VISITA AI TURNI NOTTURNI DEI CANTIERI, A DUE MESI DALL'APERTURA
Oggi, 4 marzo 2015
di Mauro Suttora
Speriamo
che non piova. Mancano soltanto sette settimane all’inaugurazione dell’Expo di
Milano, ma alcuni cantieri sono ancora indietro. Ognuno dei 145 Paesi
partecipanti è responsabile per il proprio padiglione. Molti l’hanno terminato,
altri sono ancora in alto mare. Quindi sono costretti a fare i turni notturni
per rispettare i tempi. Ma troppi giorni di pioggia potrebbero ritardare i
«cronoprogrammi», creando problemi.
Tutto
qui è gigantesco, e nell’oscurità sembra ancora più impressionante. Peccato che
quasi tutte queste immense e preziose strutture servano per una manifestazione
che durerà soltanto sei mesi. Uno dei padiglioni più grandi e strani, una vera
e propria opera d’arte, è quello della Cina. Dal decumano, il viale centrale
dell’Expo che prende il nome dall’antica Roma, per ora si vedono in lontananza
grandi montagne russe di legno.
Ci
avviciniamo. Il capocantiere del turno notturno, Mario Cannone, foggiano, ci
spiega che le strutture curve in legno, prefabbricate in Friuli, sosterranno il
tetto ricoperto di canne di bambù. Ma ce la farete? «Certo, è tutto
programmato», sorride.
Lui
arriva ogni mattina alla sette dal suo paese in provincia di Novara, e torna a
mezzanotte. «In queste ore senza traffico ci metto solo venti minuti». La metà
di quel che ci vuole per il centro di Milano. La sua famiglia lo vede pochi
minuti di notte, ma lui è contento: «Il mio cantiere precedente era in Algeria,
almeno adesso posso vivere a casa».
Molti operai sono albanesi. Scopriamo un
ingegnere bergamasco dell’impresa appaltante, la Bodino di Torino: «Quasi tutti
i padiglioni dell’Expo sono in moduli prefabbricati, soprattutto in legno, così
potranno essere smontati e ricostruiti altrove». La difficoltà più grossa, ci
spiegano, è che il progetto cinese non prevede linee rette: «Solo curve, e per
incastrare i pezzi con maxibulloni e viti dobbiamo rifinirli con le seghe al
millimetro».
Il
viavai di tir che consegnano i pezzi è continuo. Sarà così fino al primo
maggio, quando arriverà il presidente Sergio Mattarella a inaugurare la festa.
«Anzi, le ultime settimane saranno le più intense», ci spiega la nostra guida,
il capufficio stampa Stefano Gallizzi, «perché molte nazioni hanno già finito i
padiglioni, ma aspettano per arredare gli interni perché temono che lasciandoli
lì vuoti si possano rovinare».
Insomma,
ci sono addirittura i ritardi programmati del just-in-time. Intanto, migliaia
di uomini delle squadre di addetti ai padiglioni stanno occupando gli alberghi
di Milano e Brianza. I tedeschi hanno requisito un intero hotel verso Varese.
Quasi tutti però si sono affidati a imprese di costruzioni e a studi di
progettazione e di arredamento italiani: il nostro design, non a caso, domina
il mondo. E ce ne accorgeremo ancora una volta in aprile, quando Milano
diventerà come ogni anno la capitale del pianeta, invasa dai creativi per il
Salone del mobile. Che, per fortuna, non si accavallerà con l’affollamento dei
sei mesi dell’Expo.
Intanto
la nostra auto procede sul decumano, facendo lo slalom fra furgoni, camion e
addetti allo scarico con gru e carrelli.
Arriviamo
al centro dell’Expo, dove sorge il padiglione Italia. Maestoso, bianco,
bellissimo. Alto quattro piani, struttura in cemento armato, l’unico che
resterà anche dopo la chiusura del primo novembre. Per la prima volta lo si
vede con una fiancata terminata, e i ghirigori che disegnano le strutture di
una pianta.
Dentro,
fervono i lavori. Non si capisce ancora bene quale sarà il risultato finale, la
distanza fra la realtà e il progetto è troppo forte. Lo si può intuire solo
osservando i pezzi che stanno a terra, aspettando di essere montati con le
maxigru. «Ma è solo questione di giorni, se tornate fra una settimana non
riconoscerete più nulla», ci dice il capocantiere.
Soltanto
per visitare la mostra che conterrà il padiglione Italia ci vorranno parecchie
ore. E così per ogni altro padiglione. «La verità è che per vedere tutta l’Expo
ci vorrebbero parecchi giorni», dice Gallizzi, «ma ovviamente la maggior parte
dei turisti non può fermarsi così tanto a Milano».
Ci
sarà quindi da fare una scelta, una volta entrati in questa maxiFiera. I
visitatori saranno attratti dal padiglione del proprio Paese, oppure dai
cosiddetti «cluster» che raggruppano nazioni che si sono coalizzate per
svolgere un unico tema. Sempre nell’àmbito cibo e alimentazione, per esempio, i
principali Paesi produttori di cacao staranno assieme: Cuba, Costa d’Avorio,
Ghana, Camerun, Sao Tomé e Gabon. Il trionfo del cioccolato.
Accanto
a palazzo Italia ci sono i padiglioni dell’Unione europea e di Israele. Forse
per ordine alfabetico, o forse per caso. Viene subito in mente il problema
sicurezza. La tentazione, per qualsiasi malintenzionato, di farsi pubblicità
anche solo con la rivendicazione di un petardo, potrebbe essere forte. Per
questo l’area Expo è protetta da muri, cancelli e reti invalicabili. Telecamere
controllano ogni metro di superficie. Ma l’esperienza di altri grandi eventi,
come le Olimpiadi di Londra tre anni fa, è preziosa.
Fondamentale sarà l’opera
di centinaia di volontari che, a Milano città come all’Expo, convoglieranno la
marea umana dando informazioni col sorriso. Un calore umano che spesso i
visitatori delle Esposizioni del passato (Shanghai, Siviglia, Lisbona) hanno
portato a casa come un ricordo ancor più bello delle tante meraviglie esposte
negli stand.
Intanto,
gli operai lavorano ancora nel fango. Speriamo che la primavera non sia piovosa.
Altrimenti l’ultimo asfalto verrà messo col batticuore, poche ore prima
dell’inaugurazione.