Wednesday, November 28, 2007

Viaggio a Cody, Wyoming

BUFFALO BILL (RI)CONQUISTA L'ITALIA

Cody (Stati Uniti), 22 novembre

Nel vecchio West c’era posto per tutti, a nessuno interessava controllare chi fossi o cosa avessi fatto in passato. Per i cowboys contava solo il futuro, la voglia di percorrere un pezzo di strada assieme. Me ne accorgo appena arrivato a Cody, nello stato del Wyoming, quando il proprietario del motel non vuole documenti e non dà moduli da riempire: gli basta la carta di credito (33 euro per una stanza grande, nuova e pulita: imparate albergatori italiani, che vi lamentate sempre per il calo dei turisti).

Cody, diecimila abitanti, è la piccola capitale del West americano. Lo dice il nome stesso: che è un cognome, quello di Buffalo Bill, al secolo William Cody (1844-1917), l’uomo che la fondò. Il leggendario cacciatore di bisonti, ma anche colonnello dell’esercito, portavoce degli indiani, guardiano di tori, pony express, amico di principi e re (Alberto di Monaco, Alessio di Russia, Vittoria d’Inghilterra, il nostro Vittorio Emanuele III), consulente di presidenti Usa, albergatore, pioniere dell’ecologia. E perfino inventore del circo, quel grandioso spettacolo Wild West che portò due volte in Europa con tournées che duravano anni, popolarizzandone l’epopea (per capirne l’enorme impatto ascoltate la canzone Buffalo Bill di Francesco De Gregori).

Sono a Cody per due motivi. Il primo è che ospita il museo di Buffalo Bill, in realtà cinque musei che spiegano tutto del West: la vita dell’eroe ma anche gli indiani, la pittura, le armi, la natura. Siamo infatti all’entrata del parco di Yellowstone, il primo al mondo per anzianità (1872) ed estensione (9000 kmq.) Da qui vengono l’orso Yoghi, Bubu, e anche l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti, il bellicoso Dick Cheney, incarnazione dell’animo del cowboy e già deputato del Wyoming.

Il secondo motivo è che sabato 24 novembre si apre nel Museo di Santa Giulia di Brescia la mostra America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo. Dura sei mesi (fino al 4 maggio 2008), ed è la più grande esposizione d’arte statunitense del XIX secolo organizzata in Italia (catalogo Linea d’Ombra, info tel. 0422-42.99.99). Ben 95 delle opere esposte vengono proprio dal museo di Cody. Siamo quindi andati nel Wyoming per assistere all’imballaggio dei 20 quadri, 21 foto d’epoca e 54 altri «pezzi» in partenza per Brescia.

È un lavoro enorme, che i visitatori delle mostre non immaginano. Lo scantinato del museo è pieno di casse di legno dove vengono accuratamente adagiati vestiti indiani, tomahawk (asce), fucili, pistole, corone di piume e selle appartenute a Buffalo Bill. «Per proteggere le opere ogni cassa di legno è doppia, una contenuta nell’altra come i sarcofagi egizi», ci spiega Connie Vunk, la manager delle collezioni che accompagna personalmente il container spedito in aereo via Chicago e Milano, e ne controlla l’installazione a Brescia: «Anche lì la temperatura dev’essere di 20 gradi con 35 per cento di umidità, come in tutti i musei del mondo».

Marco Goldin, il curatore della mostra, nei mesi scorsi ha convinto i maggiori musei degli Stati Uniti, dal Metropolitan di New York alla National Gallery di Washington, dal Fine Arts di Boston a quello di Hartford (Connecticut) a prestare opere eccezionali. A Cody ha dovuto incassare un unico rifiuto: quello di portare in Italia la carrozza gialla su cui Buffalo Bill si esibiva durante gli spettacoli europei del suo circo.

A Cody si respira ancora l’aria di cent’anni fa, con il tipico viale centrale dei paesi del West e i saloon dove entrano avventurieri di ogni tipo. Lo stadio serve non per le partite di football o baseball, ma per i rodei. L’albergo principale è ancora quello che Buffalo Bill in persona aprì nel 1902, dandogli il nome della figlia Irma. Nella sala del bar troneggia il bancone di legno di ciliegio regalato dalla regina Vittoria.

Vado al Silver Dollar Saloon per cenare con un cheeseburger. Mi si siede vicino al banco un cacciatore reduce da una battuta al cervo (controllatissima dai guardiacaccia) nel parco di Yellowstone. Quando gli spiego lo scopo della mia visita scherza: «Ma con tutte le opere d’arte che avete in Italia, dovevate spingervi fin qui per farvene prestare altre?»

Facciamo rispondere il curatore Goldin: «Nel titolo della mostra abbiamo messo il punto esclamativo perché si colga il senso della scoperta e della meraviglia. La meraviglia che colse i primi viaggiatori davanti alla lucente brillantezza delle cascate del Niagara o all’incanto verde della Yosemite Valley. Per la prima volta in Italia un’esposizione racconta questa grande avventura. Cento anni di pittura che sono un’evoluzione dal sogno romantico e dell’Arcadia di Doughty e Cole fino ai famosi ritratti di Sargent. La scoperta dei territori dell’Ovest, il racconto di vita su indiani e cowboy, fino all’impressionismo e alla grande ritrattistica di fine secolo. Abbiamo ricostruito tutta la storia degli States nell’Ottocento con 250 dipinti, 60 fotografie originali, 10 sculture e 80 oggetti: vestiti, borse, mocassini, gioielli, preziose selle istoriate e i copricapo rituali, dei nativi americani e di Buffalo Bill. Oltre 400 opere».

Il West la fa da padrone? Risponde Goldin: «Un’intera sezione della mostra è riservata all’immagine dell’Ovest, sia con i paesaggi intrisi di senso del sublime di Albert Bierstadt e Thomas Moran, sia con le scene più propriamente di vita western realizzate dai tre maggiori pittori di quest’epopea: Catlin, Remington e Russell. Alcune delle inquadrature più note dei film western di John Ford sono prese proprio da Remington. Ma la ricostruzione della cultura dei nativi americani e della conquista dei territori dell’Ovest non è solo pittorica».

Mauro Suttora

3 comments:

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