IL VERO COSTO DEL NUOVO TELEFONINO APPLE
Lo vendono a mille euro, ne vale 190
di Mauro Suttora
Oggi, 3 ottobre 2012
Ci risiamo. Il nostro folle amore per l’iPhone ha avuto una ricaduta. È da cinque anni che non capiamo più nulla, da quel 2007 quando lo abbiamo visto per la prima volta. Poi è arrivato l’«aifonfòr», e siamo usciti pazzi. Adesso è uscito il numero 5, e di nuovo code in tutti i negozi d’Italia. Il problema è che la nostra passione non è corrisposta. La Apple, infatti, ci vende i suoi smartphone al prezzo più alto del mondo: dai 30 ai 70 euro più degli altri Paesi europei il modello base, quello con 16 giga di memoria. E ben 229 euro più di quello che sborsano gli americani: 729 euro contro i loro 500 (650 dollari).
È una vecchia storia. La Apple, infatti, nei suoi listini ha sempre conservato il cambio euro-dollaro alla pari, com’era dieci anni fa. Questa volta, però, siamo andati ancora più su. E incomprensibile è il divario con il resto d’Europa. «L’Iva in Italia è più alta, si pagano anche le tasse locali e la Siae», dicono loro.
La verità è che gli italiani sono al primo posto mondiale come percentuale di smartphone, che per l’iPhone in particolare siamo capaci di levarci il pane dalla bocca, e che quindi non si rischia di vendere di meno con prezzi più alti. Come dicono gli esperti, «la domanda non è elastica».
Ci sono poi gli appassionati che comprano i modelli più cari, fino a quello con 64 giga da quasi mille euro: 949, per la precisione. Che significa un ricarico di oltre il 500% rispetto al costo industriale di fabbricazione, che è di 190 euro. Quasi nessuna attività al mondo, tranne lo spaccio di stupefacenti, permette di vendere cose al quintuplo del loro valore reale.
Agli operai cinesi 208 euro mensili
Ecco perché tante polemiche sulla Foxconn, la fabbrica cinese dove vengono prodotti gli iPhone. La scorsa settimana gli operai si sono ribellati, c’è stato un sanguinoso intervento della polizia.
Quanto vengono pagati i 20 mila lavoratori che assemblano 57 milioni di smartphone all’anno? Un reporter di un giornale di Shanghai si è fatto assumere, e ha rivelato che il salario mensile è di 208 euro (1.700 renminbi). Poi ci sono al massimo nove ore settimanali di straordinario.
Questo spiega perché i costi per la Apple sono così bassi. Il modello-base dell’iPhone 5 è prodotto con componenti del valore di 155 euro (vedere la pagina precedente), più 5 euro per l’assemblaggio e altri 5 per spedizione e trasporto. Aggiunti marketing e pubblicità, tutto il resto è profitto.
In ogni caso, in questi primi giorni già milioni di persone hanno in mano i nuovi iPhone, che si aggiungono ai 244 milioni venduti dei modelli precedenti.
La novità principale è che sono ancora più sottili (7,6 millimetri rispetto al quasi centimetro dell’iPhone 4) e leggeri: 112 grammi contro i 140 di prima.
Paradossalmente, qualcuno si sta lamentando che sono troppo leggeri: potrebbero sembrare prodotti di poca qualità. La potenza è raddoppiata, lo schermo più grande.
L’alluminio si graffia, e per chi tiene il melafonino in tasca assieme alle chiavi è un problema. Ma infastidisce soprattutto il nuovo connettore più piccolo, che costringe a comprare un adattatore da 29 euro.
Contratti da 30 euro al mese
A chi apre un nuovo contratto i gestori offrono l’iPhone per 30-40 euro al mese, con un minimo però di 30 mesi (due anni e mezzo). Ai fanatici del melafonino cui non è scaduto il vecchio contratto non resta che sborsare la cifra piena. E, di questi tempi, 730-950 euro non sono uno scherzo.
Mauro Suttora
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Wednesday, October 10, 2012
Wednesday, June 08, 2011
Il triangolo del potere mondiale
GOOGLE, APPLE, YAHOO, FACEBOOK, SKYPE, LINKEDIN: LE MULTINAZIONALI DELL'ERA DIGITALE HANNO TUTTE SEDE IN UN TRIANGOLO DI SOLI 9 KM NELLA SILICON VALLEY
San Francisco (Stati Uniti), 1 giugno 2011
di Mauro Suttora
Mai nella storia era successo che tanto potere fosse concentrato in così poco spazio. All’interno di un triangolo californiano di soli nove chilometri hanno le loro sedi tutti i giganti mondiali dell’era digitale: la Apple con i suoi i-pod, iphone e i-pad, Yahoo e Google con i motori di ricerca, i social network Facebook e Linkedin, i videotelefoni Skype.
Siamo nella Silicon Valley, cuore già dagli anni 70 di tutto ciò ha a che fare col silicio. Cioè la materia base dei chip, anima dei computer. La Hewlett-Packard nacque a Stanford 70 anni fa. L’omonima università di Palo Alto ha sfornato decine di premi Nobel, e il suo «science park» è l’humus di molte aziende informatiche: Intel, Sun, Oracle. Pochi chilometri a nord, a San Francisco, ci sono Twitter e Wikipedia. E un po’ più a sud, a San Josè, ecco Cisco, Adobe, E-bay.
Insomma, chiunque apra un computer oggi nel mondo usa qualcosa che viene da questo piccolo «triangolo». Un tale dominio planetario non si era mai verificato. L’antica Roma non andò mai oltre la Persia. Londra e Parigi avevano imperi coloniali, ma in contrasto fra loro. E neanche la New York del XX secolo americano era riuscita a sottomettere potenze come Russia o Cina. Ora invece i giovani russi, cinesi o arabi si scambiano video su Youtube e organizzano rivoluzioni con Facebook. Tanto che il capo di Wikileaks Julian Assange accusa, un po’ paranoico: «Gli Stati Uniti controllano il mondo con i social network».
È incredibile anche la durata del fenomeno Silicon Valley, oltre che la sua concentrazione geografica. Nel 1976 Steve Jobs fonda la Apple a Cupertino: i suoi computer Macintosh sono più moderni di quelli della newyorkese Ibm. Negli anni 80 la Microsoft di Bill Gates domina nel software (programmi), ma Seattle sta comunque nella West Coast. E nel decennio successivo il «triangolo» californiano si prende la rivincita con i motori di ricerca: nel 1995 Yahoo, tre anni dopo Google.
Ma è con il nuovo millennio che riesplode la Silicon Valley: Skype nel 2002, l’anno dopo Linkedin, nel 2004 Facebook. Il ritmo si fa vorticoso: il primo social network My Space, acquistato a peso d’oro dal magnate Rupert Murdoch, in soli due anni è sorpassato da Facebook, che oggi connette istantaneamente 600 milioni di persone in tutto il mondo.
Anche l’inventiva di Jobs è insuperabile: nel 2001 l’i-pod che distrugge l’intera industria discografica; poi l’i-phone, che fa subito sembrare vecchio il blackberry; infine l’i-pad, che un giorno potrebbe sostituire anche il giornale che state leggendo in questo momento. La Apple decuplica il giro d’affari: oggi vale in Borsa 300 miliardi di dollari, ma qualcuno già scommette che arriverà presto a mille...
Facebook è l’unica società nata a Boston, e non in California. Ma Mark Zuckerberg è presto costretto a trasferirla a Palo Alto: anche lui nel «triangolo», perché qui si fa la storia, circolano le idee, nascono i prodotti.
Fra questi viali alberati si combattono anche guerre all’ultimo sangue, con ingegneri che le società si strappano a suon di milioni di dollari. Perché in palio ci sono i miliardi della «New Economy»: Linkedin, ultima quotata, ha subito raggiunto in Borsa nove miliardi, nonostante fatturi solo 200 milioni. Skype è stata comprata da Microsoft per più di otto miliardi: 17 volte i suoi ricavi. E Facebook, se si quotasse, varrebbe 50 miliardi.
Mauro Suttora
San Francisco (Stati Uniti), 1 giugno 2011
di Mauro Suttora
Mai nella storia era successo che tanto potere fosse concentrato in così poco spazio. All’interno di un triangolo californiano di soli nove chilometri hanno le loro sedi tutti i giganti mondiali dell’era digitale: la Apple con i suoi i-pod, iphone e i-pad, Yahoo e Google con i motori di ricerca, i social network Facebook e Linkedin, i videotelefoni Skype.
Siamo nella Silicon Valley, cuore già dagli anni 70 di tutto ciò ha a che fare col silicio. Cioè la materia base dei chip, anima dei computer. La Hewlett-Packard nacque a Stanford 70 anni fa. L’omonima università di Palo Alto ha sfornato decine di premi Nobel, e il suo «science park» è l’humus di molte aziende informatiche: Intel, Sun, Oracle. Pochi chilometri a nord, a San Francisco, ci sono Twitter e Wikipedia. E un po’ più a sud, a San Josè, ecco Cisco, Adobe, E-bay.
Insomma, chiunque apra un computer oggi nel mondo usa qualcosa che viene da questo piccolo «triangolo». Un tale dominio planetario non si era mai verificato. L’antica Roma non andò mai oltre la Persia. Londra e Parigi avevano imperi coloniali, ma in contrasto fra loro. E neanche la New York del XX secolo americano era riuscita a sottomettere potenze come Russia o Cina. Ora invece i giovani russi, cinesi o arabi si scambiano video su Youtube e organizzano rivoluzioni con Facebook. Tanto che il capo di Wikileaks Julian Assange accusa, un po’ paranoico: «Gli Stati Uniti controllano il mondo con i social network».
È incredibile anche la durata del fenomeno Silicon Valley, oltre che la sua concentrazione geografica. Nel 1976 Steve Jobs fonda la Apple a Cupertino: i suoi computer Macintosh sono più moderni di quelli della newyorkese Ibm. Negli anni 80 la Microsoft di Bill Gates domina nel software (programmi), ma Seattle sta comunque nella West Coast. E nel decennio successivo il «triangolo» californiano si prende la rivincita con i motori di ricerca: nel 1995 Yahoo, tre anni dopo Google.
Ma è con il nuovo millennio che riesplode la Silicon Valley: Skype nel 2002, l’anno dopo Linkedin, nel 2004 Facebook. Il ritmo si fa vorticoso: il primo social network My Space, acquistato a peso d’oro dal magnate Rupert Murdoch, in soli due anni è sorpassato da Facebook, che oggi connette istantaneamente 600 milioni di persone in tutto il mondo.
Anche l’inventiva di Jobs è insuperabile: nel 2001 l’i-pod che distrugge l’intera industria discografica; poi l’i-phone, che fa subito sembrare vecchio il blackberry; infine l’i-pad, che un giorno potrebbe sostituire anche il giornale che state leggendo in questo momento. La Apple decuplica il giro d’affari: oggi vale in Borsa 300 miliardi di dollari, ma qualcuno già scommette che arriverà presto a mille...
Facebook è l’unica società nata a Boston, e non in California. Ma Mark Zuckerberg è presto costretto a trasferirla a Palo Alto: anche lui nel «triangolo», perché qui si fa la storia, circolano le idee, nascono i prodotti.
Fra questi viali alberati si combattono anche guerre all’ultimo sangue, con ingegneri che le società si strappano a suon di milioni di dollari. Perché in palio ci sono i miliardi della «New Economy»: Linkedin, ultima quotata, ha subito raggiunto in Borsa nove miliardi, nonostante fatturi solo 200 milioni. Skype è stata comprata da Microsoft per più di otto miliardi: 17 volte i suoi ricavi. E Facebook, se si quotasse, varrebbe 50 miliardi.
Mauro Suttora
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