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Wednesday, December 11, 2013

Cgia di Mestre

In teoria dovrebbero limitarsi ad assistere gli artigiani di Venezia. In pratica, i loro comunicati fanno tremare ministri e imbestialire i burocrati romani. Ecco chi sono i «cervelloni» del Centro sudi più citato d'Italia

dall'inviato Mauro Suttora

Mestre (Venezia), 5 dicembre 2013

Gli americani hanno i Nobel del Mit di Boston, gli inglesi i professori di Cambridge, i tedeschi i think tank di Francoforte. Noi abbiamo gli artigiani di Mestre. Altro che Istat, o uffici studi Bankitalia e Bocconi. È la «Cgia di Mestre» quella che da vent’anni fa le pulci, inesorabilmente, a ogni provvedimento del governo italiano.

Letta promette sgravi fiscali? Nei tg la Cgia (sigla misera per un nome altisonante: Confederazione Generale Italiana Artigianato) lo ridicolizza subito, calcolando che sono solo 14 euro al mese. Tremonti annunciava meno tasse? La Cgia lo smentiva dopo poche ore. Monti vedeva «la luce in fondo al tunnel»? La Cgia sghignazzava, scodellando dati pessimi.

Ormai il dibattito politico/economico in Italia vede da una parte i ministeri romani, e dall’altra questa imperscrutabile Cgia. La quale gode di un successo incredibile presso tv e giornali: dal 1994 ha avuto 1.340 suoi comunicati ripresi dall’agenzia Ansa. Solo quest’anno siamo già arrivati a 300. Una cascata di notizie che arrivano sempre al momento giusto. Dopo l’alluvione in Sardegna, per esempio, la Cgia ha denunciato: soltanto l’uno per cento dei 43 miliardi di tasse «ambientali» che paghiamo va alla reale protezione del territorio.

Arruolato pure l’addetto alle paghe
Chi sono questi maghi di Mestre? E i loro dati sono attendibili? Andiamo a trovarli. Scopriamo che stanno in una avveniristica torre di vetro e acciaio alla periferia della città. Lavorano per l’ufficio studi 15 degli 85 dipendenti della Cgia provinciale veneziana. Ma perché mai gli artigiani qui sono così combattivi, e dedicano tante risorse alla polemica politica?

La risposta è tutta in un nome e cognome: Giuseppe Bortolussi. È il 65enne presidente della Cgia, per la quale lavora da un terzo di secolo. Ed è un vero «rompibae», come dicono da queste parti.
Documentatissimo e fluviale nell’eloquio, dirige la sua squadra ormai quasi a memoria. Ogni mattina si riuniscono e individuano i temi al centro dell’attenzione. Poi sfornano dati per giornalisti affamati di notizie, ma troppo pigri per trovarle da soli.
«E non ci vogliono professoroni per fare quattro calcoli», assicura Bortolussi, «basta il nostro funzionario addetto alle paghe o l’esperto sindacale per smascherare le bugie di Roma».

Parla un leghista apostolo degli evasori del Nordest? Macché. Bortolussi era candidato del Pd alle ultime regionali in Veneto nel 2010. Ha preso il 30%, contro il 60 di Lega Nord e Pdl. Ora è consigliere regionale. Prima, è stato a lungo assessore di Venezia nella giunta di sinistra di Massimo Cacciari.
I suoi 2.500 iscritti (a 200 euro l’anno) non protestano per questa sua caratterizzazione politica? «Nessuno. Perché difendiamo bene i loro interessi».

L’ufficio di Bortolussi, al quinto piano, è in cucina. Una cameretta con frigo, lavabo e gas progettata come foresteria. Ma a lui piaceva: ha aggiunto un tavolo, una sedia, e da lì fa tremare i ministri dell’Economia. Su uno scaffale i libri dei suoi economisti preferiti: Peter Drucker e Philip Kotler.
La sua apoteosi è arrivata il 15 novembre, quando il ministro Fabrizio Saccomanni ha dovuto smentire il proproprio dipartimento Finanze sui lavoratori dipendenti che pagherebbero più tasse degli imprenditori. «Non era mai successo che facessero marcia indietro su carta intestata», gongola Bortolussi.

Per conquistare valanghe di citazioni sui media la Cgia usa alcuni accorgimenti. Il principale è quello di sfornare i propri comunicati di sabato e domenica, quando spesso i giornalisti non sanno come riempire pagine e tg. «Ma non è un trucco», avverte Bortolussi, «lo facciamo perché molti nostri associati non hanno tempo di leggere i giornali quando lavorano, durante la settimana, e quindi lo fanno soprattutto nei week-end».

Bortolussi non è laureato (gli mancava la tesi di Legge). Ma, se è per questo, non lo sono neppure Bill Gates (Microsoft), Steve Jobs (Apple), Mark Zuckerberg (Facebook).
In compenso l’ufficio studi abbonda di titoli accademici e ha trenta collaboratori esterni, con molti docenti universitari. Paolo Zabeo coordina l’ufficio stampa, Catia Ventura i ricercatori.

Poca dimestichezza con le cifre
In un Paese come l’Italia, con scarsa dimestichezza per i numeri, abbondano i cialtroni (specie fra certe «associazioni dei consumatori») che spesso spacciano cifre clamorose ma infondate. Per esempio, le tredicesime che sarebbero quasi completamente ingoiate dalle tasse.
«Noi controlliamo i dati cinque volte», assicura Bortolussi, «non spariamo alla cieca per poi essere smentiti».

Unica fortuna dei burocrati statali: il «rompibae» non abita a Milano o Roma. Quindi le sue apparizioni in tv sono limitate dalla lontananza fisica dagli studi. E i collegamenti in video con Mestre non sono così efficaci come la presenza fisica.
Mauro Suttora