Monday, March 08, 1999

Energie alternative

VENTO, SOLE, BIOMASSA

settimanale 'Erba', organo dei Verdi, 8 marzo 1999

VENTO (Benevento)

Combatte contro i mulini a vento, ma non è affatto un Don Chisciotte: Gianfranco Marcasciano, sindaco di San Bartolomeo in Galdo (Benevento), paese di seimila abitanti al confine fra Campania, Puglia e Molise, è riuscito a bloccare una centrale eolica della potente multinazionale giappoamericana Ivpc (Italian vento power corporation). Il suo consiglio comunale l’ha bocciata, anche se in cambio San Bartolomeo avrebbe avuto una nuova palestra (valore: un miliardo e 200 milioni), la bonifica di una discarica (400 milioni) e lo sgombero della neve (cento milioni).

Che questa provincia sia l’ideale per sfruttare l’energia eolica lo dice la parola stessa: «Benevento». Ma è tutta la dorsale appenninica dall’Aquila fino a Potenza a garantire il vento forte e stabile necessario a far muovere le turbine eoliche. La Ivpc ha già installato centrali a vento in molti paesi della Val Fortore: Montefalcone (26 megawatt), San Giorgio la Molara (venti Mw), Molinara (14), San Marco dei Cavoti (11), Baselice (sette), Foiano (cinque megawatt). Anche in provincia di Foggia, nel subappennino dauno, il vento produce elettricità a Sant’Agata (25 megawatt), Monteleone (17 Mw), Anzano (sette) e Alberona (tre megawatt). Oltre alla Ivpc, c’è anche una società italiana impegnata nell’eolico: la Wind Power della Riva Calzoni, di cui la Montedison ha acquistato il 60% tre mesi fa, e che produce le turbine a Foggia.

È un settore promettente, che però deve fare i conti con l’opposizione guidata dal quotidiano Il Sannio: «Gli abitanti e gli enti locali sopportano l’inquinamento visivo e acustico», spiega Michele Raffa della Cispel Services, «ma non vedono il ritorno di questo sacrificio. Per far sì che le fonti rinnovabili siano accettate bisogna che almeno una parte degli utili prodotti venga reinvestita in loco, per valorizzare i prodotti agroalimentari e il turismo». Invece, sanniti e dauni vedono le proprie montagne deturpate per produrre elettricità che poi finisce in gran parte a Napoli e Bari.


SOLE (Stromboli)

I pannelli della centrale fotovoltaica avrebbero coperto 6.500 metri quadri di terreno sui fianchi del vulcano. «E poi c’era un capannone di cinque metri d’altezza per 15 di lunghezza, tutto in lamiera metallica. Ma siccome lo volevano verniciare di verde, l’hanno definito ”ecocompatibile”», ironizza il tedesco Ulrich Stulgies, iscritto ai verdi nella sezione Eolie, uno dei venti abitanti di Ginostra d’inverno.
Ginostra è un paesino sull’isola di Stromboli, dalla parte opposta rispetto al capoluogo. È raggiungibile solo via mare, ma il piccolo molo permette l’attracco di un’unica barca per volta. Così le navi da Lipari e Panarea si fermano in mezzo al mare, e i passeggeri devono scendere su una scialuppa per arrivare a Ginostra. Questo isolamento è assai apprezzato dai turisti, che in agosto fanno aumentare la popolazione fino a 600 abitanti. L’elettricità è prodotta da generatori o da pannelli fotovoltaici casa per casa. Per l’acqua calda e il riscaldamento ci sono pannelli solari termici.

È il classico caso in cui il chilowattora fotovoltaico risulterebbe economicamente conveniente. «Ma come al solito l’Enel ha voluto imporre il proprio impianto senza consultare nessuno», spiega Francesco Ferrante di Legambiente, «e poiché quell’area era prevista a riserva naturale, la centrale è stata bloccata dall’assessorato all’Ambiente della regione Sicilia». «Era un impianto mostruoso sovradimensionato per le nostre esigenze», aggiunge Stulgies, «perché qui non c’è molto spazio. Oltretutto, altri mille metri quadri lì accanto sarebbero stati mangiati da una seconda piattaforma di eliporto imposta in deroga alla riserva dal ministero degli Interni, al solo scopo di far atterrare due volte al mese l’elicottero del tecnico che controlla un sismografo del Cnr. In totale, quindi, un quarto della riserva del Timpano sarebbe stata distrutta».

Proprio il mese scorso il ministero tedesco dell’Industria e della Scienza ha ritirato il finanziamento di due miliardi e mezzo che cinque anni fa era stato messo a disposizione del progetto, in cambio dell’utilizzo di prodotti Siemens e Telefunken made in Germania. E adesso? «Che lo Stato ci aiuti almeno nella manutenzione dei pannelli solari installati dieci anni fa con fondi Ue: dobbiamo sostituire gli accumulatori», chiede Stulgies. «Oppure, che si installi un cavo sottomarino per portare l’elettricità da Stromboli: il deputato verde Sauro Turroni aveva ottenuto dalla Pirelli un preventivo di poco più di due miliardi».


BIOMASSA (Forlì)

Il gruppo Marcegaglia (Emma, figlia del fondatore Steno, guida i giovani di Confindustria) vuole realizzare, accanto al proprio tubificio di Forlimpopoli (Forlì), un impianto che, bruciando 250mila tonnellate all’anno di materiale di origine legnosa, produca venti megawatt di elettricità con il metodo della biomassa. La pratica è stata presentata lo scorso 20 ottobre, e il progetto è attualmente sottoposto a Via (Valutazione di impatto ambientale) da parte della regione Emilia-Romagna.

Intanto, però, il comune di Forlimpopoli ha già dichiarato la propria contrarietà, spinto da un comitato che ha raccolto ben 12mila firme contro il bruciatore. Molte, visto che la stessa Forlimpopoli non arriva a 12mila abitanti. «L’opposizione è provocata da una concentrazione di progetti considerata eccessiva nell’area industriale Villaselva, posta tra Forlì e Forlimpopoli», spiega Maria Luisa Bargossi, ds, assessore provinciale all’Ambiente. «Nella stessa zona è prevista infatti anche la realizzazione di uno scalo merci ferroviarioe di un nuovo tracciato per la via Emilia-bis. Si verrebbe quindi a creare, secondo gli oppositori, un fenomeno di congestione ambientale con consumo di terreno agricolo, e ulteriore inquinamento atmosferico e acustico».

Il fatto che l’impianto di biomassa sia inserito in una zona già industriale non lo salva dalla contestazione. «Forlimpopoli è un comune piccolo, ma con una forte attività agroindustriale», dice l’assessore Bargossi, «e lo zuccherificio e la distilleria già presenti sono energivori e idroesigenti. Le prime case distano 500 metri dalla zona industriale, il centro è a due chilometri. Gli abitanti temono il viavai dei camion per l’approvvigionamento della centrale. Però non tengono conto che, proprio in quanto zona agricola, la provincia di Forlì-Cesena produce comunque migliaia di tonnellate di residui delle potature degli alberi da frutta e delle viti, e di altri scarti legnosi dalle attività forestali. E questi vengono comunque bruciati nei campi o gestiti in forma non controllata.

Molto meglio, allora, distruggerli ottenendo contemporaneamente energia elettrica. Inoltre gli agricoltori otterranno un prezzo per il materiale conferito. È per questo che l’Unione europea classifica come “rinnovabile” il metodo della biomassa legnosa e lo considera a emissione «zero» di co2. Ormai la gente è contro gli inceneritori in generale, qualunque cosa brucino. Ma la Provincia baserà il suo parere su un bilancio ambientale più ampio, che terrà conto del parere di via emesso dalla regione, dell’opinione dei comuni interessati, e dei potenziali vantaggi per l’intera provincia».

Mauro Suttora