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Friday, August 13, 2021

Good morning, Afghanistan!






Gli americani se ne vanno lasciandosi dietro una scia di disastri, come in Vietnam, per chi lo ricorda. Vent’anni di guerra e occupazione inutili


di Mauro Suttora

HuffPost, 13 agosto 2021


Good morning, Afghanistan!

Chi ha più di 60 anni ricorda il disastro Vietnam: nel 1975, quando gli Usa se ne andarono, arrivò una dittatura comunista che dura tuttora e produsse milioni di profughi (fra cui i boat-people, con 250mila annegati) più una guerra contro la Cina.

In Cambogia, peggio: ecco Pol Pot e il più grosso genocidio della storia umana, in proporzione agli abitanti: tre milioni di cambogiani ‘borghesi’ sterminati su 7,5 milioni di abitanti in soli tre anni e mezzo.

Ora i talebani stanno per prendere Kabul. Non in sei mesi, come prevedevano gli americani, ma in pochi giorni. Sempre attendibile, la Cia.

L’Afghanistan diventerà un altro stato islamista da incubo come quello Isis in Siria e Iraq fino al 2017? O una nuova base mondiale per i terroristi, come ai tempi di Al Qaeda?

Non ci resta che auspicare un incubo minore: la solita teocrazia islamica già al potere negli anni 90 fino al 2001, donne schiavizzate in casa, monumenti non musulmani distrutti, un simpatico medioevo solo un po’ peggiore di Iran e Arabia Saudita.

Ma almeno senza ambizioni di esportare la loro ‘guerra santa’ nel mondo. E se proprio i talebani dovessero debordare (chi li arma?), speriamo che la prossimità geografica li indirizzi più contro Russia (remember Beslan?) e Cina (poveri uiguri) che verso l’Occidente.

Ah, grazie presidente Bush junior per questi vent’anni di guerra e occupazione inutili, cui ha contribuito anche l’Italia (con otto miliardi di euro e 55 morti, il doppio della strage irachena di Nassiriya). Tutti lo avvertivano che l’Afghanistan è da sempre indomabile, come dimostrato dalle sconfitte inglese e sovietica. 

Niente da fare: il complesso militare industriale Usa non poteva lasciarsi scappare un’occasione così ghiotta di spesa militare (mille miliardi di dollari) e profitti immensi, dopo la fine della guerra fredda.

Ci dispiace per le giovani afghane delle splendide foto di McCurry, che erano uscite felici di casa e avevano cominciato a studiare.

Ricorderemo con ammirazione almeno estetica, se non politica, il primo presidente dell’Afghanistan (per troppo poco) democratico, Karzai: elegantissimo, un vero signore.

Purtroppo naufragano le velleità degli ‘esportatori di democrazia’, in buona (con Emma Bonino ci avevo creduto anch’io) e cattiva fede (i neocon Usa). Hanno vinto i burka. E Massimo Fini, solitario fan italiano del mullah Omar.

Unici indifferenti, i coltivatori di papaveri. Quelli hanno continuato tranquilli a produrre oppio sotto qualsiasi regime: sovietici, talebani, americani.

Mauro Suttora


Wednesday, November 20, 2013

parla McCurry

IL FOTOGRAFO PIU' FAMOSO DEL MONDO

di Mauro Suttora


Milano, 13 novembre 2013
Mille persone in fila sotto la pioggia in via San Vittore. Soltanto 180 riescono a entrare nella sala del Museo della Scienza e della Tecnica. C’è una conferenza di Steve McCurry, 63 anni, il fotografo più famoso del mondo.  Popolare come una rockstar: la scorsa estate ha parlato a Siena, all’inaugurazione di una sua mostra (prorogata fino al 6 gennaio), stessa folla.

McCurry è diventato una celebrità nel giugno 1985, grazie al ritratto della ragazza afghana. Ma non ha smesso di viaggiare. Ancor oggi si lancia in avventure sconsiderate, in zone di guerra. Perché?

«Suona banale dirlo, ma è per l’adrenalina. Mi eccita schivare le pallottole».

È pericoloso.
«Ma è anche il mestiere più bello del mondo. Lo faccio da 40 anni, non smetterei mai».

Fa più fatica, oggi?
«Al contrario. Con l’esperienza sono diventato più bravo. Forse perché sono basso: riesco a intrufolarmi dappertutto».

Deve passare inosservato?
«Sì. La prima volta che andai in Afghanistan, nel 1978, ero oggetto di una curiosità esotica. Tutti mi si affollavano attorno, curiosi per la mia attrezzatura».

Come fece?
«Aspettavo. La dote principale per un fotografo è saper aspettare. Quando la gente si abitua a me, posso cominciare a lavorare».

Dopo quanto tempo?
«Se sei fortunato, bastano quindici secondi per convincere una persona a regalarti la sua anima. Altrimenti, bisogna attendere che la guardia si abbassi».

E quando si è abbassata?
«Allora fa capolino l’essenza dell’anima, l’esperienza scolpita sul viso di una persona». 

Come fa a catturarla con un clic?
«Cerco di far capire cosa vuol dire essere quella persona. Una persona imprigionata in un paesaggio più ampio, cui si può dare il nome di “condizione umana”».

Qual è il suo posto preferito?
«L’India. Fotograficamente, è il Paese più affascinante del mondo. Non ce n’è un altro così ricco e vario per geografia e cultura».

Quante volte c’è stato?
«Circa 85. Mi piace il caos e la confusione di Bombay e Calcutta. Città pazze, quindi fantastiche per lavorarci. Ma tutta l’Asia è più ricca, visivamente, dei Paesi occidentali».

Perché?
«Perché lì la vita scorre per strada. Giocano, lavorano, mangiano, vivono all’aperto. Dove fa più freddo la gente si rintana dentro casa. E nelle città ricche la vita è troppo ordinata e organizzata per essere interessante».

In più, lei vuole la guerra.
«No. Le conseguenze della guerra. È importante che qualcuno le mostri, e che siano conosciute da tutti».