Wednesday, January 28, 2004

Sandra Savaglio a Baltimora

"Time" sceglie un' italiana per raccontare l'esilio dei cervelli europei

Con questa copertina da star ho toccato il cielo con un dito

"Per fare ricerca vivo all'estero da anni", dice l'astrofisica Sandra Savaglio, indicata come testimonial della crisi della scienza nel Vecchio Continente "Ho vinto un posto a Roma, ma mi è stato contestato per invidia"

Baltimora (Stati Uniti)

Oggi, 28 gennaio 2004

dal nostro inviato Mauro Suttora 

Da quattordici anni Sandra gira per il mondo a scrutare le stelle, e quando sua madre l'ha potuta ammirare sulla copertina del settimanale americano Time la settimana scorsa, le ha telefonato dicendole semplicemente: "Sono orgogliosa di te". 

"Come l'Europa ha perso le proprie stelle della scienza", annuncia la rivista, ed eccola lì la nostra Sandra Savaglio da Cosenza, bella e radiosa davanti alle bandiere americana ed europea. L'articolo è un atto d'accusa non solo contro l'Italia, ma a carico dell'intero Vecchio Continente che si è lasciato scappare ben 400 mila scienziati e ricercatori, per i quali gli Stati Uniti spendono quasi il doppio di noi (ricavandone il 78 per cento in più quanto a brevetti di alta tecnologia). 

Che Sandra potesse diventare una stella nella scienza delle stelle lo si intuisce già nel 1990, quando l'allora 22enne studentessa di Fisica all'università di Calabria non esita ad andarsene a Monaco di Baviera, facendo la pendolare per quattro anni con il prestigioso European Southern Observatory guidato dal premio Nobel Riccardo Giacconi. 

Laurea, specializzazione in astronomia e tanto, tanto studio: così una ragazza del Sud nel '98 approda, dopo altri due anni di post dottorato in Germania, nel sancta sanctorum dell'astrofisica mondiale, alla sede di Baltimora del telescopio spaziale Hubble. La invita qui il professore inglese Karl Glazebrook, che lavora con l'italiano Duccio Macchetto, intervistato su Oggi due settimane fa. 

"Sono venuta negli Stati Uniti perché le migliori opportunità per noi ricercatori si trovano qui", ci dice la Savaglio da quel vero e proprio paradiso in terra che è il campus della Johns Hopkins University, con i suoi edifici di mattoni rossi in stile coloniale immersi in un parco di alberi secolari e prati sterminati. 

L'eclettica Sandra, che pratica anche molto sport, nel 2000 pubblica un articolo sulla rivista scientifica Nature. Riesce infatti a spiegare, con il collega calabrese Vincenzo Carboni, il repentino calo di prestazioni durante il primo chilometro di corsa da parte di un atleta. I due ricercatori dimostrano che dopo 150 secondi dall'inizio della gara il corridore passa da un metabolismo anaerobico (tipico degli sprinter alla Mennea) a uno aerobico, proprio di fondisti e mezzofondisti. La regola è valida anche per il nuoto, dove il passaggio da un metabolismo all'altro avviene dopo i primi 400 metri.

In quello stesso anno, un breve ritorno in patria: la Savaglio vince un concorso per l'Osservatorio di Monte Porzio, vicino a Roma. "Ma un tizio che aveva interesse a sistemare lì sua figlia mi ha costretto a rifare il concorso per una irregolarità formale. L'ho rivinto. Subito dopo mi ha denunciato per truffa per una storia avvenuta anni prima. Tutto per vendicarsi del fatto che sua figlia non era riuscita a entrare all'Osservatorio. Ho dovuto aspettare fino al maggio 2003 per ottenere l'assoluzione piena, "perché il fatto non sussiste". Il direttore dell'Osservatorio, Roberto Buonanno, ha cercato di aiutarmi, di starmi vicino, ma nel frattempo ho maturato l'idea di andarmene di nuovo dall'Italia". 

Così, due anni fa è tornata a Baltimora dopo avere studiato in altri grossi osservatori agli angoli del pianeta: Australia, Cile, Hawaii. Su quest'ultima esperienza (il Gemini Deep Survey Team) ha appena presentato al congresso di Atlanta dell'Associazione astronomica americana un rapporto che ha fatto sensazione, attirando l' attenzione del quotidiano più diffuso d'America, Usa Today: osservando 300 galassie distanti da sette a dieci miliardi di anni luce "abbiamo scoperto che 19 su cento sono ellittiche e già piene di vecchie stelle rosse", spiega la Savaglio. 
Ciò significa che queste galassie si sono formate una dozzina di miliardi di anni fa, "soltanto" un miliardo di anni dopo il Big Bang che ha dato il via all' universo, e quindi sono molto più mature di quanto si pensasse. 

Alle prese con questi misteri enormi, persi in distanze infinite di tempo e di spazio, Sandra è una stella che brilla di luce propria: "Negli Stati Uniti in genere non valgono amicizie, parentele, protezioni politiche, età", spiega. "L'unica cosa che conta è il merito e la voglia di impegnarsi. E i miei colleghi, anche se sposati e con figli, lavorano più di me, serate comprese. Pure in Italia ci sono tanti astronomi che si fanno valere a livello internazionale. Ma i mezzi sono scarsi perché la scienza non rappresenta una priorità per i nostri governanti, e la burocrazia frena tutto". 

Figlia di un impiegato delle poste e di un'ostetrica, la minore di quattro fratelli e sorelle, Sandra Savaglio ricorda che "in Italia perfino per una penna bisogna fare una richiesta scritta, mentre qui basta andare a prenderla nell'armadietto della cancelleria. Gli americani hanno tanti difetti: mangiano male, vestono peggio... Ma sono aperti e danno spazio a chi ha spirito d'iniziativa".

Sandra è curiosa e affamata di vita: "Sono fidanzata con una persona stupenda, e oltre alla mia attività che mi dà grandi soddisfazioni m'interesso di numismatica e fotografia". 
Guadagna tremila dollari al mese, il triplo di quanto racimolerebbe in Italia, ma si dice pronta a tornare se le cose da noi cambiassero, indipendentemente dai soldi. Come peraltro ha fatto la più illustre delle nostre scienziate, la Nobel Rita Levi Montalcini, anche lei emigrata negli Stati Uniti per vent'anni. 

Fra le migliaia di altri italiani "in esilio" in America, Time cita Michele Pagano, professore associato di patologia alla New York University, e Valerio Dorrello, anch' egli medico, anch'egli alla Nyu, che culla il sogno di aprire un laboratorio di ricerca nella sua Napoli "ma con tecnologie e organizzazione americane".

A Columbus (Ohio) c'è Mauro Ferrari, 44enne udinese laureato in Matematica a Padova e poi diventato professore a Berkeley, in California: oggi è uno dei maggiori esperti mondiali di nanotecnologie. 
In un laboratorio farmaceutico del New Jersey lavora Emilia Vitale, napoletana: torna in Italia soltanto per visitare i parenti. E la Columbia University di Manhattan, una delle più antiche d'America, sta aprendo una facoltà di Genomica: per fondarla hanno chiamato il fiorentino Andrea Califano, che opera in quel confine d'avanguardia assoluta che si situa fra i computer e la genetica. Piccoli Nobel crescono. Ma dall'altra parte dell'Oceano Atlantico, purtroppo.

Mauro Suttora

Wednesday, January 14, 2004

Duccio Macchetto e il telescopio Hubble

Parla il direttore delle operazioni scientifiche del telescopio all'università Johns Hopkins di Baltimora (Usa)
 
Un italiano difende il telescopio Hubble

Non spegnete l'occhio puntato sull'universo!

"Da anni invia sulla Terra rare immagini dei segreti del cosmo, è sbagliato pensare di oscurarlo per risparmiare", spiega Duccio Macchetto, direttore della straordinaria missione spaziale

Oggi, 14 gennaio 2004

dal nostro inviato Mauro Suttora

Baltimora (Stati Uniti)

Siamo nell'ufficio dell'uomo che, nel mondo intero, riesce a guardare più lontano: fino a quattordici miliardi di anni luce di distanza. È questo, infatti, il raggio d'azione del telescopio Hubble. E quest'uomo è un italiano: Duccio Macchetto, 61 anni, direttore delle operazioni scientifiche del telescopio all'università Johns Hopkins di Baltimora, immersa nella tranquillità dei boschi del Maryland. 

Dal 1990 Hubble ruota attorno alla Terra, e ci regala immagini stupende captate senza l'ostacolo dell'atmosfera. Le più recenti potete vederle in queste pagine: galassie così irraggiungibili che per comprenderne la lontananza non bastano le nostre misure. Miliardi di miliardi di miliardi di chilometri sono poca cosa rispetto alle distanze dell'universo, tanto che bisogna ricorrere alla velocità della luce per afferrarle. 

Il disastro dello Shuttle avvenuto il primo febbraio 2003 ha colpito indirettamente anche il telescopio spaziale. La navetta, infatti, il prossimo novembre avrebbe dovuto raggiungere Hubble per cambiare giroscopi e batterie, controllarne l'efficienza e ripararne i piccoli guasti. Una specie di "tagliando" da fare una volta ogni tre anni, ma che dovrà essere rimandato al giugno 2006. 

"E questa data è ancora incerta", spiega il professor Macchetto, "perché le complicazioni sono moltissime. Lo Shuttle infatti non potrà riprendere i voli finché non sarà garantita la completa sicurezza per i suoi astronauti. Dopodiché la precedenza dovrà essere data alla missione di assistenza per la Stazione spaziale, che orbita anch'essa attorno alla Terra: è un progetto in grosse difficoltà tecniche, politiche e finanziarie, perché non si possono licenziare da un giorno all'altro centinaia di scienziati che hanno accumulato esperienze uniche, dicendo loro di aspettare uno o due anni, finché i voli riprenderanno". 

Quindi il "povero" telescopio dovrà aspettare parecchio. 

"C'è un altro motivo", prosegue Macchetto, "per cui la Stazione spaziale avrà la precedenza rispetto a Hubble: la sicurezza. In caso di emergenza, infatti, gli astronauti dello Shuttle potranno ancorarsi o rifugiarsi nella Stazione. Possibilità inesistente per Hubble, che non possiede cabine". 

Ma ce la farà Hubble ad aspettare fino al 2006?
 
"Non dovrebbe essere un problema enorme, anche se entreremo in una zona di rischio scientifico. A bordo di Hubble, infatti, ci sono strumenti che vanno riparati o rinnovati con una certa frequenza. Su sei giroscopi, per esempio, tre sono necessari per puntare il telescopio con la precisione di cui abbiamo bisogno. Uno è già morto, un altro ci dà qualche problema ogni tanto, e quindi ce ne resta solo uno di riserva. Perdere una mezza giornata di osservazioni ogni tanto non rappresenta un grosso impatto in termini di costi, ma con due soli giroscopi potremmo funzionare soltanto al cinquanta per cento". 

Però le difficoltà aguzzano l'ingegno, e voi avete fatto di necessità virtù...
 
"Sì, abbiamo sviluppato un software che ci permetterà di usare solo due giroscopi per darci informazioni sui tre assi, con un degrado dei tempi e della precisione di puntamento di appena il dieci per cento. Un altro problema per la ritardata manutenzione potrebbe nascere dalle batterie. Oggi usiamo tutti gli strumenti a bordo simultaneamente, ma se non potremo più caricarle al massimo dovremo spegnere uno o due strumenti, a turno".

Secondo alcuni, però, Hubble potrà essere presto sostituito dal prossimo telescopio spaziale, il Webb. Quindi non varrebbe la pena spenderci sopra troppa manutenzione.
 
"No, Webb non sostituirà Hubble, perché il primo capta i raggi infrarossi, mentre il secondo funziona con gli ultravioletti: sono due telescopi complementari. Webb avrebbe dovuto essere lanciato nel 2007, ma ha già quattro o cinque anni di ritardo. Ed è bene che ci siano poi altri tre anni di funzionamento affiancato prima di mandare in pensione Hubble: non prima del 2012, quindi. Ma c'è anche un altro modo per misurare l' utilità di Hubble: il numero degli scienziati che ci chiedono tempi di osservazione sul nostro telescopio. Sono sei sette volte superiori al tempo disponibile. Riceviamo richieste da tutti i Paesi del mondo, e purtroppo dobbiamo operare una dura selezione". 

Ci sono però ben trenta scienziati italiani coinvolti in qualche modo nel progetto Hubble.

"Sì, non per essere campanilisti ma questo è un risultato di cui possiamo andar fieri. E Hubble continua a essere il gioiello di punta dell'astronomia mondiale, con pubblicazioni e citazioni triple rispetto a qualsiasi altro osservatorio al mondo". 

Ma a che cosa serve, in concreto, Hubble? Che cosa ci ha fatto scoprire dal 1990 quest'aggeggio di dodici tonnellate che gira in continuazione 600 chilometri sopra le nostre teste?
 
"Grazie a Hubble la nostra percezione dell'universo è totalmente cambiata. Sapevamo che l'universo è in espansione: lo stabilì per primo negli anni Venti proprio il signor Edwin Hubble, che ha dato il nome al telescopio. Nel '95 però abbiamo scoperto che la velocità di questa espansione non è costante, ma in continua accelerazione. Insomma, abbiamo individuato la misteriosa forza espansiva intuita da Albert Einstein ancor prima di Hubble. Einstein pensava di essersi sbagliato su questo, l'aveva definito 'il mio più grosso errore'. E invece aveva ragione anche su questo". 

Quanto è vecchio l'universo, e quanto durerà?
 
"Prima di Hubble pensavamo che il Big Bang fosse avvenuto una decina di miliardi di anni fa. Ora questa stima si è spinta molto più indietro, a quindici miliardi di anni. E Hubble ci permette di osservare galassie a 14 miliardi di anni luce di distanza, quindi "appena" un miliardo di anni dopo la loro nascita. Poiché la luce ci mette tempo a viaggiare, noi stiamo vedendo in questo momento quelle galassie così come esse erano 14 miliardi di anni fa. 
Quanto al futuro, ragioniamo in termini di miliardi di miliardi di anni. Il nostro Sole e la nostra Terra, invece, spariranno "soltanto" fra pochi miliardi di anni. Insomma, non sappiamo cos'è l'universo, anche se sappiamo cosa fa. Per sintetizzare: Hubble ci ha fatto capire che è aumentata di gran lunga la nostra ignoranza dell'universo. Ora sappiamo che ci sono molte più cose che non conosciamo". 

L'eterna domanda: c'è possibilità di vita su qualche altra galassia?
 
"Fino al '95 non conoscevamo pianeti fuori dal nostro sistema solare. Telescopi da terra ne avevano scoperti più di cento, ma in forma indiretta, cioè osservando le perturbazioni del moto delle stelle attorno alle quali questi pianeti girano. Nessuno però prima di Hubble era riuscito a osservare direttamente un pianeta, e addirittura l'atmosfera di uno di questi. Grazie a Hubble ora sappiamo che in quell'atmosfera c'è del sodio. Stiamo studiando una lunga lista di altri pianeti e il nostro obiettivo è quello di trovare atmosfere con composizioni chimiche simili alla nostra Terra; ovviamente siamo alla ricerca di possibili siti dove possa esistere la vita. Ma noi siamo solo un puntino infinitesimale all'interno della nostra galassia, e di galassie ce ne sono centinaia di miliardi..." 

Quanto costa la missione Hubble?
 
"Circa 250 milioni di dollari all'anno. Una quota infinitesimale anche questa, in confronto per esempio alle spese militari degli Stati Uniti: 400 miliardi di dollari annui. I generali americani spendono per le loro ricerche spaziali, i loro missili e i loro satelliti tre volte più della Nasa. Quanto all'Unione europea, dà ai suoi agricoltori per "non" produrre il triplo dei soldi che investe nelle ricerche spaziali". 

Mi dica una ricaduta concreta sulla nostra vita quotidiana delle vostre ricerche.
 
"Il software che abbiamo sviluppato, di cui parlavamo prima, servirà anche per individuare i tumori al seno con noduli inferiori al millimetro. I sensori che abbiamo a bordo sono gli stessi che adesso fanno funzionare i satelliti meteorologici, e anche i nostri telefonini. Ma preferisco risponderle con una frase di Lord Rutherford, premio Nobel per la Fisica, il quale al principio del secolo scorso riuscì a dire testualmente: "I raggi X non serviranno a niente". Questo dimostra che noi fisici e astrofisici per primi non sappiamo prevedere gli effetti delle nostre scoperte: le ricadute della ricerca astronomica sono tutte a lungo termine".

Mauro Suttora

Thursday, January 01, 2004

Il sexyconiglio compie 50 anni e mette all' asta le conigliette vip

Playboy, la storica rivista per soli uomini, ha mezzo secolo di vita: battute da Christie's a New York le memorabili foto delle sue dive

Per la Bardot sono stati offerti 8.500 dollari, mentre l'immagine della debuttante Monroe ne vale ben 18 mila Sul mensile sono finite anche la Loren e la Lollobrigida. Tra i documenti più "contesi", persino un manoscritto originale di Hemingway e l'intervista choc a Fidel Castro

New York (Stati Uniti)

Hugh Hefner era un furbo ragazzotto di 27 anni quando mezzo secolo fa, nel 1953, stampò le prime 50 mila copie del mensile Playboy: "Sulla copertina non scrissi neanche "numero 1", tanto ero sicuro che non mi avrebbero permesso di arrivare al secondo", ricorda oggi. Bisogna immaginare cos'erano gli Stati Uniti allora: una nazione bigotta dove i negri non potevano salire sugli autobus dei bianchi, dove chi era accusato di essere comunista perdeva il lavoro, e dove perfino i cattolici venivano discriminati dalla maggioranza protestante (l'elezione del primo presidente cattolico John Kennedy nel ' 60 fu storica anche per questo). Figurarsi pubblicare la foto di un'attricetta nuda sconosciuta: tale Marilyn Monroe...

Ma il motivo della mancata indicazione della data sulla copertina era anche un altro, più pratico: la rivista non sarebbe mai scaduta, e infatti fece registrare il tutto esaurito. Il primo trionfo di Marilyn. Ancora oggi, in America Playboy viene venduto sigillato e nascosto dentro una busta di plastica nera. La sua nascita e la sua durata, quindi, possono tranquillamente essere paragonate a una rivoluzione. E la settimana scorsa la celebre casa d' aste Christie's ne ha celebrato il cinquantenario, vendendo più di 400 foto e documenti dal suo archivio. Incasso totale: 2,7 milioni di dollari.

Nonostante la concorrenza (prima Penthouse, il giornale ormai fallito di Bob Guccione, poi Hustler del miliardario Larry Flynt, oggi Maxim e i siti porno di Internet), Playboy gode di buona salute: vende tre milioni e 200 mila copie al mese, la metà rispetto ai massimi di trent' anni fa, ma più di qualsiasi altro mensile maschile. Inoltre le vendite di programmi tv e di video hanno fruttato l'anno scorso 121 milioni di dollari, superando per la prima volta gli introiti della rivista (111 milioni). In totale, l' impero Playboy rende ogni anno a Hefner e a sua figlia Christie, che lo gestisce oggi, la bellezza di 35 milioni di dollari di profitti netti.

Proprio di fronte alla libreria Rizzoli sulla 57ª Strada di Manhattan, e all' ufficio di Oggi da dove scriviamo questo articolo, vediamo il palazzo perennemente illuminato di Playboy. In realtà si chiamerebbe Crown Building, ed è uno dei più prestigiosi di New York: al piano terra c'è la gioielleria Bulgari e davanti l'altra gioielleria Tiffany, sulla Quinta Avenue. Ma tutti in città chiamano il palazzo con il nome del suo più illustre seppur controverso inquilino, che ne occupa vari piani.

Soltanto otto isolati più in là, nel Rockefeller Center, si è svolta l'affollatissima asta di Christie's. E per coloro che associano il nome di Playboy soltanto al pornosoft delle "conigliette" nude è stata una sorpresa. Fra i "pezzi" offerti, infatti, ci sono stati manoscritti del romanziere inglese Ian Fleming, creatore di James Bond, il celeberrimo agente 007, dello scrittore e poeta Jack Kerouac, padre della Beat Generation, e del russo Vladimir Nabokov, autore di Lolita: veri e propri reperti letterari che si sono affiancati alle preziose dodici pagine originali del racconto di Ernest Hemingway Consiglio a un giovanotto pubblicato postumo nel gennaio 1964, e a un articolo di Woody Allen del 1966. Di Fleming era offerto un dattiloscritto originale, con varie correzioni a mano, di Al servizio di Sua Maestà: il documento era stimato tra 18 mila e 24 mila dollari, ma è stato "battuto" per 17 mila.

Tra gli altri pezzi autografi di protagonisti della letteratura contemporanea sono stati messi all'asta testi di Allen Ginsberg, Henry Miller e addirittura del filosofo francese Jean Paul Sartre. Sono state offerte lettere dell'attrice Joan Crawford, del cantante Frank Sinatra e del padre della psichedelia Timothy Leary. 

Particolare successo ha riscosso il nudo fotografico di Sophia Loren mentre nuota in piscina: la base d' asta era di mille dollari, ma è stato venduto per il triplo. La fotografia era stata pubblicata nell'agosto 1960, a corredo di un articolo intitolato Sophia la caldissima. Meno fortunata Gina Lollobrigida: Christie' s prevedeva di incassare 1.000 1.500 dollari per una sua foto in bianco e nero pubblicata nel settembre '54, che invece è stata aggiudicata per appena 750 dollari (meno di 600 euro). C'è da dire però che la foto non era granché, anche come misure (24 per 17 centimetri), e che nonostante questa piccola débacle la Lollo continua a essere adorata negli Stati Uniti: ancora tre settimane fa era ospite d'onore, con il cantante Billy Joel, all'inaugurazione di un hotel di lusso, il Mandarin Oriental di New York, nelle nuove Torri Gemelle Time Warner.

Fra le altre immagini storiche che vi riproponiamo, la più famosa resta quella di debutto di Marilyn, stesa su un lenzuolo di tessuto rosso, venduta a 18 mila dollari contro una base d'asta di ottomila. Seconda si è piazzata Bo Derek, con la copertina che nel marzo 1980 definì un'epoca: la foto scattata dal marito John (scomparso cinque anni fa, e autore per Playboy di foto delle sue due altre mogli, Ursula Andress e Linda Evans) è "andata" per 12.000 dollari, contro i 5.000 di base d' asta. Triplicato rispetto alle previsioni l'incasso di un'altra famosa immagine di Marilyn Monroe stampata nel numero del dicembre 1960, subito dopo l' elezione di Kennedy: da 3.000 a 9.500 dollari, per la splendida attrice ritratta mentre fa colazione a letto. Brigitte Bardot, infine, vince su Madonna per 8.500 dollari a 7.000: la fotografia dell' attrice francese apparve nel marzo 1958, quella della cantante statunitense nel settembre 1985. 

Hefner, prima di diventare direttore editore di Playboy, era un disegnatore di vignette, e molte ne pubblicò sulla propria rivista. Decine di disegni originali dei migliori cartoonist mondiali sono finiti all' incanto: con tutti quelli pubblicati dal mensile nei suoi 50 anni si potrebbe allestire un museo di quest'arte minore. Anche la miglior musica è stata ottimamente rappresentata su Playboy: articoli, ritratti e foto su jazzisti come Benny Goodman, Louis Armstrong, Dave Brubeck, Chet Baker, lettere di Cole Porter ed Henry Mancini (reduce nel '62 dal successo di Moon River, colonna sonora del film Colazione da Tiffany con Audrey Hepburn), fino ad arrivare ai favolosi Anni Sessanta con gli originali delle interviste ai Beatles (febbraio '65) e a Bob Dylan (marzo '66). 

Oltre alle prime immagini erotiche scattate da maestri della fotografia come Helmut Newton e Herb Ritts, l' asta di Playboy ha offerto un cimelio politico: l'intervista al líder máximo Fidel Castro del gennaio ' 67. Nonostante la perdurante antipatia dell'America nei confronti del dittatore cubano, il dattiloscritto originale ha triplicato il proprio valore durante l'asta, raggiungendo i 7.500 dollari. Successo anche per il colloquio con Martin Luther King del '65. 

Dopo questa parentesi politica, però, l' asta è tornata su terreni più favorevoli per Playboy, offrendo immagini di "conigliette" di lusso come Nastassja Kinski ritratta da Newton, Joan Collins, Brigitte Nielsen (ex moglie di Sylvester Stallone), Jerry Hall (ex di Mick Jagger), Paulina Porizkova e la top model Cindy Crawford. Ultima divina messa all'asta, Elle MacPherson: la sua foto del maggio del 1994 è un po' il simbolo di tutti gli anni '80 e '90, quando lo scettro della bellezza femminile è passato dalle attrici alle modelle.