Il sergente Usa che ha sposato l'irakena
Oggi, 26 gennaio 2006
Gli occhi. Quelli bellissimi di lei, Ehda, dottoressa irachena 25enne: neri, profondi, misteriosi e affascinanti come nelle Mille e una notte. Quelli di lui, Sean, valoroso sergente 27enne dell'esercito statunitense: azzurri come il mare della sua Florida. Si sono incontrati un giorno di maggio del 2003, un mese dopo la liberazione dell'Iraq, mentre lui faceva da sentinella al ministero della salute di Bagdad. Si sono folgorati a vicenda, e da allora non si sono più lasciati.
«Ci siamo sposati tre mesi dopo con una cerimonia segreta di venti minuti per strada, durante la pausa di una mia missione di pattugliamento», racconta Sean Blackwell a Oggi da Pensacola (Florida), dove è ritornato assieme a sua moglie dopo molte peripezie. Che Ehda racconta nel libro Giulietta e Romeo a Bagdad (ed.Mondadori), appena pubblicato in Italia. Il loro infatti è stato un amore contrastatissimo, che ha dovuto superare innumerevoli ostacoli prima di realizzarsi.
Dicono che a Saddam Hussein piacesse Shakespeare, e in particolare il dramma dei due giovani innamorati di Verona. Fu proprio la visita a uno dei palazzi dell'ex dittatore la meta del primo appuntamento che Sean riuscì a strappare a Ehda: «La conobbi quando si presentò all'entrata del ministero che avevamo occupato», ricorda Sean, «si metteva a disposizione per lavorare come medico laureato in uno degli ospedali che, dopo i saccheggi dell'immediato dopoguerra, sembravano sul punto di crollare. Voleva anche andarsene da Qut, la città satellite di Bagdad dove lavorava, perchè dopo la caduta di Saddam erano apparsi i fondamentalisti islamici, i quali già minacciavano le donne che come lei vestivano all'occidentale.
«Purtroppo i burocrati americani del ministero la rifiutarono. Ma io fui subito colpito da Ehda, dalla sua bellezza, eleganza, cultura, e anche dal fatto che parlava inglese. Mi trovavo in Iraq quasi per caso, perchè avevo lasciato l'esercito nel 2002. Volevo laurearmi in scienza dell'alimentazione, e poichè l'università è gratis per i membri della Guardia nazionale della Florida, mi ri-arruolai. Ma fino ad allora la Guardia nazionale era una specie di Protezione civile, che interviene per le emergenze come gli uragani o le sommosse interne, formata da volontari che hanno un altro lavoro e che dedicano all'addestramento solo un paio di weekend al mese. Invece il caso volle che un mese dopo aver firmato proprio il mio reparto venisse comandato in Iraq, e così mi ritrovai in una garitta a Bagdad...
«Quando mi trovai di fronte quella bella ragazza così desiderosa di collaborare con noi americani feci di tutto per sormontare il muro di indifferenza che le veniva opposto. Non volevo che se ne andasse, e così proposi che la prendessero in una delle cliniche gestite da medici delle forze armate assieme a dottori locali. Sapevo che mancavano dottoresse donne per visitare le pazienti femmine, ma alla fine neanche questa strada si rivelò quella giusta. La verità era che il chirurgo dell'esercito non voleva avere attorno dottori iracheni... Ma almeno tutto questo darmi da fare impressionò Ehda, che rimase lì a chiacchierare.
«Lei si lamentava, diceva che a Qut i fondamentalisti volevano rapirla. Io le risposi sorridendo: "Beh, hanno ragione". E lei, confusa: "Cosa?" E io: "Anch'io ti rapirei". Stavo solo facendo il galante, ma quelle mie parole la mandarono in tilt, tanto che smise di parlare inglese e si rivolse al nostro interprete in arabo. Volevo solo flirtare, ma l'avevo messa in imbarazzo. Non sapevo che da quelle parti è impensabile che un uomo si rivolga a una donna in quel modo. E' uno dei tanti errori che noi americani abbiamo commesso in Iraq. Per fortuna Ehda non se la prese, anzi: dopo essere stata ingaggiata come traduttrice, prese l'abitudine di passare a salutarmi ogni due-tre giorni, portandomi ogni volta qualcosa di buono da mangiare.
«Io mi ero innamorato di lei, e quando cominciamo a frequentarci scoprimmo di avere parecchio in comune: per esempio, entrambi eravamo stati abbandonati dai rispettivi padri da piccoli, e per questo sentivamo il bisogno di creare una famiglia unita. Io per la verità avevo già un matrimonio alle spalle, e due figlie da due donne diverse, ma appena vidi Ehda capii che volevo ricominciare con lei. Dopo tre mesi di appuntamenti le chiesi di sposarmi. Anche lei mi confessò di amarmi.
«Lì però cominciarono i problemi. Il mio comandante, colonnello Thad Hill, era contro il matrimonio. Non voleva neppure discuterne. Un tenente con cui riuscii a parlare mi fece un discorso che mi sembrò abbastanza razzista: "Ma hai pensato a come sarebbe la vostra vita assieme, non vedi cosa mangiano i musulmani, come si vestono, come pregano?" E quando gli risposi che mi ero già convertito all'islam per chiedere la mano di Ehda ai suoi genitori, gli venne un colpo. Così ignorai l'opinione dei miei superiori, e organizzai un matrimonio ultrarapido in un giardinetto dietro a un ristorante, nel quartiere Wasiriyah di Bagdad. I soldati del mio plotone fecero la guardia con fucili e una mitragliatrice pesante. Io ero in tuta mimetica, lei in un vestito a fiori...
«Quando il colonnello Hill scoprì che ci eravamo sposati si imbestialì, e minacciò di trascinarmi davanti alla corte marziale per aver effettuato la cerimonia durante il servizio armato. Ci ha salvato la pubblicità di giornali e tv, sollecitata da un avvocato che contattai in Florida. Nel frattempo, anche Ehda stava passando i suoi guai. Un giorno, mentre tornava a casa in taxi dalla base, fu bloccata da un'auto con dei brutti ceffi che la minacciarono di morte se avesse continuato a frequentare americani vestita così. Molti suoi amici si opposero al matrimonio e poi la abbandonarono, insultandola. Io le chiesi di non uscire più di casa, ma lei insistette per continuare a lavorare come traduttrice. Insomma, io venivo trattato come un traditore, e lei come una puttana.
«Alla fine, un anno dopo, l'esercito mi ha lasciato andare, e sono tornato qui in Florida con Edha. Ma quest'esperienza mi ha scosso, non mi faccio più illusioni sulla guerra e sui motivi per cui i politici ci hanno spedito a morire in Iraq. Poi ho avuto anche paura che il sud degli Stati Uniti si rivelasse troppo conservatore per una donna moderna come mia moglie. Invece lei si è ambientata. Purtroppo non le hanno riconosciuto la laurea, e così per ora deve lavorare come infermiera. Ma sta preparando gli esami per esercitare la sua vera professione. E prima o poi organizzeremo una grande festa per ricelebrare il nostro matrimonio, questa volta a piedi nudi al tramonto sulla spiaggia della Florida...»
Mauro Suttora
RIQUADRO
Tre importanti ottantenni statunitensi nell'ultima settimana hanno chiesto il ritiro dei soldati Usa dall'Iraq:
Walter Cronkite, l'Enzo Biagi d'America. Il decano dei giornalisti, che nel 1968 fu fra i primi ad avere il coraggio e l'onestà di riconoscere che la guerra del Vietnam non poteva essere vinta, oggi pensa lo stesso sull'Iraq: «Prima ce ne andiamo, meglio è».
Tony Bennett, l'erede di Frank Sinatra. Il grande cantante, veterano della Seconda guerra mondiale, ha dichiarato: «La guerra in Iraq mi ha fatto diventare pacifista. La guerra è la forma più bassa del comportamento umano».
John Eisenhower, generale e repubblicano come suo padre, l'ex presidente degli anni '50: «Ho votato per Bush, ma l'Iraq è un'avventura sbagliata».
7 comments:
aggiorna il blog, pelandrone!
Per San Valentino si impone un tormentone erotico-radicale!
:)
è precisamemente quel che sto per fare: un tormentone!
qui a new york sesso sempre piu' sfrenato. Tutti che fanno l'amore
Sei vieppiù popolare. In giro non si parla che di te.
Una domanda per voi esperti: da dove deriva il nomignolo Copycat affibbiato al (giornalista)Zucconi?
gliel'ha affibbiato Christian Rocca (Il Foglio) prendendolo dal film con Sigourney Weaver
Post a Comment