Le statue ritrovate in mare hanno corpi splendidi, ma una 'virilità' ridotta. Chi ritraggono? Come furono trasportate? Alberto Angela ci accompagna alla scoperta dei loro segreti
Oggi, 11 giugno 2014
di Mauro Suttora
Quindicimila al mese. Tanti sono i turisti che dall’inizio dell’anno hanno visitato i Bronzi di Riace nella loro collocazione definitiva: il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. E aumenteranno con l’estate, la prima durante la quale queste meraviglie mondiali possono essere ammirate dopo il loro restauro e la ristrutturazione del palazzo Anni 30 di Marcello Piacentini. Lavori durati quattro anni, costi triplicati (da 11 a 33 miloni). E un ricorso al Tar blocca ancora l’esposizione di preziosi reperti della Magna Grecia nelle altre sale del museo. Che quindi offre ai visitatori (increduli soprattutto gli stranieri) soltanto i Bronzi, solitari nel loro salone, avulsi da ogni contesto. Se tutto andrà bene, il nuovo allestimento dei quattro piani del museo verrà completato solo nel 2015.
C’è inoltre la possibilità che, in occasione dell’Expo, Milano scippi i Bronzi a Reggio per qualche mese, in modo da poterli mostrare a milioni di visitatori. Una raccolta di firme sta cercando di scongiurarlo.
Intanto Alberto Angela, figlio di Piero e conduttore di Ulisse (Rai3), pubblica I Bronzi di Riace, l’avventura di due eroi restituiti dal mare (Rizzoli - Rai Eri). Libro avvincente, che risponde a ogni domanda sull’epopea delle statue recuperate in mare nel 1972.
Le ipotesi sulla loro identità
Fra tutte le opere pervenuteci dall’antichità, infatti, i due Bronzi sono quelli che hanno colpito ed entusiasmato di più il pubblico. Perché? «All’origine del successo ci sono la bellezza straordinaria e la fattura pregevole del Giovane e dell’Uomo maturo. Ma non solo. A contribuire al loro fascino è anche l’aura di mistero che tuttora li avvolge», spiega Angela. Il quale ci accompagna nell’epoca e negli ambienti da cui provengono, va alla ricerca dei loro autori (grandissimi artisti: forse proprio il leggendario scultore Fidia?) e immagina chi potessero raffigurare: Castore e Polluce? Un guerriero e uno stratega? E ancora: come furono forgiati? Con quale tecnica fu possibile renderne la capigliatura morbida o le vene che appaiono sotto pelle?
Ma il percorso emozionante alla scoperta dei Bronzi non si ferma qui: in quali circostanze finirono sul fondale del mar Ionio? Furono buttati da una nave in una notte di tempesta? E la nave arrivò in porto o affondò? Quando accadde? Che lingua parlava l’equipaggio: greco, latino o addirittura goto?
Angela fa tesoro degli studi più aggiornati e dei recenti restauri: «Le statue viaggiavano adagiate sulla schiena, sul ponte di una nave, e forse proprio per facilitare il trasporto prima di caricarle a bordo erano stati rimossi gli scudi, gli elmi e le lance che le adornavano. Sotto i piedi spuntano ancora i perni in piombo che li ancoravano ai loro basamenti originari. Forse si trovavano in un tempio o in un luogo sacro. E i marinai, superstiziosi, sospettarono che la burrasca fosse stata inviata dagli dei per punire il “furto” sacrilego. Magari qualcuno si convinse che l’unico modo per placare la furia divina fosse gettare le statue in mare».
In realtà non sappiamo quasi nulla di quegli uomini e di quella nave, avverte Angela. I Bronzi risalgono a 2.500 anni fa, ma l’affondamento è posteriore, forse di secoli. L’unica certezza è che il relitto del bastimento non è stato mai trovato, e che le statue erano isolate sul fondale. Vicino a loro sono stati rinvenuti solo 28 anelli in piombo, magari appartenenti alla velatura della nave.
Una domanda imbarazzante coglie chiunque ammiri le statue perfette: perché il loro pene è così piccolo, sproporzionato rispetto al resto del corpo? «La scelta di attribuire una “virilità” così ridotta a due figure aitanti e imponenti come il Giovane e l’Uomo maturo», spiega Angela, «risponde alla convinzione degli antichi greci che un membro di grandi dimensioni fosse volgare e si addicesse a barbari e schiavi, non certo a un nobile greco. Nella rappresentazione di una figura maschile idealizzata e tesa alla perfezione, quindi, questo elemento anatomico doveva essere minimizzato. Esattamente come oggi le modelle non hanno mai forme accentuate (per esempio, i seni), ma contenute».
In ogni caso, per ritrovare in un bronzo, dopo Grecia e Roma, una qualità tanto sbalorditiva nella raffigurazione della fisicità di un uomo (con ossa, muscoli, tendini e vasi sanguigni) bisognerà attendere 2 mila anni: solo Donatello, nel Rinascimento fiorentino, riuscì a tornare a quei livelli, e dopo di lui Michelangelo.
Purtroppo soltanto un centinaio fra le migliaia di perfette statue bronzee grecoromane ci sono arrivate: nel Medioevo il loro bronzo venne sconsideratamente fuso per ricavarne monete, utensili e armi. Questo moltiplica il valore delle due statue conservate nel museo di Reggio Calabria.
Angela esclude che i Bronzi raffigurino Castore e Polluce, i gemelli figli di Zeus e Leda. Recenti esami, infatti, hanno stabilito che furono creati a 30 anni di distanza l’uno dall’altro. Più credibile che si tratti di un padre e di un figlio. Ma le curiosità che avvolgono le due statue sono innumerevoli. Non ci resta che leggere il libro e andare a Reggio Calabria.
Mauro Suttora