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Wednesday, September 17, 2025

Anche la mamma di Furlani è d'oro

Perfino dopo la sicurezza del primo posto Kathy Seck, madre e allenatrice della prima medaglia d'oro italiana ai Mondiali di salto in lungo, non si è scomposta. Perché Furlani è uno dei pochi esempi di atleti che non hanno rotto il cordone ombelicale, ma ne traggono la propria forza

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 17 settembre 2025 
È stata l'unica nello stadio di Tokyo a esultare poco, dopo il balzo di 8 metri e 39 che ha regalato al figlio Mattia Furlani l'oro del salto in lungo ai Mondiali. Perché Kathy Seck, 54 anni, è anche la sua allenatrice. E subito dopo l'impresa si è alzata per indicare a Mattia, che si era avvicinato alla tribuna, come migliorare nel salto successivo.
 
Perfino dopo la sicurezza del primo posto non si è scomposta. Anzi, ha urlato severa al figlio esultante di non togliersi il numero dalla maglia, per non rischiare sanzioni. Mamma coach e chiocch. Caso unico al mondo. Non sono pochi gli atleti famosi ad essere allenati dai genitori. Basta ricordare le sorelle Williams, Larissa Iapichino, Gianmarco Tamberi, l'astista Greg Duplantis. Ma un campione maschio seguito dalla mamma ha un solo precedente. E non a caso anch'esso appartiene all'Italia, dove la mamma regna sovrana: Andrew Howe, predecessore di Furlani nelle glorie del salto in lungo, che solo a 29 anni si è emancipato dalla madre allenatrice.
 
Figlia di un diplomatico senegalese, la signora Seck è nata a Cartagine (Tunisia). Trasferitasi in Italia da adolescente, a 16 anni conosce il futuro marito, Marcello Furlani. Stanno assieme da 38 anni. A Colleferro (Roma) sono nati Mattia, suo fratello e sua sorella.
 
Una famiglia di campioni dell'atletica: lei nei 100 e 200, il marito nell'alto, i figli in vari sport. E ora la vetta mondiale per il giovanissimo Mattia, dopo il bronzo olimpico l'anno scorso a Parigi, 19enne. Una famiglia unitissima. Memorabile il video in cui Furlani la presenta al completo: in prima fila lui con mamma e papà, dietro il fratello, la sorella col fidanzato, e anche la fidanzata di Mattia.
 
Intervistato da Elisabetta Caporale in tv dopo l'oro, Mattia si è espresso al plurale: "Ringraziamo chi ci ha supportato, abbiamo fatto un buon lavoro", ecc. Non era un plurale maiestatis. È che lui si sente proprio così, un'unica cosa con la sua squadra famigliare. 
Insomma, un vero esempio anche per il generale Vannacci: su Dio non sappiamo, ma per la Patria il tricolore è stato sventolatissimo da Furlani, che poi lo ha indossato a mantello. E la Famiglia è super.

Tuesday, July 27, 2021

Lo spirito olimpico sembrava aleggiare su Tokyo...

...poi è arrivato Butbul

Il judoka israeliano boicottato due volte. Prima un algerino, poi un sudanese si sono ritirati per solidarietà ai palestinesi

di 
Mauro Suttora

HuffPost, 27 luglio 2021 


Alla fine Tohar Butbul, il campione di judo israeliano, è stato eliminato da un sudcoreano ai quarti di finale. Ma per arrivarci Butbul ha disputato un solo incontro, perché tutti i suoi avversari sparivano. Prima un algerino, poi un sudanese. Si sono ritirati in nome della solidarietà al popolo palestinese. L’algerino subito spedito a casa e punito dalla sua stessa federazione. Il sudanese non si sa. Ma se dovessero prendere piede questi boicottaggi individuali, le olimpiadi potrebbero anche chiudere. E lo sport stesso perderebbe di significato.

Eppure era iniziata bene. Per la prima volta a Tokyo una cerimonia inaugurale ha commemorato gli 11 atleti israeliani trucidati nel 1972 da un commando palestinese a Monaco. E per la seconda volta partecipa ai giochi una squadra di rifugiati, aumentati a 29 dai 10 di Rio. Fra loro Dina Puryunes Langerudi, campionessa iraniana di taekwondo scappata in Olanda nel 2015. E tanti siriani, congolesi, eritrei, afghani. Anche un pugile venezuelano.

Insomma, lo spirito olimpico sembrava aleggiare sul Giappone. Non come nel 2008, quando Putin invase la Georgia proprio alla vigilia dei giochi di Pechino, infrangendo la regola bimillenaria della tregua olimpica. O come nel 1980 e 1984, quando le olimpiadi di Mosca e Los Angeles furono dimezzate dai boicottaggi prima di decine di Paesi anticomunisti e poi comunisti.

Quanto politica e sport debbano rimanere separati, è argomento controverso. Il boicottaggio più lungo è stato quello contro il Sudafrica, fino alla fine dell’apartheid nel 1991. Ma era giustificato: i razzisti bianchi pretendevano di mandare alle olimpiadi solo atleti bianchi (in alternativa, una volta proposero spudoratamente una squadra di soli neri). La Nuova Zelanda, unico Paese che nel rugby accettava di incontrare il Sudafrica, fu a sua volta boicottata.

Per il resto, poca roba. L’unica a rifiutarsi di andare a Berlino nel 1936 per i giochi di Hitler fu la Spagna, vittima dei franchisti appoggiati dai nazisti. Nel 1956 Olanda e Svizzera non parteciparono alle olimpiadi di Melbourne dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, ed egualmente Egitto, Iraq e Libano per la guerra di Suez.

Ma Israele fa parte del Cio (Comitato olimpico internazionale), e non discrimina i propri atleti arabi. È stata espulsa da parecchie federazioni sportive asiatiche su impulso dell’Iran, trovando accoglienza in Europa. Però nel 2019 proprio la federazione internazionale judo ha bandito per quattro anni Teheran da ogni gara dopo che gli ayatollah ordinarono a un atleta di non battersi con un israeliano.

Insomma, fra boicottaggi e controboicottaggi, collettivi e individuali, continentali e regionali, si rischia di non finirla più. Innumerevoli sono infatti i conflitti nel mondo. Ed è triste che gli unici presi di mira siano gli israeliani. Dopo che Tohar Butbul sconfisse un judoka degli Emirati ad Abu Dhabi nel 2017, quello non solo rifiutò di stringergli la mano, ma gli voltò la schiena. E quando un altro israeliano vinse l’oro, gli Emirati impedirono che si alzasse la sua bandiera e si suonasse il suo inno, sostituito da quello del Cio.

Ma forse, con fine humour ebraico, la verità l’ha scritta un commentatore di Tel Aviv: “Altro che politica, il judoka algerino ‘chickened out’”. È scappato per paura di perdere. Come un pollo. O un coniglio.

Mauro Suttora