In realtà il Mali aveva già lasciato il franco Cfa nel 1962, per poi rientrarvi nel 1984. Quindi non fu questa la causa del golpe.
Non è poi esatto dire che le ex colonie francesi in Africa siano obbligate a stare nel franco Cfa, pena la cacciata o uccisione dei loro presidenti.
Oltre al Mali, anche Guinea, Madagascar e Mauritania l'hanno lasciato senza problemi.
Le cause dei golpe contro gli altri 4 presidenti citati furono varie, e il franco Cfa c'entrava poco o nulla.
Il togolese Sylvanus Olympio era odiato dai militari locali che non aveva integrato nel proprio esercito dopo il loro servizio coloniale con la Francia.
L'ottimo Thomas Sankara del Burkina Faso aveva decine di fronti aperti con l'Occidente intero, e nel 1987 era più detestato dagli Usa di Reagan che non dalla Francia di Mitterrand.
L'ivoriano Laurent Gbagbo fu cacciato nel 2010 perché aveva truccato le elezioni.
Fantasioso, infine, il legame con la caduta di Gheddafi: egli non godeva di alcuna stima da parte dei presidenti africani, che non avrebbero mai messo le loro valute in comune con la Libia.
Lungi da me difendere le porcate commesse dalla Francia in Africa, da Bokassa in giù. Ma i francesi non sono peggio di Cina, Usa, Russia o Gran Bretagna.
Quindi non c'è bisogno di accusarli con gli argomenti complottisti dei gruppi di estrema destra sovranisti e antisignoraggio.
Il franco Cfa ha i suoi pro e contro, ma è assurdo dire che "se la Costa d’Avorio vende cacao per un miliardo di euro, mezzo miliardo deve restare come riserva valutaria al Tesoro francese".
Tutti i Paesi hanno riserve monetarie a garanzia dei tassi di cambio, e le imprese esportatrici non devono certo versare il 50% dei propri incassi ad alcuna Banca centrale.
Molti Paesi, infine, fanno stampare le proprie banconote da società specializzate in antifalsificazione, a Londra o a Lione.
Mauro Suttora