un professionista serio e documentato, potresti fare un salto a vedere di persona cosa significa in termini pratici un'operazione di contrasto al terrorismo internazionale.
Il fatto che essa includa anche l'uso di forze navali che - a tuo parere - svolgono compiti non ben precisati non implica che siano inutili. Il traffico internazionale di armi, quello di cui le maggiori reti terroristiche si servono per accumulare risorse finanziarie e non solo, magari con l'aiuto di governi compiacenti, si svolge infatti prevalentemente via mare. I talebani, che si appoggiano ad altri importanti network terroristici, non fanno eccezione in tal senso. Se li credi incapaci di una tale organizzazione solo perché ti sembrano degli straccioni ottusi e sanguinari, ti suggerisco di cambiare mestiere, o di limitarti al gossip.
Se infine sei di quelli che si indigna perché a tuo avviso le vere missioni di pace le fanno solo quelli che vanno in giro con i fiorellini in bocca a distribuire carità cristiana o laica benevolenza (ma certo non rifiutando lauti compensi che non hanno niente da invidiare alle indennità dei militari all'estero) sei solo uno dei tanti benpensanti; quindi non ti ammantare di quest'aura di detentore della verità.
Per te e per tutti quelli che ancora non hanno capito cosa c'è in ballo, preferendo ricadere nei soliti schemi tipo "ma quanto ci costano 'ste missioni?", "cosa ci sono andati a fare? per i soldi? potevano restarsene a casa loro!!!", "a cosa serve andare laggiù?", ed altre, ti faccio una domanda: qual'è secondo te la differenza culturale tra il talebano che oggi vive e si nasconde a 5000 km di distanza da noi ed il musulmano, che magari vive in Italia da 15 anni, che sgozza la propria figlia solo perché questa vuole vivere la sua vita e anziché sposare il cugino (che magari neanche conosce), è disposta a
tutto pur di non rinunciare alla ricerca della felicità?
Che tu ci creda o meno, le due vicende non sono affatto scollegate.
Mauro

Mauro Suttora said...

caro Mauro anonimo, al netto dei tuoi insulti andiamo sul concreto.

Tutti sappiamo che Unifil non puo' ispezionare ne' tanto meno sequestrare nulla a hezbollah. Puo' solo "segnalare" al mitico esercito libanese. Risultato: zero. Appuntamento al loro prossimo attacco missilistico contro Israele

Utilità delle missioni navali per contrastare il contrabbando internazionale d'armi? Quasi nulla. Come cercare un ago nel pagliaio (nell'oceano). Consulta le statistiche sulle ispezioni navali di carichi d'armi, e dividi il loro costo per il numero di sequestri effettuati. Immensamente alto.

O hai una soffiata seria (ma a quel punto aspetti il container sospetto nel porto d'arrivo o lo blocchi in quello di partenza, certo non fai un abbordaggio in alto mare), o e' disperatamente inutile. Che fai, ti metti davanti a Hormuz o Bab el Mandeb e controlli random? Una follia.

Ovvio poi che noi italiani, quinti esportatori d'armi nel mondo (di ogni tipo, da Finmeccanica alle leggere Beretta), non abbiamo alcun titolo per contrastare un flusso che noi stessi alimentiamo.

D'accordo invece sugli ultimi tre tuoi punti. I terroristi non si combattono con i fiori, gli stipendi dei cooperanti civili sono altrettanto lauti, e non c'e' differenza fra il talebano e il padre islamico che mena - o peggio - la figlia. Ma io non ho scritto questo

Anonymous said...

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