Anche noi giornalisti, come i magistrati, abbiamo un sindacato unico, con correnti che si sbranano fra loro.
E anche da noi qualcuno ha cercato di far carriera col sindacato, come Palamara.
Ma i giornalisti (tranne quelli Rai) sono lavoratori dipendenti privati. Quindi le loro promozioni vengono decise dai direttori, i quali a loro volta sono assunti dai proprietari.
Certo, anche noi abbiamo i furbi che ottengono avanzamenti per meriti partitici, oppure scodinzolando presso gli editori.
Quante carriere sono state determinate frequentando Agnelli a New York, Roma, Torino! O lusingando Gardini, Caltagirone, Ciancio (La Sicilia), il presidente di turno di Confindustria (Sole 24 Ore).
O cercando di impressionare De Benedetti (Repubblica Espresso): ho visto scene penose ai seminari di Cernobbio.
Oppure con un pellegrinaggio a Cetona da Romiti, quando Agnelli gli regalò come liquidazione la Rcs (Rizzoli Corriere della Sera).
Non faccio nomi per pietà.
Il peggio avveniva in Rai o in giornali pubblici come il Giorno (quand'era dell'Eni).
Lì non c'era scampo: sulla meritocrazia prevaleva la lottizzazione.
Un assunto alla dc, uno al psi, uno al pci.
"E poi un quarto, bravo", scherzavamo.
Se il direttore era dc, il vice era psi. Oppure viceversa (al Messaggero della Montedison pubblica).
Un mio bravissimo collega, tuttora in Rai, era liberale. Per farsi assumere dovette passare in quota comunista.
Ed è un sublime scherzo del destino quello per cui l'unico politico scoperto ora a lottizzare magistrati si chiami Lotti.
Ma, in generale, nei grandi giornali c'è largo spazio per il merito. Anche perché contano i risultati. I politici sono votati ogni 5 anni. I giornalisti ogni mattina in edicola. (I magistrati mai, neanche quelli che condannarono Tortora).
Ho lavorato in due settimanali Rcs: l'Europeo dal 1983 al 1995, e poi Oggi fino al 2018. In 35 anni non ho visto favoritismi politici, amicali, familisti. Conto le eccezioni sulle dita di una sola mano.
È drammatica, invece, la situazione dei magistrati. Il cosiddetto autogoverno provoca camarille non perché le toghe siano corrotte, ma perché il sistema le costringe a esserlo.
Le promozioni sono decise dal Csm, e le elezioni al Csm sono decise quasi in toto dal sindacato (Anm), diviso in correnti.
È fatale, quindi, che per fare carriera occorra mettersi in luce presso i capi del sindacato, o i loro sponsor politici. Come in Rai.
Non sono un esperto, ma ricordo solo due magistrati estranei alle correnti: Davigo e Di Pietro. E drammi quando fu negato il premio al merito di Falcone.
Ignoro quali siano i percorsi di carriera per i magistrati all'estero. I pm negli Usa sono elettivi, anzi per molti è il trampolino di lancio verso la politica.
Ma gli italiani sono troppo faziosi per eleggere i magistrati dell'accusa. Immaginiamo poi un pm "scelto dal popolo" al Sud. Quanto investirebbero le mafie in un voto simile?
Per questo il sorteggio potrebbe essere la soluzione meno peggiore per la scelta dei capi, fra i magistrati. E, visti certi programmi, anche per i direttori Rai.
E anche da noi qualcuno ha cercato di far carriera col sindacato, come Palamara.
Ma i giornalisti (tranne quelli Rai) sono lavoratori dipendenti privati. Quindi le loro promozioni vengono decise dai direttori, i quali a loro volta sono assunti dai proprietari.
Certo, anche noi abbiamo i furbi che ottengono avanzamenti per meriti partitici, oppure scodinzolando presso gli editori.
Quante carriere sono state determinate frequentando Agnelli a New York, Roma, Torino! O lusingando Gardini, Caltagirone, Ciancio (La Sicilia), il presidente di turno di Confindustria (Sole 24 Ore).
O cercando di impressionare De Benedetti (Repubblica Espresso): ho visto scene penose ai seminari di Cernobbio.
Oppure con un pellegrinaggio a Cetona da Romiti, quando Agnelli gli regalò come liquidazione la Rcs (Rizzoli Corriere della Sera).
Non faccio nomi per pietà.
Il peggio avveniva in Rai o in giornali pubblici come il Giorno (quand'era dell'Eni).
Lì non c'era scampo: sulla meritocrazia prevaleva la lottizzazione.
Un assunto alla dc, uno al psi, uno al pci.
"E poi un quarto, bravo", scherzavamo.
Se il direttore era dc, il vice era psi. Oppure viceversa (al Messaggero della Montedison pubblica).
Un mio bravissimo collega, tuttora in Rai, era liberale. Per farsi assumere dovette passare in quota comunista.
Ed è un sublime scherzo del destino quello per cui l'unico politico scoperto ora a lottizzare magistrati si chiami Lotti.
Ma, in generale, nei grandi giornali c'è largo spazio per il merito. Anche perché contano i risultati. I politici sono votati ogni 5 anni. I giornalisti ogni mattina in edicola. (I magistrati mai, neanche quelli che condannarono Tortora).
Ho lavorato in due settimanali Rcs: l'Europeo dal 1983 al 1995, e poi Oggi fino al 2018. In 35 anni non ho visto favoritismi politici, amicali, familisti. Conto le eccezioni sulle dita di una sola mano.
È drammatica, invece, la situazione dei magistrati. Il cosiddetto autogoverno provoca camarille non perché le toghe siano corrotte, ma perché il sistema le costringe a esserlo.
Le promozioni sono decise dal Csm, e le elezioni al Csm sono decise quasi in toto dal sindacato (Anm), diviso in correnti.
È fatale, quindi, che per fare carriera occorra mettersi in luce presso i capi del sindacato, o i loro sponsor politici. Come in Rai.
Non sono un esperto, ma ricordo solo due magistrati estranei alle correnti: Davigo e Di Pietro. E drammi quando fu negato il premio al merito di Falcone.
Ignoro quali siano i percorsi di carriera per i magistrati all'estero. I pm negli Usa sono elettivi, anzi per molti è il trampolino di lancio verso la politica.
Ma gli italiani sono troppo faziosi per eleggere i magistrati dell'accusa. Immaginiamo poi un pm "scelto dal popolo" al Sud. Quanto investirebbero le mafie in un voto simile?
Per questo il sorteggio potrebbe essere la soluzione meno peggiore per la scelta dei capi, fra i magistrati. E, visti certi programmi, anche per i direttori Rai.