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L’affare Greenpeace/ Parla l’uomo che ha sfidato Mitterrand
“Non ci fermerai con quella sporca bomba”
Odiato da americani e sovietici ma appoggiato dai pacifisti, l’ecologo David McTaggart rivela perché l’affondamento della ‘Rainbow Warrior’ può diventare un boomerang per il presidente francese
di Mauro Suttora
Europeo, 7 settembre 1985
Rue de la Bûcherie, Parigi: un vicoletto del Quartiere latino. Voltato l’angolo, Notre-Dame. Due passi più in là, il minuscolo teatro Huchette, dove da trent’anni ogni sera danno La cantatrice calva e La lezione di Eugène Ionesco.
Ma la vera commedia dell’assurdo, da un mese e mezzo, si svolge al numero 3: la sede di Greenpeace, il movimento di ecologisti internazionali. Una vetrina al piano terra, uno stanzone pieno di belle ragazze indaffarate che parlano quasi tutte inglese, i soliti soli ridenti dei verdi alle pareti. E un poster con su scritto: “Quando l’ultimo albero sarà tagliato, l’ultimo fiume avvelenato e l’ultimo pesce morto, allora l’uomo scoprirà che non ci si nutre di soldi”.
Dal 10 luglio, da quando cioè la nave di Greenpeace Rainbow Warrior è stata affondata in Nuova Zelanda da agenti della Dgse (la Cia francese) e il fotografo Fernando Pereira è rimasto ucciso dallo scoppio dalle mine collocate sotto la chiglia della nave, nella sede parigina del movimento c’è un viavai frenetico. “Siamo stati inondati da giornalisti di tutto il mondo, ma anche da lettere e contributi di simpatizzanti”, dice Louise Trussell, 33 anni, neozelandese, presidente della sezione francese.
Rimasti assai a corto di argomenti di fronte all’assurdità del fatto (“nauseabondo”, lo ha qualificato perfino il capo del sindacato socialista Cfdt, Edmond Maire), i difensori dell’operato del governo di François Mitterrand non hanno trovato di meglio che ricorrere alla plurisecolare tesi del “complotto anglosassone”: c’è cascato anche l’altrimenti posato vulcanologo Haroun Tazieff.
Insomma, che ci fanno tutti questi inglesi, canadesi, americani e australiani in Francia? Che ci fanno soprattutto nell’oceano Pacifico, che per metà è francese? E perché, invece di incaponirsi contro i nostri esperimenti atomici nell’atollo di Mururoa, questi maledetti ecologisti internazionali non vanno a infastidire gli inglesi, gli statunitensi, i sovietici? Anche loro sono potenze nucleari, anche loro fanno esplodere bombe sotterranee.
“Sì, e la media è di un esperimento nucleare ogni settimana nel mondo. Dopo Hiroshima ci sono state altre 1500 esplosioni”, risponde David McTaggart, 52 anni, miliardario canadese, presidente di Greenpeace International. “Quel che i francesi dimenticano, è che siamo nati nel 1971 proprio per opporci agli esperimenti nucleari degli Stati Uniti in Alaska. E la nostra protesta fu così efficace che l’anno dopo furono sospesi”.
McTaggart è un personaggio singolare. Nel 1973 navigava tranquillo, ignaro di ecologia, sul suo yacht in crociera fra Tahiti e le isole Figi. Venne a sapere che i francesi avevano interdetto alla navigazione internazionale un’ampia zona attorno a Mururoa, ben al di là delle tradizionali dodici miglia delle acque territoriali, in occasione dell’esplosione di una loro bomba sperimentale. Ciò lo irritò e lo spinse a far vela verso la Polinesia francese. Venne speronato senza pietà dalle motovedette francesi e ferito a un occhio.
Ma, contemporaneamente, altre personalità stuzzicavano i militari messi a custodia della ‘force de frappe’ nei mari del Sud. Il generale pacifista Paris de la Bollardière, eroe di tre guerre (mondiale, Indocina, Algeria), era sceso in un canotto assieme a un prete (Jean Toulat), un professore di filosofia (Jean-Marie Muller) e un ecologo (Brice Lalonde), violando la zona proibita.
Soprattutto, si erano mobilitati i due giornalisti più famosi di Francia, Jean-Jacques Servan-Schreiber e Françoise Giroud, alla testa del settimanale L’Express, allora su posizioni radicali. “Le foto dei soldati che picchiavano gli ecologisti furono nascoste da un ragazza nella vagina, sfuggirono al sequestro e vennero pubblicate su tutti i giornali”, racconta McTaggart. Alla fine le forze armate dovettero chinare la testa: nel 1974 gli esperimenti nucleari in atmosfera furono sospesi.
Forse ancora assetati di vendetta, forse timorosi di una pessima figura di fronte all’opinione pubblica mondiale (Davide contro Golia: piroghe, dinghy e gommoni all’abbordaggio di cannoniere), i militari francesi sono andati per le spicce dopo l’annuncio di una nuova campagna antinucleare per il settembre di quest’anno. Ma il risultato è stato soltanto il raddoppio della scandalo: uno in luglio per l’assassinio, e un altro assai probabile al momento dei nuovi esperimenti fra quattro settimane.
Il bello è che in Francia quasi nessuno è contrario alla bomba atomica nazionale, neanche i comunisti. I giornali, anche quelli di sinistra, accusano i servizi segreti più per l’imperizia omicida dimostrata nell’affondare il Rainbow Warrior che per il fatto in sé.
Il consenso unanime in materia militare è incrinato soltanto dai verdi. Però anche il loro capo, Brice Lalonde, pur chiedendo le dimissioni del ministro della Difesa Charles Hernu, dichiara: “Se c’è la bomba, ci vuole un posto dove sperimentarla”.
Ma ormai la Francia agli antipodi è odiata. Il premier ‘pacifista’ neozelandese David Lange appoggia apertamente Greenpeace e condanna il “terrorismo di stato francese”. Laburista, ha addirittura chiesto l’espulsione dei francesi dall’Internazionale socialista. Tutti i governi del Pacifico meridionale hanno firmato proprio in luglio un trattato di denuclearizzazione, chiedendo che anche la Francia lo rispetti.
Sapendo di avere, almeno per il momento, il coltello dalla parte del manico, McTaggart smorza i toni: “Non accuso di omicidio il governo francese, non ci sono ancora le prove”. Ma di fronte alla muscolosa sortita ferragostana di Mitterrand, effettuata per coprirsi le spalle dall’opposizione di destra (“Ordino alla Marina di opporsi con ogni mezzo alla violazione delle nostre acque territoriali”), il leader verde non flette di un millimetro: “Il Pacifico deve restare pacifico. Noi abbiamo sempre usato, e sempre useremo, metodi nonviolenti. Ma chiediamo che la Francia rispetti la denuclearizzazione del Pacifico. Anzi, perché Mitterrand non promuove egli stesso un trattato per la proibizione totale degli esperimenti atomici?”
Provocatore. Pirata nonviolento. Agente dei russi. Finora Greenpeace aveva goduto di una simpatia quasi generale, in tutto il mondo. Anche in Francia, dove il leggendario comandante Eric Cousteau è dei loro, così come la scrittrice Marguerite Yourcenar, e Brigitte Bardot ha finanziato abbondantemente la lotta contro l’uccisione delle foche. Ma l’argomento ‘bomba’ oltralpe è un totem-tabù, cosicché ora Greenpeace è accusata di essere infiltrata da spie sovietiche.
“La difesa atomica francese è ‘tout azimut’, a 360 gradi? Be’, anche il nostro no alle esplosioni nucleari lo è”, si difende McTaggart. “Contro i test Usa nel Nevada abbiamo fatto volare una mongolfiera, cinque nostri attivisti si sono intrufolati nella zona di rischio, bloccando tutto per diversi giorni”. E i test sovietici? “Il nostro carnet è pieno di azioni contro i sovietici, in ogni campo”.
Vi accusano però di avere a bordo delle vostre navi strumenti sofisticati, con i quali potreste rilevare dati segreti sulle esplosioni sotterranee.
“Balle. Abbiamo solo contatori geiger da 200 dollari, e una macchina per telefoto che proprio Pereira avrebbe dovuto usare per trasmettere le sue foto all’agenzia Associated Press”.
Ma un’agente francese ha potuto infiltrarsi tra voi per settimane. Lo stesso potrebbe fare uno 007 di qualunque altro Paese.
“E allora? Non siamo mica un esercito, noi. Teme le spie solo chi ha segreti, e noi non ne abbiamo: tutte le nostre azioni sono pubbliche. Anzi, la massima pubblicità è proprio il nostro obiettivo principale. La nostra unica arma è la fantasia”.
La fantasia. Certo, per chi lamenta che l’avventura sia scomparsa dalla vita moderna, il terrorismo nonviolento di Greenpeace risulta affascinante. E poi, altro che don Chisciotte. A differenza di altri verdi, che passano il tempo a parlare e a lagnarsi, loro ‘fanno’. E soprattutto vincono. La battaglia contro lo sterminio delle balene (due milioni di cetacei catturati negli ultimi cinquant’anni e la balena azzurra, quella più grande, ridotta da centomila a mille esemplari) è stata vinta nel 1982. Solo tre Paesi ‘cattivi’ continuano la caccia: Urss, Giappone e Norvegia.
Sempre nel 1982 l’Europarlamento ha vietato l’import per le pellicce di foca, dando così un colpo mortale al business. E poi le scorie delle centrali nucleari civili: dal 1967 venivano scaricate nell’Atlantico al largo della Spagna. Dopo innumerevoli ‘assalti al canotto’ e incursioni romanzesche da parte dei guerriglieri ambientalisti, dal 1983 i Paesi europei acconsentono a interrarle.
Chi rivelò nel 1982 che la diossina di Seveso era finita in Francia? Greenpeace. E chi smascherò le reticenze delle autorità quando nel 1984 a Ostenda (Belgio) naufragò un carico di scorie radioattive? Sempre quei guastafeste di Paceverde. Più verde che pace, finora: “Siamo ecologisti, non pacifisti”, tenevano a precisare. Ma adesso si sono accorti che il principale inquinamento è quello da armi atomiche e stellari. “Ci opporremo energicamente alle ‘star wars’ perché non vogliamo esplosioni nucleari neanche nello spazio”, annuncia McTaggart.
E in Italia, perché non siete presenti? “Siamo cresciuti molto in fretta, adesso abbiamo due milioni di simpatizzanti in 15 Paesi. Il nostro bilancio nel 1984 è stato di 15 milioni di dollari. Ma siamo indipendenti, riceviamo contributi solo da privati. In Italia temiamo di finire in mezzo a polemiche fra partiti. Comunque chi vuole aiutarci aspettando l’apertura della sezione Italiana può farlo subito, mandandoci un contributo qui a Parigi. In cambio riceverà il nostro bollettino”.
Vade retro Urss: la guerra fra Greenpeace e il Cremlino
Le ostilità fra Greenpeace e l’Unione sovietica iniziarono il 27 giugno 1975, quando la prima nave degli ecologisti, la Phyllis Cormack, tentò di bloccare la caccia della baleniera sovietica Vostok. Al ritorno in Canada furono ben diecimila gli spettatori che festeggiarono l’equipaggio, composto da giovani statunitensi riparati all’estero per evitare la guerra in Vietnam.
Nel 1982 il Sirius attraccò a Leningrado, dove poi gli ecologisti distribuirono volantini in russo contro gli esperimenti nucleari sovietici. Nel luglio dell’anno dopo cinque americani e un canadese partirono dall’Alaska sul Rainbow Warrior e con un gommone Zodiac penetrarono in acque sovietiche. Arrivarono a Lorino in Siberia, sullo stretto di Bering. Anche qui diedero volantini agli stupefatti eschimesi locali. I sei vennero arrestati, liberati dopo quattro giorni e riportati in Alaska.
Manifestazioni simili si sono registrate anche a Berlino Est e in Cecoslovacchia, dove l’anno scorso gli ecologisti sono penetrati per denunciare l’inquinamento provocato dalla piogge acide. Ma l’azione più spettacolare è avvenuta lo scorso ottobre, quando il Sirius si è appostato per giorni sullo stretto di Gibilterra attendendo la flotta baleniera sovietica dell’Antartico, proveniente da Odessa.
Mauro Suttora