Lo scrittore presenta il suo 17esimo romanzo: 'Mondo senza fine'
Roma, hotel Hassler, 19 settembre 2007
di Mauro Suttora
Posso protestare? Mi permette?
«Prego».
Questo suo ultimo libro è troppo lungo.
«The longer the better: più sono lunghi, meglio è. I miei lettori adorano i libri infiniti».
Anche se hanno 1.366 pagine?
«Tanti lettori di I pilastri della terra mi hanno scritto: “Lo volevamo ancora più lungo”...».
Ken Follett ha venduto cento milioni di copie dei suoi sedici romanzi. Il bestseller personale rimane 'I pilastri della terra' del 1989: undici milioni di copie (uno e mezzo solo in Italia). L’unico ambientato nel Medioevo. Da allora i suoi lettori (che lui coltiva, leggendo le loro lettere ed e-mail e firmando amabile e instancabile migliaia di copie in giro per il mondo) lo implorano: «Dacci una seconda puntata». Fatto. È appena uscito 'Mondo senza fine' (Mondadori), che si svolge nello stesso villaggio inglese immaginario (Kingsbridge), ma nel XIV secolo, 200 anni dopo il romanzo precedente.
Storie di abati corrotti, suore lussuriose, vescovi che pretendono lo ius primae noctis, medici che rischiano il rogo per stregoneria solo perché vogliono curare la peste...
Follett, confessi. Lei ce l’ha con i cattolici?
«Assolutamente no. Il conflitto che descrivo nel libro è tutto interno alla Chiesa, fra una parte di religiosi che si fida e affida alla scienza, e un’altra che ne diffida. Ma ci sono anche figure assai positive: la protagonista Caris, per esempio, è una suora».
Beh, almeno Umberto Eco nel 'Nome della rosa' aveva diviso equamente i monaci fra buoni e cattivi. Qui invece la grande maggioranza delle figure ecclesiali è negativa.
«Dice? Mi faccia pensare... Forse il problema è che in quell’epoca la Chiesa rappresentava tutto il potere, anche quello terreno. Ed è fatale che fra le figure di potere ce ne siano molte negative».
Comunque, lei fra scienza e religione sceglie la prima.
«Certo. La Chiesa ha sempre avuto torto quando ha perseguitato gli scienziati. Il Papa ha dovuto chiedere scusa a Galileo 400 anni dopo. Per un motivo molto semplice: la Chiesa non sa nulla di scienza, quindi non può che sbagliare».
Ma i suoi genitori non erano religiosissimi?
«E molto severi: fino a 16 anni mi vietavano il cinema. E in casa non c’era la tv».
Così nasce uno scrittore?
«Mi sfogavo leggendo libri. Lì non mi proibivano nulla, e così a dodici anni ero pazzo di James Bond: sognavo la sua vita peccaminosa piena di cocktail, sigarette, auto e donne sexy. Risultato: a 15 anni mi sono ribellato alla religione».
Ed è passato ai Beatles.
«Sì, la loro canzone che preferisco è Good Day Sunshine».
Perché?
«Perché le canzoni che ci piacciono a 17 anni ci accompagnano per il resto della vita. Perché sta in Revolver, uno dei loro dischi più belli. E anche perché avevo soprannominato Sunshine il mio primo figlio, nato quando avevo solo 19 anni ed ero all’università».
La musica è importante per lei?
«Molto. Suono il basso in un complesso di rock-blues. Spesso ci esibiamo in pubblico nella zona dove abito, in campagna, vicino a Londra».
Ho letto che un’altra canzone che predilige è My Cherie Amour di Steve Wonder.
«Sì, chiamavo così mia figlia quand’era piccola. Lei camminò su quel disco e lo ruppe».
È anche molto impegnato politicamente.
«Da tre mesi la mia seconda moglie Barbara Broer, che conobbi negli anni Ottanta quando facevo l’attivista nella sezione laburista di cui lei era segretaria, è diventata ministro».
Ah! E di che?
«Pari opportunità, nel nuovo governo laburista di Gordon Brown. Vuole unificare tutte le leggi che proteggono donne, gay, handicappati e minoranze razziali, per diminuire la burocrazia e semplificare la vita ai datori di lavoro».
Lei detestava Tony Blair, e invece adora Brown. Perché non è inglese, come lei?
«Ahahah! Io sono gallese e Brown scozzese, è vero, ma non l’ammiro per ragioni etniche. Credo veramente che sia più onesto e sincero di Blair».
Che pensa della conversione di Blair al cattolicesimo?
«È un uomo alla ricerca di una fede. C’è un po’ di vuoto nel suo cuore e nella sua anima, e lui avverte il bisogno di riempirlo. Con qualsiasi cosa: avrebbe potuto farlo anche con il buddhismo».
È molto duro con Blair. Ma pure lei all’inizio era favorevole alla guerra in Iraq.
«Ora abbiamo tutti capito che è stato un errore tremendo. Sì, quattro anni fa mia moglie, allora deputata, votò a favore della guerra dopo che assieme ci pensammo per giorni e giorni. Credevo fosse una buona idea eliminare un dittatore che aveva fatto fuori centomila dei suoi sudditi. Ma abbiamo sottovalutato la complessità della situazione irachena».
Torniamo alla scrittura. Quante pagine riesce a scrivere ogni giorno?
«In media quattro. Comincio presto, alle sette del mattino: appena sveglio mi vengono un sacco di idee, sono creativo. E vado avanti fino a metà pomeriggio. Poi mi riposo».
Mauro Suttora
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Monday, September 24, 2007
Thursday, January 20, 2005
Famiglia cristiana sgozzata nel New Jersey
L'AMERICA TEME UN CASO VAN GOGH
Gli Armanious erano egiziani copti di Luxor. Il padre aveva contraddetto in internet alcuni fanatici islamici
da New York, Mauro Suttora
Siamo a Jersey City, la seconda città del New Jersey, lo stato più industrializzato d'America. Villette di legno in stile Soprano, la serie tv sui mafiosi nei sobborghi di New York. Immigrati, operai, milioni di pendolari che ogni mattina attraversano il fiume Hudson, vanno a Manhattan per farla funzionare, ma alla sera devono tornare in periferia perché non hanno i soldi per permettersela: "Living for the City", cantava Stevie Wonder trent'anni fa.
Comunque un sogno per la famiglia Armanious, immigrata da Luxor (Egitto) nel 1997. Una casa verde oliva di due piani a Oakland Avenue, comprata tre anni dopo con un mutuo di 85mila dollari. Sala e due stanze da letto, una per le due figlie: Sylvia di 15 anni e Monica di otto. Nomi americani, visto che il sogno è americano. Era. Perché la famiglia Armanious è stata sterminata, in perfetto stile Charles Manson. O Al Zarkawi, dato che il metodo è stato lo sgozzamento.
Da due giorni nessuno li aveva più visti uscire di casa. Non rispondevano al telefono. Il cognato Ayman Garas, preoccupatissimo, è andato a vedere di persona cos'era successo, verso mezzanotte di giovedì scorso, ma non è riuscito a entrare: porte e finestre chiuse. Così si è precipitato in commissariato e alla fine ha convinto i poliziotti a sfondare la porta principale, verso le quattro del mattino.
Man mano che avanzavano nella silenziosa casa dell'orrore, uno spettacolo atroce: i corpi delle quattro vittime, uno dopo l'altro. Prima Hossam Armanious, 47 anni, legato, imbavagliato e con la gola tagliata nella stanza da letto matrimoniale al piano terra. Poi sua moglie Amal Garas, di dieci anni più giovane, nella stanza vicina: stesso rituale di morte, anche lei in una pozza del proprio sangue ormai raggrumato. Infine Sylvia, nella sua camera da letto, e la piccola Monica, trovata nel bagno dov'era riuscita a scappare.
Il signor Armanious lavorava all'università di Princeton, sua moglie alle poste di Kearney. La loro casa aveva ancora le luci e le ghirlande rosse di Natale. Perché la famiglia Armanious era di religione cristiana. Copti d'Egitto, come il dieci per cento dei loro connazionali. Rapporti abbastanza buoni con i musulmani, un ministro degli Esteri (Boutros Boutros Ghali) diventato poi segretario dell'Onu. Ma con scontri periodici, soprattutto negli ultimi tempi: "Non pochi di noi sono emigrati in America anche per sfuggire alle persecuzioni religiose", dicono i copti del New Jersey.
Ma qui comincia la seconda parte della storia. Quella politica, o religiosa. Perchè leggendo i due maggiori quotidiani di New York, il Times e il Post, si ottengono due versioni totalmente differenti. Il Times da sei giorni continua a trattare la vicenda come un semplice fattaccio di cronaca nera da periferia. Lunghi resoconti nelle pagine interne, ma mai un richiamo in prima pagina e nessun riferimento, nei titoli, sommari e didascalie, a un possibile movente religioso della strage. Che invece viene urlato a gran voce da tutti i fedeli della comunità copta di Jersey City, i quali esasperati hanno cacciato lo sceicco islamico egiziano arrivato a presentare le condoglianze al funerale di lunedì.
"Hossam Armanious è stato ucciso perchè aveva osato contraddire dei fanatici islamici in una seguitissima chatroom religiosa su internet", accusa Rafique Iscandar, 51 anni, il migliore amico della vittima. Il New York Post crede alla pista religiosa e martedì spara in prima pagina: "Holy War", guerra santa. L'incubo di Oriana Fallaci si sta avverando nel New Jersey? Un altro sgozzamento in stile Theo Van Gogh è avvenuto a pochi chilometri da Ground Zero, moltiplicato per quattro?
La polizia è cauta. All'inizio aveva ipotizzato la vendetta di un ex affittuario della stessa casa, ma questa versione è ormai evaporata. Adesso, per esorcizzare il movente peggiore, quello di cui nessuno in America vuole sentir parlare, si sta tirando fuori la rapina, visto che dalla tasca di Armanious manca il portafogli e dalla casa qualche gioiello. Ma altri gioielli e soldi sono restati in altri cassetti, e comunque quale maniaco avrebbe inscenato una strage simile, con rituali tanto macabri quanto metodici, per i pochi denari di una famiglia di immigrati indebitati?
Ai funerali è dovuta intervenire la polizia per calmare i mille cristiani copti infuriati della chiesa di San Giorgio. Inalberando cartelli con croci nere, tutti urlavano che la famiglia è stata assassinata perchè Armanious si era esposto troppo nelle polemiche internettiane con i musulmani: "Aveva paura, ce l'aveva detto, aveva già ricevuto minacce di morte. Hanno soltanto messo in pratica quello che gli avevano promesso".
Un copto è stato arrestato quando è salito su un'auto parcheggiata per aggredire lo sceicco Tarek Yussuf Saleh di Brooklyn, che era incautamente arrivato per calmare gli animi fra le comunità: "Siete voi i killer!", gli ha urlato, e i poliziotti hanno dovuto scortare lo sceicco in fretta lontano dal funerale.
I musulmani del New Jersey sono costernati: "Qualsiasi crimine contro i civili viola tutte le leggi delle religioni e del mondo civile", ha dichiarato Aref Assaf, presidente dell'American Arab Anti-Discrimination Committee. Ma la rabbia dei cristiani copti egiziani non si placa, e qualcuno teme che Jersey City si infiammi come negli anni Sessanta, quando la vicina Paterson venne messa a ferro e a fuoco da una violenta rivolta dei neri.
L'unica risposta, a questo punto, può arrivare dalle indagini. L'Fbi sta collaborando con la polizia locale, ma non si è impadronito del caso: segno che la pista politico-religiosa non è considerata ancora quella più probabile. Un parente della famiglia sterminata è stato traduttore nel processo contro Lynne Stewart, un'avvocatessa accusata di aver aiutato i terroristi di al Qaeda, "ma da anni non aveva contatti con Armanious", precisano gli investigatori.
Lui però il terrorismo lo conosceva bene: proprio nella sua Luxor, nel 1997, gli islamisti provocarono una delle loro stragi più sanguinose, sterminando decine di turisti in visita nei templi egizi.
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