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Monday, December 09, 2013
Guerra di Esselunga
IL PADRE-PADRONE 88ENNE BERNARDO CAPROTTI CONTRO I FIGLI GIUSEPPE E VIOLETTA
di Mauro Suttora
Oggi, 4 dicembre 2013
«Spero sempre in una riconciliazione con mio padre»: questo è l’unico commento che Giuseppe Caprotti fa con Oggi sul dissidio che da dieci anni lo contrappone al padre Bernardo, fondatore di Esselunga.
Il padrone quasi novantenne della più redditizia catena di supermercati in Italia (ben 230 milioni di utile su un fatturato di 6,8 miliardi l’anno scorso, con un clamoroso +3% nonostante la crisi) ha appena sparato a zero sui due figli del primo matrimonio con Giorgina Venosta (poi moglie di Aldo Bassetti): «Negli anni ho dato a Giuseppe 82 milioni, 74 a Violetta e quattro al suo ex marito newyorkese». Più la villa di famiglia con parco di Albiate (Monza Brianza) a lui, e un castello in Svizzera a lei.
Questo per rispondere alla clamorosa notizia secondo cui Caprotti senior li a vrebbe quasi diseredati: negli ultimi dieci anni, infatti, su 80 milioni di donazioni ne ha dati solo due a Giuseppe e sette a Violetta, contro 30 alla seconda moglie Giuliana, dieci alla figlia di secondo letto Marina Sylvia, e soprattutto altri dieci alla fedele segretaria 65enne Germana Chiodi. Troppo fedele, secondo alcuni: nominerebbe lei i dirigenti di Esselunga e licenzierebbe quelli non graditi.
Scene da film, con auto nere
Una vera Dinasty lombarda, insomma, con scene degne di un film. Come quella del 2004 quando Bernardo fece parcheggiare quattro Mercedes nere con autista sotto la sede centrale Esselunga a Pioltello (Milano). Dopo una burrascosa riunione licenziò in tronco tre dei massimi dirigenti, accusandoli di aver preso tangenti e facendoli portar via dalle auto.
«La quarta era per me?», gli domanda il figlio Giuseppe, che dopo una gavetta di dieci anni era diventato amministratore delegato. «Non ancora», gli rispose il padre, ridendo. Ma da allora i rapporti si sono guastati, e Giuseppe è stato esautorato.
Il 3 dicembre c’è stata un’udienza del processo in cui i figli si oppongono al padre che nel 2011 li ha privati delle loro quote nella società fiduciaria proprietaria di Esselunga. Ma i tempi della giustizia sono eterni. Intanto, Caprotti senior ha annunciato che il 23 dicembre va in pensione. Non seminerà più il panico ogni mattina negli uffici del colosso con 20mila dipendenti e 140 supermercati (due in apertura a Roma, i primi così a sud). Ma c’è da scommettere che, come azionista, continuerà a piombare di sorpresa fra casse e scaffali con le sue ispezioni.
Insomma, alla fine la guerra dei Caprotti verrà decisa all’apertura del testamento. Come in tante famiglie ricche e illustri, dai Berlusconi in giù, con dissidi fra figli di primo e secondo letto.
Lusso fra Londra e New York
E pensare che all’Esselunga fino a dieci anni fa tutto sembrava procedere per il meglio. L’irrequieta Violetta, disinteressata a una carriera aziendale, viveva fra Londra e New York. Due mariti (2004 e 2010), due sfarzosi matrimoni: il primo all’hotel Dorchester con 600 invitati, il secondo con un gallerista belga e ricevimento doppio, a Venezia e Saint Tropez.
Il tranquillo Giuseppe, invece, dopo la laurea in storia alla Sorbona e stages in catene di supermarket negli Stati Uniti, si era fatto strada nell’azienda famigliare. Sotto la sua guida Esselunga si era tolta di dosso l’immagine di catena «dura»: guerra al sindacato, severità con i dipendenti, cassiere che si lamentavano di non potere andare in bagno a fare la pipì. Caprotti junior aveva introdotto vendite online e prodotti biologici.
Poi l’improvvisa rottura, e versioni contrapposte: l’anziano padre accusa il figlio di non far quadrare i conti, il figlio risponde con una spiegazione psicologica tratta dall’Adriano di Marguerite Yourcenar: «Eravamo troppo diversi perché potesse trovare in me quel continuatore docile che avrebbe usato i suoi stessi metodi e fatto i suoi stessi errori. Ma era obbligato ad accettarmi. Ed era un’eccellente ragione per odiarmi».
Mauro Suttora
Friday, August 16, 2013
Oman
UN DESERTO 'SVIZZERO' DALLA DOPPIA ANIMA
Ci sono gli aflaj che portano acqua ai villaggi senza sprecarla, e le piattaforme petrolifere. Le auto pulite per legge, e gli aerei che decollano in ritardo per motivi religiosi. E poi dune sfumate di terra dorata o rossa, spiagge di un bianco accecante e un lusso non sfacciato. In Oman, oasi felice del mondo arabo, che sta vivendo un boom turistico
di Mauro Suttora
Sette (Corriere della Sera), venerdì 9 agosto 2013
Immaginate Dubai senza i grattacieli, Abu Dhabi senza la Formula Uno, il Qatar senza Al Jazeera. Dune di sabbia fine come in Arabia Saudita, canyon rocciosi come nello Yemen, spiagge immense come alle Maldive (che stanno lì di fronte, nell'oceano Indiano). Ma l'Oman assomiglia soprattutto alla Svizzera: ti multano se non lavi l'auto, il pavimento del suk di Mascate è lucidato con la cera, le autostrade a quattro corsie hanno l'asfalto perfetto. E non succede mai niente.
"No news, good news": l'Oman non fa notizia. Niente rivoluzioni, guerre, estremisti. La 'primavera araba'? Sì, alcuni studenti due anni fa hanno manifestato e qualche testa calda è finita in commissariato. Poi il sultano ha ordinato alle imprese di assumere migliaia di giovani regalando loro buoni stipendi. E tutto si è chetato.
Ci sono gli aflaj che portano acqua ai villaggi senza sprecarla, e le piattaforme petrolifere. Le auto pulite per legge, e gli aerei che decollano in ritardo per motivi religiosi. E poi dune sfumate di terra dorata o rossa, spiagge di un bianco accecante e un lusso non sfacciato. In Oman, oasi felice del mondo arabo, che sta vivendo un boom turistico
di Mauro Suttora
Sette (Corriere della Sera), venerdì 9 agosto 2013
Immaginate Dubai senza i grattacieli, Abu Dhabi senza la Formula Uno, il Qatar senza Al Jazeera. Dune di sabbia fine come in Arabia Saudita, canyon rocciosi come nello Yemen, spiagge immense come alle Maldive (che stanno lì di fronte, nell'oceano Indiano). Ma l'Oman assomiglia soprattutto alla Svizzera: ti multano se non lavi l'auto, il pavimento del suk di Mascate è lucidato con la cera, le autostrade a quattro corsie hanno l'asfalto perfetto. E non succede mai niente.
"No news, good news": l'Oman non fa notizia. Niente rivoluzioni, guerre, estremisti. La 'primavera araba'? Sì, alcuni studenti due anni fa hanno manifestato e qualche testa calda è finita in commissariato. Poi il sultano ha ordinato alle imprese di assumere migliaia di giovani regalando loro buoni stipendi. E tutto si è chetato.
Un Paese noioso? "No,
tranquillo. Quindi felice", sorride Aisha, giornalista con velo che
incontro nella hall del resort Crowne Plaza a Salalah. Avevo letto un suo
articolo nel sito online di uno dei maggiori quotidiani in lingua inglese. E
quando mi sono imbarcato sull'aereo dalla capitale Mascate a Salalah, seconda
città del Paese, ho scoperto che aveva ragione.
Aisha raccontava infatti delle
difficoltà che affrontano le hostess a ogni partenza. Le donne musulmane non
possono sedersi vicino a uomini non parenti. Ma le prenotazioni attribuiscono i
posti alla cieca, per cui il mischione è matematico. Tutti i voli vengono
ritardati perché almeno una decina di donne vagano nella carlinga, pretendendo
dalle assistenti di volo una sistemazione alternativa. Inconvenienti pratici
dell'Islam.
"Perché non mettono le donne da
una parte e gli uomini dall'altra, come nelle nostre chiese fino a 50 anni
fa?", chiedo ad Aisha. "Impossibile", spiega lei, che ha
approfondito il problema, "viaggiano molte famiglie intere con i maschi
che vogliono sedere accanto a mogli, sorelle, madri o figlie. L'unica soluzione,
insomma, è non assegnare i posti".
L'unica soluzione per evitare le
turbolenze del mondo arabo, invece, sembra essere l'assolutismo illuminato.
Come quello del sultano Qabus, saldo sul trono dal 1970. Ci arrivò con un
piccolo golpe; ma la vittima fu suo padre, e quasi nessuno si accorse della
successione forzosa. Qualche sciabola sguainata nel segreto del palazzo reale,
niente morti. Il papà detronizzato finì esiliato fra i lussi dell'hotel
Dorchester a Londra.
Così oggi Qabus, sovrano piuttosto
liberale, è il secondo governante più longevo del mondo: superato di soli tre
anni dal sultano del Brunei (la regina Elisabetta e il re di Thailandia non
contano, regnano ma non governano).
Si dirà: facile essere tolleranti quando l'unica preoccupazione è come distribuire i proventi del petrolio. Vero. Ma decine di satrapi, da Saddam a Gheddafi, hanno dimostrato che la manna nera non garantisce buon governo e pace. Invece la dinastia di Qabus detiene un altro record mondiale: quello della stabilità nei secoli. Di padre in figlio, solo quattordici sultani dal 1749. Ognuno riesce a durare in media una ventina d’anni. Immaginate l'Italia ai tempi di Maria Teresa, e fate un paragone con la volatilità dei nostri governanti a scadenza annuale.
Il 72enne Qabus ha portato in 43 anni il suo Paese dal feudalesimo medievale (l'Oman è stato il penultimo stato del mondo ad abolire la schiavitù, prima della Mauritania) a un'assai confortevole modernità. Nessuno dei due milioni di omaniti fa lavori pesanti. Per quelli ci sono un milione di immigrati indiani, pakistani o filippini.
Si dirà: facile essere tolleranti quando l'unica preoccupazione è come distribuire i proventi del petrolio. Vero. Ma decine di satrapi, da Saddam a Gheddafi, hanno dimostrato che la manna nera non garantisce buon governo e pace. Invece la dinastia di Qabus detiene un altro record mondiale: quello della stabilità nei secoli. Di padre in figlio, solo quattordici sultani dal 1749. Ognuno riesce a durare in media una ventina d’anni. Immaginate l'Italia ai tempi di Maria Teresa, e fate un paragone con la volatilità dei nostri governanti a scadenza annuale.
Il 72enne Qabus ha portato in 43 anni il suo Paese dal feudalesimo medievale (l'Oman è stato il penultimo stato del mondo ad abolire la schiavitù, prima della Mauritania) a un'assai confortevole modernità. Nessuno dei due milioni di omaniti fa lavori pesanti. Per quelli ci sono un milione di immigrati indiani, pakistani o filippini.
All'aeroporto di Mascate uno dei voli
internazionali diretti più frequenti è per Thiruvananthapuram. Città che ho
scoperto essere la Trivandrum dei nostri due marò, nel sud dell'India.
Immigrati sì, e anche poco pagati (oltre alla piaga delle colf preda di padroni
omaniti lussuriosi). Ma si spostano con l'aria condizionata: non più barconi da
Iran e Pakistan o tratta di neri da Zanzibar, colonia dell’Oman fino al 1861.
Inutile dire che viaggiare per l'Oman
è affascinante e sicuro (contrariamente all'attiguo Yemen). Quindi
raccomandabile. I turisti internazionali impauriti dai disordini egiziani e tunisini
(ora pure turchi) e dalle stragi siriane, arrivano qui. Ma Mascate, patria
della noce moscata, non è un ripiego. Il boom turistico si spiega perché l'Oman
è il Paese arabo più a Est, seimila chilometri dal Marocco. E bisogna andare
proprio in questi due estremi per trovare l'anima più incontaminata e raffinata
del modo arabo.
Le deprimenti baraccopoli delle altre
capitali islamiche appaiono lontanissime mentre si percorrono i 50 chilometri
in cui si dipana Mascate, stretta fra le montagne e il lungomare della
Corniche. Certo, è tutto nuovo, magari mancano le antiche tradizioni e il
savoir-faire in fatto di ospitalità che offrono Tangeri, Marrakesh o la Beirut
rinata dopo la guerra civile. Ma è un 'nuovo' di buon gusto, lontano da certe
tragiche pacchianerie simil-occidentali degli Emirati. Nessun edificio supera i
pochi piani di altezza, quasi tutti rinnovano i classici stilemi architettonici
arabi. E il sultano, appassionato di musica classica, nel 2011 ha inaugurato il
teatro dell'Opera: il più grande del mondo arabo dopo quello cairota. Il muftì
ha storto il naso: la musica, in particolare occidentale, non è ben vista dai
fondamentalisti. Ma Qabus lo ha regalmente ignorato (dopo averlo innaffiato di
soldi, finanziando la costruzione di altre moschee).
Da un quarto di secolo ormai
l'albergo Al Bustan di Mascate è installato nella top 20 degli hotel mondiali.
E da dieci anni si è aggiunto il Chedi, dell’omonima catena supercool
obbligatoria fra le celebrità.
Fuori dalla capitale, invece, c'è ancora cammino
da fare: l’exclave Musandam a nord, davanti alla Persia, e Salalah a sud, con
le sue palme e spiagge vergini, offrono albergoni Hilton o Marriott dignitosi,
in teoria a 4 stelle, ma in realtà a tre. Buoni per i grupponi che arrivano con
6-7 ore di charter da Scandinavia, Inghilterra e Germania, o per i tecnici
delle piattaforme petrolifere in libera uscita, ma che non giustificano i 200
euro a notte. Chissà che fra le decine di joint ventures economiche che stanno
fiorendo con l'Italia non ci sia un po' di export del nostro prezioso know-how
turistico.
Buona parte dei turisti che arrivano
qui, però, non sono attratti dalla costa. Perché il tesoro nascosto dei 300
mila quadri dell'Oman (esattamente quanto quelli italiani) è il deserto. Nelle
sue due fantastiche versioni: quella d'oro di sabbia, quella rossa delle
montagne. E in mezzo al nulla, ecco improvvisamente decine di oasi rigogliose di
verde e acqua dove approdano i trekking in fuoristrada.
Da ammirare i 3.000 'aflaj', prodigioso sistema d'irrigazione unico al mondo che da mille anni plasma la vita dei villaggi. Neanche una goccia d'acqua va sprecata: prima arriva al fortino della guarnigione, poi alle case, ai lavatoi, agli abbeveratoi per gli animali; infine l'irrigazione dei campi. Molti 'aflaj' sono conservati bene, funzionano ancora alla perfezione e sono protetti dall'Unesco.
Da ammirare i 3.000 'aflaj', prodigioso sistema d'irrigazione unico al mondo che da mille anni plasma la vita dei villaggi. Neanche una goccia d'acqua va sprecata: prima arriva al fortino della guarnigione, poi alle case, ai lavatoi, agli abbeveratoi per gli animali; infine l'irrigazione dei campi. Molti 'aflaj' sono conservati bene, funzionano ancora alla perfezione e sono protetti dall'Unesco.
L’unica incognita di questo paradiso terrestre è l’età del
sultano: l’ultrasettuagenario Qabus, celibe, non ha designato alcun erede. Gode
di ottima salute, è attivissimo, ogni estate fugge con le sue due navi private
(altro che yacht) dal caldo opprimente di Mascate e dai monsoni di Salalah per
farsi un giretto in Europa. In Italia le sue mete sono sempre abbastanza
eccentriche. Cinque anni fa era approdato a Bari, e i pugliesi ne
approfittarono per farsi dare un po’ di soldi: tre milioni al conservatorio,
due al policlinico. L’anno scorso è rimasto ormeggiato una settimana a
Cagliari, snobbando chissà perché la Costa Smeralda.
Alle latitudini dell’Oman è probabilmente saggio non
indicare con troppo anticipo il successore al trono. A Qabus potrebbe capitare
lo stesso destino che lui riservò al padre: un esilio dorato per opera di
qualche impaziente nipote. C’è però il rischio di lotte di fazioni fra cugini
alla sua scomparsa. Mentre sembrano sopite le velleità indipendentiste del
Dhofar, la regione meridionale di Salalah dove negli anni ’70 infuriò una
guerriglia finanziata dai sauditi.
L’altro problema, come in tutto il mondo arabo, sono gli
estremisti salafiti. La versione omanita dell’islam è sempre stata moderata e
tollerante. Nei ristoranti frequentati dagli stranieri e negli alberghi si può
bere il vino, contrariamente al divieto assoluto di Arabia Saudita, Kuwait,
Iran e Gaza. Ma nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Salalah ammetto di avere
subìto uno choc culturale: mi sono trovato circondato da donne completamente
velate in nero. Uniche eccezioni (stupendemente sexy): occhi curiosi e piedi
nudi nei sandali.
Chiedo ad Aisha: è sempre stato così? “Assolutamente no. Dopo
la fine della colonizzazione inglese, nel ’71, le donne occidentalizzate non si
velavano. E quelle del popolo usavano colori sgargianti: rosso, blu, verde”. Poi
cos’è successo? Qui non ci sono sciiti, cos’è questo nero lugubre alla
hezbollah? “È diventato di moda. Ma senza valenze politiche”. Speriamo.
Mauro Suttora
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